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Sergio Sgrilli

Dieci eventi d’amore per raccontare trent’anni di amore per la musica

Parlare di Sergio Sgrilli è come riportare tutto al centro. Così come dopo aver subìto un gol hai voglia di ripartire, di ricominciare a giocare, così parlare di (e con) Sgrilli significa conoscere meglio un attore, un comico, un regista, ma soprattutto un musicista. In un momento come quello attuale dove ad emergere è solo un pressapochismo dilagante, ecco che confrontarsi con un uomo di spettacolo a tutto tondo ti riconcilia con il termine “artista”. Lo incontriamo dopo la sua data milanese e più che un’intervista classica con domande-risposte, l’incontro si trasforma subito in un racconto a braccio che ripercorre le tappe fondamentali della sua vita artistica e umana.

Toscano (anzi, maremmano, come non smette di ricordare ogni volta che può..) trapiantato a Milano da ormai metà della sua vita, vogliamo farci raccontare di questo suo primo disco, della tournèe, del suo rapporto con la comicità e il teatro, e quindi la prima domanda è di quelle ‘aperte’, banali quanto basta per mascherare un filo di sarcasmo: “Come va?” E la risposta è la stessa che troviamo nel brano d’apertura del suo disco “E come vuoi che vada…in giro per l’Italia serata dopo serata”.

Partiamo proprio da qui, da questa tua vita sempre in viaggio e, ora più che mai, per la promozione del tuo nuovo disco “Dieci eventi d’amore” ti sei sobbarcato un vero e proprio tour de force, dieci tappe in dodici giorni. Da cosa nasce questo comprimere in così poco tempo tutta questa strada. “L’idea era quella di far uscire questo disco l’8 di marzo, giornata dedicata alla donna e di presentarlo in più città possibili entro il 19 marzo, festa dei papà. Donne e paternità, due cose che in questo momento assorbono gran parte della mia vita, soprattutto la seconda…”.

Una grande fatica ma anche una grande soddisfazione dicevi, perché se è pur vero che passare da un treno a un aereo, da un autostrada a un altro treno in pochi giorni è fisicamente dura, è anche vero che hai avuto modo di mischiarti alla gente in maniera più diretta del solito, più veloce, senza magari quei piccoli vantaggi che un artista ormai conosciuto può godere tra una data e un’altra. “Infatti i pasti, i concerti, gli abbracci, gli alberghi, i sorrisi, tutto è stato condensato e profondo al tempo stesso. Sono arrivato all’ultima data, quella milanese, davvero stanchissimo ma sereno come non mi capitava da tempo. Felice e soddisfatto del lavoro che ho messo in piedi insieme ai miei collaboratori, alle “menti pensanti” come me che hanno voluto, caparbiamente voluto, mettere in moto questo progetto.

Già, perché “Dieci eventi d’amore” non è solo un disco, ma una volta tanto è giusto sottolineare che si tratta di un progetto di largo respiro, che oltre al disco ha messo in moto subito una serie di date di cui dicevamo, un dvd che racconta il backstage di questo viaggio e due corposi libretti, molto curati. Uno, più o meno classico, che raccoglie i testi delle canzoni e nell’altro invece si trovano dieci piccole storie. Per uno come te che rimarca spesso di non aver mai scritto un libro… è una succosa proiezione della tua potenzialità come scrittore…. “Sì, è vero, ripeto spesso questo refrain del fatto che tra i protagonisti di Zelig sono l’unico a non aver mai scritto un libro, ma lo dico senza rimorsi (o forse sì?), è solo un dato di fatto…”.

Anche se poi ami scrivere e raccontarti, sempre con ironia e gusto nella scelta delle parole. Infatti collabori con alcune testate, per esempio con Rider, dove parli di viaggi, di moto. Una passione, quella della due ruote, che ti ha fatto conoscere e amare un personaggio come Marco Simoncelli, lo sfortunato pilota di MotoGP (chiamato semplicemente Sic) che ha visto fermarsi la sua vita a Sepang, in Malesia, a ottobre 2011. “Un caro amico Marco. La sua morte, in gara, è stata una ferita fortissima, di quelle che non potrai mai dimenticare”. Una vicinanza sincera anche alla sua famiglia, visto che hai partecipato, presentandolo, al grande raduno del 20 gennaio, giorno del 25° compleanno che si è svolto al 105 Stadium di Rimini. “Un evento incredibile, migliaia e migliaia di persone che si sono strette intorno ad un immagine, ad un ricordo che ha toccato veramente il cuore di milioni di persone”. Questo come tanti altri momenti organizzati per non lasciare cadere nell’oblio, per quanto possibile, questa figura. Come ad esempio il 1° memorial, che sempre a Rimini ha visto una partita di calcio tra sportivi, attori e troupe di Striscia la Notizia, tutti insieme per raccogliere fondi da donare alla Fondazione a lui intitolata.

