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Erica Mou

Baci sulle ferite

Cantava Ligabue quando era solo una bambina. Si è innamorata della chitarra di Ben Harper di sfuggita dentro una libreria ed ha scelto la scaletta del suo primo disco con una strana votazione. A diciotto anni  non vuole rinchiudersi in unico modo di intendere la musica, e per questo spazia dal rock, all’elettronico, dall’acustico al jazz. E’ un talento pulito e sincero della nuova musica italiana, con una voce che non si scorda facilmente. Una chiacchierata con Erica Mou.                


Erica Mou, giovane cantautrice pugliese alla prima esperienza discografica, voce elegante e distintiva. Può andare come prima presentazione? Ho dimenticato qualcosa?
Hai dimenticato altezza 1,63 m e odio incondizionato verso chi suona i clacson ai semafori, appena scatta il verde!

Fatte le dovute presentazioni, mi racconti come la musica è entrata nella tua vita e quando hai scelto la chitarra come compagna di viaggio?
Non c’è mai stato un momento della vita senza musica… e non mi riferisco solo alla giostrina musicale sulla culla (anche se le musiche dei cartoni animati hanno un’influenza fondamentale, credo, su tutti i bambini, se ancora da adulti riusciamo a ricordarle!). La musica fortunatamente si è respirata subito in casa mia. Non che qualcuno dei miei sia un musicista… ma si ascoltava e si ascolta in casa. Racconto sempre la storia di come sono finita a prendere lezioni di canto a cinque anni… ed è una storia che inaspettatamente rivaluta l’educatività dei programmi televisivi dell’ora di pranzo! Mia nonna vedeva “I fatti vostri” e lì, nell’orchestrina, c’era una violinista che si chiamava Erica. Allora decisi che dovevo suonare il violino. Per forza. Ma una volta arrivati a scuola di musica, ci dissero che per quello strumento ero un po’ troppo piccola, così a quattro anni mi iscrissi al corso di propedeutica musicale. Al saggio di fine anno vidi una signora e decisi che volevo fare lezione con lei. Era un’insegnante di canto, e l’anno dopo cominciammo…e non abbiamo ancora finito! La chitarra invece l’ho scoperta quando ero un po’ più grandicella. A undici anni infatti mi sono iscritta ad un corso sperimentale di una scuola media della mia città, che il pomeriggio prevedeva lo studio obbligatorio di uno strumento. Ed ho cominciato a studiare chitarra classica.

Mai un momento senza musica. Mi elenchi allora tre dischi che sono stati importanti nella tua “costruzione musicale” o che semplicemente giravano spesso nel tuo stereo quando eri più piccola…
Il primo che mi viene subito in mente è “Buon compleanno Elvis” di Ligabue, perché è stato il mio primo disco personale. Mio padre me lo comprò nel 1995, se non erro, e mentre gli altri bambini cantavano “nella vecchia fattoria ia-ia-oooo” io mi divertivo come una pazza a cantare “vivo morto o iiiiics”! Poi ti dico “Fleur” di Battiato, del 1999, che è stato da allora uno dei dischi più gettonati come colonna sonora dei viaggi della mia famiglia e che cantavamo a squarciagola tutti insieme in macchina. E infine “Burn to shine” di Ben Harper che è del 1999 ma che io ho comprato più o meno quattro anni fa. E’ per me un disco speciale perché l’ho preso super istintivamente ed è uno degli acquisti di cui vado più fiera. Entrai in una libreria Feltrinelli e il disco era in sottofondo (ma non si sentiva molto bene) e, davvero, mi emozionò tantissimo. Così chiesi al commesso che disco fosse e lo comprai. Troppe volte ci perdiamo delle cose belle perché non facciamo domande.

La tua voce. I paragoni si sono sprecati, chi ti avvicina a Carmen Consoli, chi ad Elisa, due grandi della nostra musica italiana. Questi paragoni, inevitabili quando si è agli esordi, ti danno più “responsabilità” od orgoglio?
Se devo essere totalmente sincera, provo certe volte una egoistica sensazione di fastidio. Come tutti, credo, vorrei non assomigliare a nessun altro. Ma come dici tu, è inevitabile, e sono contenta che le artiste a cui mi accostano più frequentemente siano due grandi musiciste che stimo molto. Poi di musicisti/e a cui sono stata paragonata ce ne sono già almeno una trentina che io diligentemente raccolgo in una lista che ho chiamato “secondo il mondo assomiglio a…” e che è di una eterogeneità divertentissima.

Veniamo all’album “Bacio ancora le ferite”. Il titolo è già presente nel primo brano E’, mi spieghi quali sono le ferite di cui parli e se queste sono in via di guarigione.
“Bacio ancora le ferite” è un titolo che abbiamo creduto potesse raccogliere al meglio tutto il lavoro fatto per il disco. La canzone E’ dice: «ma io bacio ancora le ferite per far andare via il dolore come faceva mia madre e prima ancora sua madre, io bacio ancora le ferite per far andare via il dolore anche se ormai non credo più che faccia effetto». E’ stato difficile tollerare durante tutta la realizzazione del disco le migliaia di affermazioni sul tramonto del mercato musicale e della discografia. Noi sappiamo che se cadiamo e ci facciamo male, non sarà un bacio a guarire le nostre ferite, ma continuiamo a farlo, anche se con una consapevolezza diversa, perché crediamo sia ancora giusto così.

