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Irene Fargo: quando la voce si fa incanto

di Andrea Direnzo

La morte fa più rumore della vita. Il 1° luglio è scomparsa a soli 59 anni Irene Fargo, nome d’arte di Flavia Pozzaglio, originaria di Palazzolo sull’Oglio in provincia di Brescia. Nonostante i momenti di buio vissuti sia come donna, sia come artista, qui non se ne vuole celebrare la morte bensì la vita.

Erano i giorni tra fine febbraio e inizio marzo 1991 quando apparve per la prima volta sul palco dell’Ariston, in occasione del suo debutto al Festival di Sanremo nella sezione Novità. Qualcosa già si accese negli occhi di chi seguiva dall’altra parte dello schermo. Immagine pulita, portamento semplice ed elegante, caschetto nero (si seppe dopo che era una parrucca) e grandi occhiali dietro cui brillavano due splendidi occhi verdi. L’orchestra – diretta da Lucio Fabbri – cominciò; lei iniziò a cantare La donna di Ibsen con incredibile naturalezza, incurante delle telecamere, illuminando l’etere; il pubblico ascoltò restando senza fiato quella voce di rara bellezza, limpida e cristallina ma allo stesso tempo potente e penetrante. L’emozione invase i cuori di chi comprese il suo canto appassionato. Carisma, identità, personalità, c’era dentro tutto. Si classificò seconda, tra Le persone inutili di Paolo Vallesi ed è soltanto una canzone di Rita Forte. Venne ristampato l’omonimo disco d’esordio, uscito per la Carosello nel 1990 e prodotto da Enzo Miceli, anche autore insieme a Gaetano Lorefice del brano sanremese ispirato alla pièce teatrale ‘La donna del mare’ del drammaturgo norvegese Henrik Johan Ibsen, contenente altri sei inediti, due cover francesi (Milord e Mon homme) e un duetto con Grazia Di Michele (Ti dò una canzone).  Il successo le sorrise, il disco ottenne un buon riscontro nelle vendite (raggiunse la 23ª posizione nella classifica dei 33 giri stazionandovi per sei settimane) e venne accolto favorevolmente dalla critica. Nel frattempo nacque il suo Official Fans Club con prima sede a Villar Pellice (Torino), poi trasferito a Roma. Era nata una nuova stella della canzone italiana.

Nel 1992 il ritorno a Sanremo, inspiegabilmente di nuovo tra le Novità, proponendo Come una Turandot, omaggio all’opera di Giacomo Puccini,  posizionandosi ancora seconda, stavolta tra le accoppiate Baldi-Alotta (Non amarmi) e Mingardi-Bono (Con un amico vicino). Riconfermate a pieni voti le sue straordinarie doti vocali e interpretative che suscitarono addirittura l’ammirazione di “Big” Luciano Pavarotti. Come da rituale festivaliero, venne pubblicato il secondo album, La voce magica della luna, su cui troneggia un bellissimo primo piano di Irene (stavolta naturalmente riccia) fissato dal fotografo Angelo Deligio, che bissò e addirittura superò il successo del precedente arrivando a occupare il 20° posto degli LP più venduti, restando in classifica per undici settimane. Miceli si occupò della produzione artistica e degli arrangiamenti (a cui collaborò Lucio Fabbri), scrivendo con Lorefice la maggior parte delle canzoni, da Sabbia d’Africa a Mio disperato amore, una più bella dell’altra, interpretate in modo eccezionale dalla Fargo. Momento d’oro per la cantante che, malgrado l’esclusione da Sanremo ‘93 con Non sei così, realizzò un terzo e pregevole lavoro intitolato Labirinti del cuore, prodotto, realizzato e arrangiato da Fio Zanotti, cesellato da canzoni di autori come Roby Facchinetti e Valerio Negrini (Ma quando sarà e Qualcuno come me), Ivan Graziani e Daniele Fossati (Ti porterò via), Mariella Nava (Facile e Inverno), Kaballà (Se non fosse). In questo periodo la sua popolarità raggiunse il picco grazie alla presenza fissa nella trasmissione televisiva ‘Domenica in’ e successivamente in vari programmi quali ‘Festival Italiano’, ‘Viva Napoli’, ‘Ma l’amore sì’ e ‘Ci vediamo in TV di Paolo Limiti; si dedicherà con ottimi risultati al musical (Il ritratto di Dorian GrayI promessi sposiMasanielloCleopatra). 


La discografia della Fargo (qui in alto i primi quattro album e nella foto sotto gli ultimi tre)è uno scrigno prezioso che, ora più che mai, andrebbe riscoperto e apprezzato capitolo per capitolo: da ‘O core ‘ Napule (1995), che le fece ottenere lodi entusiastiche da parte di Roberto Murolo e Aurelio Fierro (“la migliore cantante non napoletana”), a Insieme (2005) con gli Axis Mundi, dove rilegge magnificamente classici napoletani (La palummella‘O marinarielloReginella), francesi (La vie en roseHymne a l’amourLes feuilles mortes) e portoghesi (Fado portuguêsFerreiro), fino ai più recenti Crescendo (2012), Luce (2014) e l’ultimo Il cuore fa (2016).


Malgrado l’allontanamento dalle scene, Irene Fargo è rimasta un “punto luce” fulgido nel panorama musicale italiano, interprete sensibile, introspettiva, di quelle che sa scendere in profondità dando anima a ciò che canta. Nei giorni scorsi, alla notizia della sua dipartita, tanti i messaggi di cordoglio da parte di amici e colleghi, a cominciare da Renato Zero e Giovanna Nocetti a cui si sono uniti quelli di Roby Facchinetti, Gilda Giuliani, Fiordaliso, Rosanna Fratello e Silvia Mezzanotte. Per non parlare dell’affetto di fan, ammiratori ed estimatori che non l’hanno mai dimenticata; le bacheche dei social sono state invase da video delle sue canzoni, ognuno scrivendo un pensiero, un ricordo, un’emozione a lei legati. A chi scrive resta qualcosa in più: la memoria di un’amicizia e un inedito, Il giorno imperfetto, che Irene stessa mi inviò dodici anni fa, uno tra quelli scartati dalle farlocche commissioni del Festival di Sanremo. Riascoltandolo oggi, non è possibile fare a meno di commuoversi dinanzi a questo toccante grido di libertà. Un incanto che dapprima ti sconvolge, poi pian piano ti invade, infine sai che non ti abbandonerà più.

«… In catene stretta io non ci sto più, donna libera in un mondo libero, sono carne e respiro, guardo fuori e c’è il cielo… Dentro me infinita voglia di vivere ad un passo dal cielo così che vorrei morire… Nascosta al buio degli angoli per dimenticare, cuore batti una volta ancora, muovi i tuoi passi senza paura e sarà domani, sì domani, il dolore come l’acqua passa e va, scivola sul cuore che non sa…».


Articolo a cura di Andrea Direnzo

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