Ma torniamo al tuo disco e a quell’anima musicale che, latente per troppo tempo, ora è esplosa in tutta la sua creatività. “Beh, in fondo questa può essere considerata una ‘novità’ solo per il grande pubblico. Per chi mi conosce bene sa che la musica me la porto nel sangue fin da adolescente. Prima, molto prima che come attore, nasco musicista. Anni passati a suonare nei primi gruppetti rock con in testa (oltre che tanti capelli) la voglia di emergere proprio come musicista.”. Poi qualcuno ti ha detto che forse eri più bravo come intrattenitore e che la tua strada poteva essere il teatro, la comicità…. “Sì in un certo senso è così. Ci ho messo un po’ ad accettare che il baricentro artistico che stavo sviluppando era quello dell’intrattenimento e non le sette note nella forma classica. Nei miei spettacoli ripeto spesso un aneddoto, dove racconto di quei momenti in cui suonavo con altri musicisti, mi impegnavo e loro mi dicevano che ero sprecato, che io ero davvero un attore nato. Peccato che poi, crescendo pian pian sul fronte cabarettistico, il mio modo di suonare la chitarra portava sempre i colleghi a ripetere la stessa frase e cioè che ero un uomo sprecato per la recitazione, che il mio futuro era quello da musicista…. Diciamoci la verità, mi sentivo un po’ preso per il culo…senza cattiveria, per carità…. La gente ride da matti quando lo racconto. Io un po’ meno…. No, scherzo, ormai ci sono abituato a quella terra di mezzo per cui uno non capisce mai cosa sei veramente. Ed è per questo che quando mi trovo in questo ‘dilemma Shakesperiano’ ne esco sempre con quella che è la definizione di Sergio Sgrilli che preferisco: sono una mente pensante”. Della serie… “datemi un chitarra e un pubblico e poi ditemelo voi chi sono”....

Scendendo un po’ di più nell’analisi del disco, la sensazione è di essere trasportati in atmosfere anni Settanta, poi senti reminescenze di Sergio Caputo e ti ritrovi a ripensare agli anni Ottanta. In un paio di brani c’è il blues di Gigi Cifarelli (qui a fianco nella foto) e Fabio Treves - tra l’altro due camei fortemente azzeccati - che lasciano il posto al grande lavoro di arrangiamenti che Ale Gallo, il tuo chitarrista/pianista, ha fatto con gli Archimia, rivestendo alcuni brani con tinte e suoni da orchestra. Ma troviamo anche tanta scuola cantautorale (in questo senso il brano Facci caso è uno dei più riusciti dell’album insieme a Poesie, quello che lo chiude) e infine peschi anche nell’anima più indye, come ad esempio la collaborazione con i Marta sui Tubi. Di questo gruppo, poi, hai girato anche un videoclip del loro brano Unica cosa (nella foto un frame del suggestivo video)… “Sì, in effetti in questo disco ci ho messo dentro contenuti e profumi per come intendo io la musica:  trasversalità, energia, ma anche fantasia e rigore. In questi dieci brani ritrovo me stesso, quello che ho amato in gioventù, quello che ho amato poi crescendo e addentrandomi nella musica”.

Prima citavamo Facci caso, un pezzo davvero riuscito che mette d’accordo più tipologie d’ascoltatore, quasi quasi verrebbe da dire che ci stava bene anche a Sanremo, un brano per niente banale ma che dopo due ascolti ti cattura… “Stai prestando il fianco su questo argomento, forse perché avevi già saputo questa cosa da qualche persona a me vicina o l’avevi letto da qualche altra parte… non so. Però sì, in effetti questo brano è stato presentato alla Commissione di Sanremo (Mazzi e Morandi  per intenderci..), ma niente, non è piaciuto. Non voglio star qui a fare il piangina per il fatto che non mi abbiano preso (nel frattempo mi chiede un fazzoletto di carta.. ndr), figurati, è solo che è ormai da qualche anno propongo qualcosa da portare sulla Riviera dei Fiori ma…la risposta è sempre più o meno la stessa…- Per un cabarettista come te…ci vorrebbe un pezzo come Minchia Sig. Tenente -…il famoso pezzo di Giorgio Faletti, questo è quello che ci vorrebbe”. Beh, non era per niente male quel brano… “Sì, sì, d’accordo, ma non è questo il punto. Lui ha fatto una scelta precisa, in un momento preciso (siamo nel 1993… sulla scia di tutto quello che era successo l’anno prima…), ma non è che adesso nessuno del nostro “mondo” può mettere piede nell’Ariston se non con un brano fotocopia di quello!”. Ok chiarissimo. Riprovaci comunque, l’anno prox i due nomi citati non ci sono più e se presenterai un brano con la stessa forza emotiva di Facci caso son convinto che ti vedremo scendere la scaletta tra Peppe Vessicchio e le gonne vaporose della Clerici…