Mi racconti un po’ com’è nato questo lavoro, se avevi quei testi nel cassetto da un po’…
Alcune canzoni esistevano già da un po’…altre sono venute dopo. Ma i pezzi del disco sono scritti tutti entro marzo del 2008. Perché poi da quel mese in poi, abbiamo registrato delle tracce guida (chitarra e voce) di una trentina di pezzi, e le abbiamo affidate a degli amici o a delle persone del settore. Ognuno votava le sue tre canzoni preferite. Le dodici più votate, infine, sono state quelle scelte per il disco (anzi, undici, visto che poi abbiamo deciso di inserire anche una cover). Questo metodo della “giuria popolare” è stato fondamentale. Né io, né Marco Valente, produttore del disco, avevamo la giusta obiettività per prendere questa decisione. Anche se, ovviamente, tutto è stato alla fine supervisionato da noi. L’abbiamo fatto anche per capire delle cose che ci sfuggivano, che hanno anche avuto la capacità di sorprenderci.

Trovo in questo tuo lavoro una capacità di scrittura difficile da rintracciare in una ragazza di soli diciannove anni. Penso tu abbia, come ho scritto nella recensione, una sensibilità particolare ed uno sguardo senza filtri che è in grado di lasciarsi attraversare dalle cose del mondo, per poi “digerirle” e gettarle nuovamente fuori. Analisi errata?
Analisi lusinghiera che non posso però giudicare data la mia… parzialità! Io scrivo semplicemente di cose che mi sono molto vicine. Più piccole sono, più sono per me fonte di ispirazione e credo siano degne di essere cantate. Queste cose che conosco bene, posso raccontarle altrettanto bene, dal mio punto di vista. Un appunto alla tua analisi, le cose che getto nuovamente fuori, molto spesso le ho ben assimilate, certe altre pur conoscendole bene…sono davvero difficili da “digerire”.

Parliamo di come “suona” questo Bacio ancora le ferite. Sonorità aperte, ampie, senza confini ristretti in un solo stile: dall’acustico, all’elettronico, sprazzi di jazz e di rock. L’album è a immagine e somiglianza del tuo modo di vedere e vivere la musica (senza confini)?
Questa eterogeneità è stata una scelta. Volevamo che fosse rispecchiato il mio mondo, con riferimento sia alla diversa natura delle cose che scrivo ma soprattutto ai differentissimi generi musicali che ascolto e che amo ascoltare. D’altra parte poi questa varietà è stata anche una decisione “didattica” per così dire, un’occasione di sperimentare cose diverse e di imparare. Non mi andava a diciotto anni di incasellarmi già in un preciso modo di intendere la musica, volevo provare cose diverse, quelle che sentivo fossero più adatte ai pezzi, aiutata soprattutto dall’arrangiatore del disco, Antonello Papagni.

Nell’album c’è una tua personalissima versione di Pensiero stupendo di Patty Pravo, ti piace accostarti ai brani altrui e farli tuoi? Ci sono altri esempi, riuscitissimi aggiungo io, di questi esperimenti?
E’ divertentissimo! Magari è un po’ meno divertente per gli autori del brano (in questo caso Fossati e Prudente), sentirlo così massacrato…ma per me è un’operazione bellissima, spontanea come quella dello scrivere. A volte mi capita di “stravolgere” qualche altra canzone, ma per Pensiero stupendo c’è stato un discorso a parte. Non era nostra intenzione inserire nell’album una cover. Ma lei è venuta così, molto casualmente e molto semplicemente (è, tra l’altro, l’unico pezzo esclusivamente chitarra e voce del disco) e ci è sembrato bello documentarla.

Anche se, come ci hai raccontato, non sei stata tu a scegliere i brani da inserire nell’album, tra quelli che hanno vinto quella votazione, ce n’è uno forse più degl’altri che ti rappresenta o che senti di dover “coccolare” un po’ di più?
Avendoti descritto l’impossibilità di scegliere i pezzi da inserire nel disco… beh, è ovvio che per me è difficilissimo rispondere a questa domanda! Anche perché io so. So quando le canzoni sono state scritte, ovviamente, e il perché. Quindi non riesco ad esprimermi! Però posso dirti che, quelle che mi hanno più sorpreso dopo il lavoro di arrangiamento, sono state Indietro ed E mi. La prima, per come è cambiata nel corso del lavoro e per come me ne sono reinnamorata a disco finito, tanto da decidere di inserirla in una posizione per me strategica: l’ultimo brano di un cd è importante quanto e forse più del primo. Invece E mi… quando ho ascoltato i violoncelli che Greg Heffernan ha deciso di regalare a questa canzone, mi è davvero venuto da piangere. E ho difficoltà ad ascoltarla ancora adesso, a distanza di tempo.

Questo è il primo album. Oltre che a te stessa, per l’impegno che immagino ci avrai messo, senti di dover dire grazie a qualcuno per la buona riuscita di questo progetto?
Il booklet del disco si apre con i ringraziamenti. Prima di tutto ho voluto ringraziare tutte le piccole cose (dalle merendine alla neve) e le persone che hanno reso possibile questo progetto, che hanno creduto incondizionatamente in me (e qui è d’obbligo citare Mauro Di Pierro, Marco Valente e Red Ronnie) e che hanno influito sulla mia vita musicale e non (i miei amici, i miei insegnanti). Per la buona riuscita di questo progetto in particolare ringrazio tantissimo Antonello, l’arrangiatore di cui ti dicevo prima, che ha capito quello che io avevo in mente e quello che le canzoni volevano dire e l’ha ricreato attraverso la sua sensibilità e poi tutti i fantastici musicisti che hanno suonato per me, regalandomi un po’ della loro arte e del loro mondo. La pagina dei ringraziamenti si chiude con una dedica a Lucy, Dino e Marco. E non mi stancherò mai di dire che i miei genitori e il mio produttore tutto fare, insieme ad ogni singola persona che compra il disco e che viene ai concerti, fermandosi anche solo per un momento ad ascoltare la mia musica… beh, loro ne sono il motivo.

(07/04/2009)

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