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Roma, Teatro Arciliuto

Beppe Chierici

Beppe Chierici canta Brassens...e lo racconta

Dell’importanza enorme della figura di Georges Brassens nello sviluppo e nell’affermazione della canzone d’autore europea è inutile dire: la sua figura è stata ormai storicizzata ed ora è lì, nell’Empireo dei Grandi, non solo della Canzone, ma della Letteratura (però diciamolo piano: la sua leggendaria modestia non gli consentirebbe affatto di approvare questo panegirico).

Della ricezione di Brassens in Italia è forse il caso di parlare, invece, perché una certa vulgata vuole che la fortuna di “Tonton” Georges sia dovuta pressoché esclusivamente al lavoro di traduzione (meglio: di adattamento) di Fabrizio De André, che si proclamò sempre un suo discepolo, un lavoro incentrato su un numero tutto sommato esiguo di canzoni (sette, in tutto, tra cui la celebre “Il Gorilla”). Non molti ricordano che ci sono stati fior di artisti che prima e dopo hanno, in modi e sensibilità diverse, reso più fruibile il grande chansonnier a un pubblico italiano che con il francese ha sempre cincischiato. Parliamo di figure importantissime come quella di Fausto Amodei, di Margot, di Lino Patruno (che volse Brassens in milanese) e, appunto, di Beppe Chierici, di cui avemmo modo di parlare qui (http://www.lisolachenoncera.it/rivista/letture/beppe-chierici-la-cattiva-erba/) in occasione della sua monumentale opera La cattiva erba, libro illustrato+doppio CD). Questa straordinaria figura di attore e cantastorie dedicò all’ “orso” di impasse Florimont due importantissimi album, uno nel 1968 (Chierici canta Brassens) e uno nel 1976 (Beppe come Brassens, oggi facilmente reperibile in rete). Il suo repertorio di traduzioni (tutte in metrica e in rima) è stato poi via via ampliato fino a superare la notevolissima cifra di 100. Non solo: Beppe Chierici ebbe modo, nei suoi frequenti soggiorni parigini, di conoscere Brassens (che avallò con entusiasmo le sue traduzioni) e di diventarne amico al punto da essere ammesso alla sua ristretta cerchia di intimi.

Tutto questo per dirvi che nessuno oggi ha le carte in regola come questo barbuto cuneese per cantare Brassens in italiano. La cosa sorprendente è che lo faccia alla veneranda età di 82 anni, in un recital di straordinaria poesia che cattura e incanta. Vedere questo eterno ragazzo che sta in scena per quasi due ore, da solo (accompagnato solamente da delle basi e, occasionalmente, dalla sua inseparabile autoharp), sciorinando a memoria, senza l’ombra di un leggio, le chilometriche composizioni brassensiane è davvero un’esperienza unica. Colpisce, soprattutto, la trasposizione mimica con cui Beppe porge questi pezzi di Brassens, tradotti rispettando amorevolmente quella sua particolare lingua “dantesca”, arcaica, colta, letteraria, ma anche popolaresca, gergale, all’occasione deliziosamente triviale: con pochissimi elementi di scena (un tavolino con tovaglia a quadretti, una bottiglia, un cappello) Beppe riesce, in una sorta di recitar-cantando tutto suo, a far provare al suo pubblico un’esperienza diretta di Brassens, a fargli sentire quelle canzoni come le devono sentire, si immagina, i madrelingua. In questo incredibile effetto di immedesimazione, aiuta, è da dire, anche l’atmosfera raccolta del Teatro dell’Arciliuto (che aveva già ospitato questo spettacolo a gennaio), non dissimile, con la sua saletta-grottino, a una cave parigina degli anni Cinquanta.

In questo viaggio emozionante, tra ricordi e racconti, c’è stato tempo per ridere (molto) con La moglie di Totò, o Chi è stronzo resta così (perfidamente dedicata da Beppe ai nostri ineffabili vicepremier), ma anche di intenerirsi con La rosa, la bottiglia e la stretta di mano, per mandare a quel paese tutti i fanatici del terrore con Morire per un’idea, per amare l’anarco-individualismo di Brassens, mangiapreti e mangiagendarmi, ma all’occasione capace di esaltare l’umanità di un poliziotto come ne Il relitto o il coraggio e la dignità di un prete come nella Messa per un impiccato, ma anche il tempo per struggersi con La non domanda di matrimonio, o per indignarsi con la sarcastica La guerra del ’14-’18.

Insomma, un recital imperdibile, tenuto saldamente sulle spalle da un attore-cantore che è forse l’ultimo del suo stampo, uno capace di disvelarti un intero mondo con una sola alzata di ciglio. L’unicità di uno spettacolo del genere, ben sostenuto anche dalla proiezione di foto di Brassens e di disegni animati scaturiti dalla fantasia del talentuoso Dario Faggella, è stata assolutamente percepita come tale da un pubblico attento e via via sempre più rapito, poi infine complice: delizioso il duetto improvvisato su Il testamento con Ernesto Bassignano, presente in sala tra il pubblico, che con lo stesso Beppe Chierici e i compianti Pierangelo Civera e Duilio Del Prete, costituiva il gruppo dei cuneesi che in quei tardi anni ’60 si fece strada a Roma.

Epilogo scontato: un lungo e caloroso applauso finale a scena aperta.

                                       

Report e foto di Andrea Caponeri

SCALETTA RECITAL
La cattiva erba (La mauvaise herbe)
Ballata per un ladro (Stances à un cambrioleur)
Un uomo per male (Celui qui a mal toruné)
Gli amici miei (Les copains d’abord)
Vecchio Même (Le vieux Léon)
La moglie di Totò (La femme d’Hector)
La pupèe (Je me suis fait tout petit)
La non domanda di matrimonio (La non-demande en mariage)
Il relitto (L’épave)
Messa per un impiccato (La messe à pendue)
Chi è stronzo resta così (Le temps ne fait rien à l’affaire)
Morir per un’idea (Mourir pour des idées)
La Rosa, la bottiglia e la stretta di mano (La rose, la bouteille et la poignée de main)
La Guerra 14-18 (La guerre de 14-18)
Il gorilla (Le gorille)
Il giullare (Le petit jouer de fluteau)
Il modesto (Le modeste)
Presso la mia quercia (Auprès de mon arbre)
Zio Arcibaldo (Oncle Archibald)
Supplica per essere sepolto sulla spiaggia di Sète (Supplique pour etre enterré à la plage de Sète)

 

 

 

 

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In dettaglio

  • Data: 2019-04-24
  • Luogo: Roma, Teatro Arciliuto
  • Artista: Beppe Chierici

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