Si diceva prima di Alessandro Gallo, pluristrumentista che ha lavorato con te sugli arrangiamenti. Complimenti davvero ad entrambi, perché nel disco emergono molto bene i momenti acustici e l’energia più rock di molti passaggi. Esemplare in questo senso Plagio assoluto, un brano-omaggio che hai voluto fare a tutti quei riff, a quelle melodie che ogni musicista ha in testa e che impari fin da piccolo e non ti vanno più via. È stupenda quella sensazione che si prova quando nel giro di un secondo, forse due, si riconosce un brano che in una frazione di secondo ti riporta indietro di venti, trent’anni e ti ritrovi involontariamente con gli occhi magari umidi (e qui prontamente Sergio mi ha ridato indietro il fazzolettino di carta…). Ne ho contate quasi una decina, molto riconoscibili e ne è uscito un diversstiment suonato con grande perizia e godibilissimo. Ma è tutto il disco che suona bene, tecnicamente intendo, e ho ritrovato la stessa pulizia di suono anche dal vivo. L’unico appunto che ti si può fare, è che a volte nella voce perdi una tua riconoscibilità, sembra cioè che ti avvicini di più a qualche modello piuttosto che rafforzare una tua personalità che invece dal vivo emerge molto bene. Mentre nella parte musicale hai una decisa e sicura presa scenica e tecnica, nella voce mi sembra che tu possa crescere ancora molto, dandogli appunto un colore tuo, egoisticamente più tuo. “Beh, in effetti, anni e anni di parodie su artisti di ogni estrazione e genere hanno un po’ condizionato, involontariamente, la consapevolezza del mio timbro vocale, dell’anima che voglio e vorrei dare ai miei testi”.

Hai toccato l’argomento “testi” e allora proviamo a capire di cosa parlano le canzoni di questo primo disco. Ritroviamo spesso la tua voglia di confrontarti con “l’amore”, in tutte le sue forme e sfumature, anzi a ripensarci bene proprio tutti brani parlano di questo sentimento. Mi è sfuggito qualcosa?  “Come ricordi giustamente tu stiamo parlando del mio primo disco e quindi era inevitabile metterci dentro tutto il “meglio” che avevo messo via in questi anni. E l’amore è sempre stato compagno, più spesso compagna, di vita. Alcuni brani, per esempio, li ho scritti circa vent’anni fa… parlano della mia voglia di andare in giro per il mondo a suonare, di trovare una mia strada fuori dalla tranquilla provincia. E poi ci sono i primi amori post adolescenziali, ma anche i secondi o quelli rimasti solo ricordi. Però in effetti sì, è vero, nel disco ho parlato quasi sempre d’amore ma credo di aver dato voce a sentimenti ed emozioni che mi hanno attraversato e che ancora mi toccano nel profondo. L’amore, con tutte le sue sfaccettature e declinazioni che uno vuole dargli, non passa con gli anni, non passa di moda. Ognuno lo vive sulla sua pelle in maniera diversa. Se poi fai un mestiere come il mio allora s’infila nei testi senza neanche farci grandi ragionamenti”.

Ancora due cose sulla parte strettamente musicale. Negli anni 2004-2005 hai girato in lungo e largo l’Italia con lo spettacolo Una vita da Pelatters, con una formazione ristretta dove però emergeva già in maniera forte e precisa la tua capacità di stare sul palco “non solo” come cabarettista, teatrante di parole e di gesti, ma anche e soprattutto come musicista. Ed ora, dopo aver visto lo spettacolo che hai montato per “Dieci eventi d’amore” la sensazione è che tu sia pronto per un tour di più ampio respiro, dal taglio fortemente musicale. Il gruppo di musicisti che ti segue, tra l’altro quasi tutti amici di vecchia data (Fabrizio Morganti alla batteria, Stefano Allegra al basso e il già citato Alessandro Gallo alla chitarra elettrica e al piano/tastiere) garantiscono un muro di suono coeso e capace di cambiare più volte registro e stile, anche all’interno dello stesso brano.

Quella che con una parola possiamo chiamare versatilità, un valore e non certo un voler far tutto a tutti i costi. Direi esattamente il contrario….. Insomma, ci piacerebbe che qualche agenzia di booking o management capisse quanto sia godibile e qualitativamente valido un tuo spettacolo. Un tour che ti consacri come un cantautore (un cant-attore per usare un acronimo che metta insieme le tue due anime) moderno, capace di cantare, suonare e intrattenere. E la prossima volta che ci si incontra, la prima domanda sarà la stessa: Sergio, come va? Ma la risposta vorremmo che fosse davvero diversa…E come vuoi che vada, sempre in giro - a suonare le mie canzoni - per l’Italia……

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