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Teatro dal Verme, Milano

Sergio Cammariere

Ascoltando Sergio Cammariere, da quel posto da cui non ti sei mai alzato.

Le calze rosse e quel timido imbarazzo dinanzi al suo pubblico che lo applaude all’ingresso. Si siede e partono le prime note del piano, lente, dolci, delicate, in un intro (Tema di malerba) che ti rapisce subito.
Ecco come ti immergi nell’atmosfera di un live di Sergio Cammariere e hai la sensazione quasi, fin dai primi minuti, di non esserti mai alzato da lì, dal concerto precedente, come qualcosa di familiare che passato il tempo non cambia, in una continuità che non stona e non stanca.
Non stona come le note che arrivano dai tasti calcati del piano, con maestria e ritmo, a seconda del pezzo o del momento, con una mano o con due, scuotendo la testa e la chioma sempre folta nei momenti di coinvolgimento maggiore.

Si parte con La vita ci vuole, pezzo dell’ultimo album, forse non proprio sensazionale in tutte le tracce, ma questa canzone di sicuro è in pieno stile Cammariere, con quella dolce malinconia che trasuda da tante sue melodie di successo e che sono presagio fin dall’inizio di un paio d’ore nella culla di ritmi jazz e armonici.
Il tempo di un bell’omaggio a Bruno Lauzi, definito “il mio amico”  con Io senza te, tu senza me e si aprono Le porte del sogno, con quei tratti profondi che sfociano nei primi assoli e virtuosismi musicali suoi e dell’intera band che si scalda e inizia ad infiammare il pubblico. Non può mancare allora Fabrizio Bosso e i suoi fiati che investono l’aria con chiusure di pezzo da farlo mancare, il fiato.

Una band che con la sua coesione trasmette un’intensità particolare, con Luca Bulgarelli al contrabbasso, ad esempio, accanto a Cammariere fin dal Premio Tenco del 1997 e Amedeo Ariano alla batteria. Sguardi complici mentre si passano il testimone e sfoggiano abilità nitide e ormai riconoscibili nel panorama musicale italiano.
Tra altre canzoni di successo come L’amore non si spiega o Tempo Perduto (un tuffo sempre denso nell’enigma spazio-temporale) si arriva alla toccante atmosfera di Padre della notte cantata in solitudine al piano, rivolgendo al termine uno sguardo in alto, al cielo, quasi a ringraziare di questi quarant’anni di carriera che Cammariere stesso cita parlando tra un’esibizione e l’altra, mentre cerca con ironia e un pizzico di goffaggine uno straccetto per pulire gli occhiali.

Rivela anche la sua età, con una sottile vena nostalgica. L’intensità si allenta e la gente ride.
Il pubblico apprezza, è un crescendo, applaude e sfiora più volte l’ovazione, come all’inizio di Tutto quello che un uomo, definita la canzone della svolta, dopo quel Sanremo di qualche anno fa quando il grande pubblico ha conosciuto la musica di questo bravo artista.
Si va verso la fine e arrivano Libero nell’aria , la solennità di Via da questo mare e Sorella mia, canzone che ha sancito forse più di ogni altra il sodalizio artistico con Roberto Kunstler, autore di tanti suoi componimenti. C’è molto ritmo e allora Sergio si lascia andare ad un balletto tutto personale mentre i suoi musicisti mostrano le loro qualità attraverso qualche assolo, dalle percussioni al contrabbasso, dalla batteria alla tromba.

C’è tempo per una perla, L’impotenza di Giorgio Gaber: un omaggio al cantautore milanese e al suo genio. Che si riconosce e spicca. Che scalda il teatro.
Si chiude con  Cantautore piccolino e tutti i grandi interpreti citati in questo testo allegro e divertente, che ci accompagna all’uscita, ad un ultimo bis (Ed ora) che fa calare il sipario su una serata che non ha deluso le aspettative, che immaginavamo così: armoniosa, leggera e piena.  

Foto di Annamaria Mastrantoni, Raffaele Della Pace e Luca Giovannelli

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In dettaglio

  • Data: 2015-01-26
  • Luogo: Teatro dal Verme, Milano
  • Artista: Sergio Cammariere

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