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Teatro Curci, Barletta

Gianmaria Testa

Il Teatro Curci di Barletta, gioiellino ottocentesco di stucchi dorati e velluto rosso, è stato l’unico in Italia il 3 dicembre a ricordare quest’anno il decennale della scomparsa dello scrittore e giornalista Jean-Claude Izzo, legato a doppio filo alla Marsiglia del suo “noir mediterraneo”, ma anche “rital”, come erano definiti in senso purtroppo dispregiativo gli italiani in Francia: era infatti figlio di madre di origine spagnola e di padre salernitano. Ad aprire la serata, intitolata appunto Ritals e organizzata dall’associazione Liberincipit, un dialogo con Stefania Nardini, autrice del volume Jean-Claude Izzo, storia di un marsigliese (Perdisa Editore, 2010), e con Gianmaria Testa, prima di lasciare spazio alla musica del cantautore piemontese. Le sue canzoni sono state più volte tra le citazioni musicali dei personaggi di Izzo, come notato in tutto il mondo, dal Canada al Belgio. Proprio uno di questi riferimenti musicali nel romanzo Marinai perduti (1997), regalatogli all’epoca dal trombettista David Lewis mentre erano al Festival Jazz di Nancy, ha permesso a Testa di incontrare lo scrittore marsigliese, prima idealmente, poi fisicamente. Frequentandolo, non poté non avere quella clamorosa sensazione che benedice alcuni rapporti, quella di conoscersi da tempo, come «se ci fosse del già detto» tra di loro.

Ad un certo punto la conversazione non ha potuto non farsi anche politica, per gravitare attorno al tema dell’immigrazione: Stefania Nardini rammenta come si stia alimentando la paura dell’Altro anche nella multietnica Marsiglia, dove il razzismo era improponibile, spostando l’attenzione sulla microcriminalità rispetto ai grandi movimenti economici dell’area portuale, che alimentano la mafia marsigliese. Testa allora evidenzia come sull’immigrazione «si raccontino un sacco di balle», in Francia, come in Italia o altri paesi, e come la scala d’importanza delle notizie sia «decisa altrove», dato che si dice ormai che il possesso dei mezzi di comunicazione renda proprietari del mondo.

Commossi poi sono il ricordo dell’ultima volta che Izzo ha scelto una sua canzone, ovvero all’interno della “playlist” da mezz’ora selezionata per il suo funerale, che abbracciava il rap così come Munasterio 'e Santa Chiara cantata da Roberto Murolo (brano riscoperto a casa di Testa, ma un tempo cantatogli dal padre), e la rievocazione della sua decisione di farsi cremare e far disperdere le sue ceneri davanti al vecchio porto di Marsiglia. Gianmaria non gliel’ha perdonato: avrebbe voluto che le sue ceneri fossero sotto ad un albero, per potergli parlare e raccontargli «sai, ieri eravamo a Barletta e parlavamo di te…». E qui Testa, pur così riservato e discreto, nel ricordare l’amico fa fatica a trattenere le lacrime.

Poco dopo torna sul palco con un «Arieccoci» e dà inizio al suo concerto Solo per voce e chitarra. In questa veste sonora quanto mai essenziale, la drammaticità sobria delle canzoni è affidata solo alla sua voce, ruvida, vera, intensa. C’è sempre un forte pudore, una moderazione dignitosa (e per questo ancor più struggente) a velare i sentimenti racchiusi tra le sue note, nell’emozione dell’interpretazione e nei testi, che spesso custodiscono il loro senso profondo in una sentenziosità asciutta e semplice o tra visioni oniriche affascinanti. Si parte con la breve cover de La nave di Angelo Ruggiero e si attraversano momenti accorati come quello di Veduta aerea (da Altre latitudini, 2003), in cui arpeggi malinconici accarezzano vedute di mondo scomparse e l’accamparsi dei ricordi, e i brividi di Seminatori di grano, tesa e tragica sia musicalmente che nella trama del racconto del canto, o dell’impetuosa Rrock (al pari della precedente, tratta da Da questa parte del mare, 2006), che segue l’amarezza del doppio esilio di chi è costretto a lasciare una terra e a patire le difficoltà da affrontare nel luogo di approdo.

Girano bene anche voce e chitarra pure i brani più veloci, come Sei la conchiglia con il suo ritmo franto, o la splendida Piccoli fiumi (da Il valzer di un giorno, 2000), sospesa tra Mediterraneo e anima blues. Un impeto sofferto prende poi 3/4, nostalgica rievocazione delle aspirazioni dell’amore ormai lontano: si tocca forse con questa canzone l’acme emozionale del live.

Il concerto scorre fluido, grazie all’atmosfera intima della dimensione acustica, così come all’ambientazione raccolta del teatro; il pubblico non osa cantare, anche perché è il silenzio a completare la musica, punteggiandola di pause dense (di riflessione, di immersione ad occhi sbarrati nel flusso dei ricordi, di concentrazione sul dolore di vite disperse per il mondo alla ricerca della speranza di ricominciare). Però quando Gianmaria cerca di coinvolgere platea, palchi e loggione nei cori di Al mercato di Porta Palazzo, gli spettatori si sciolgono in un applauso davvero entusiasta e caloroso.

Rendono d’altronde viva e partecipata l’esperienza del live gli intermezzi studiati o imprevisti, che mostrano un Testa ironico e impegnato: quando un fastidioso sibilo degli amplificatori impone una pausa tecnica per trovarne la causa, Gianmaria commenta: «E’ Wikileaks che manda un cablogramma con le ultime novità sul presidente. Ma noi le conosciamo già…Meglio spegnere!». Poi decide di leggere uno scritto che ha attirato su di lui, a suo dire, «molte reprimende al Nord»: si intitola 20mila Leghe sotto il mare, laddove la lega non è «unità di misura marina, ma unità di dismisura terrestre», e racconta della volontà di secessione di ogni mare, con la chiusura dei canali, la separazione del Mediterraneo, la richiesta di indipendenza di ogni cala, poi di ogni goccia d’acqua dall’altra, che porta ogni barca in secca e la morte dei pesci. E la protesta dell’idrogeno, che si separa dall’ossigeno, finché in un «soffio di infinito» l’acqua evapora e «rimase un deserto di sale e granito, buio e profondo, più nero del nero». Molto divertente poi, prima del lirismo visionario di Comete (che prevede ottimi crescendo di intensità, tra accensioni improvvise e rallentamenti), il racconto della scoperta della luna nel trapezio di cielo che si apriva davanti alla finestra del suo ufficio di ferroviere, da cui solitamente si commentava molto meno poeticamente con il collega di turno qualunque forma femminile si palesasse all’orizzonte.

Non può mancare in scaletta anche Ritals, dedicata ad Izzo già nel disco Da questa parte del mare.

Nell’encore, che segue un fiume di applausi fermati con un divertito «Ok, va bene», Gianmaria chiude il concerto con una versione personale di Hotel Supramonte di De Andrè e un inedito molto delicato. Una carezza finale, dal sapore dolceamaro e con il tipico gusto sonoro minimale che ha cullato gli spettatori del concerto.  

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In dettaglio

  • Data: 2010-12-03
  • Luogo: Teatro Curci, Barletta
  • Artista: Gianmaria Testa

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