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Tiziano Mazzoni

Grande ritorno con l’album Ferro e carbone.

Nuovo splendido lavoro, ricco di storie di vita reale, del cantautore pistoiese che ci racconta come e’ nato Ferro e Carbone, e del prossimo tour in partenza il 13 Maggio All’una e Trentacinque di Cantù (Co) .

Ci racconti un po’ di te, come è nata la tua passione per la musica, quando e come hai iniziato a comporre e cantare?
Non so dire con precisione quando è nata questa passione ma fin dove arrivano i miei ricordi, la musica mi ha sempre affascinato ed è stata compagna delle mie giornate. Quando ero piccolo non c’erano strumenti in casa ma mia madre, che lavorava in casa alla macchina da cucire, ascoltava sempre la radio. Ricordo che in casa c’era sempre musica ed io ricantavo le canzoni che ascoltavo, imitando anche il suono degli strumenti. Questo gioco mi piaceva molto cosicché passavo molto tempo a ricantare le melodie che mi piacevano o a inventarmene di nuove. Avevo già un mio gusto per cui certe canzoni non le sopportavo mentre altre mi colpivano e mi restavano in mente. Le prime canzoni che ricordo di aver ascoltato (avrò avuto poco più di tre anni) sono “Somewhere over the rainbow” cantata da Judy Garland e “Milord” di Edith Piaff. Poi, verso i miei 5 anni, arrivarono le prime canzoni dei Beatles e degli Stones. Il veicolo era la radio ed io passavo serate intere ad ascoltarla. Arrivato all’inizio del liceo manifestai anche l’intenzione di voler imparare a suonare e chiesi in regalo una chitarra. In quel momento, però, nacquero i problemi. La mia era una famiglia operaia e i miei genitori, che avevano già fatto e avrebbero dovuto fare in futuro altri sacrifici per mantenermi agli studi, consideravano ogni distrazione, musica compresa, come un potenziale ostacolo che avrebbe potuto far peggiorare il mio rendimento scolastico. Per questa ragione, appena riuscii a farmi imprestare una chitarra da un amico, cominciai a strimpellarla quasi di nascosto. Sapevo che avrei dovuto imparare in fretta per raggiungere un risultato concreto prima che qualcuno mi fermasse. E fu così che nell’estate successiva al mio primo anno di Liceo, in occasione di una gita scolastica in Sardegna e con le preziose “dritte” di un amico chitarrista, di molto più grande di me, “bruciai le tappe”: partii che non sapevo suonare e tornai due settimane dopo come chitarrista. Tanta era la mia “sete” di musica. Ovviamente conoscevo solo gli accordi principali ma era sufficiente per accompagnarmi. E appena imparato a padroneggiare un po’ meglio lo strumento è stato naturale per me sperimentare nuove soluzioni per eseguire i brani che mi piacevano fino a inventarne di nuovi.

Quali sono state  le tue maggiori influenze  musicali ?
La musica che mi ha maggiormente influenzato è senz’altro quella nord americana, Bob Dylan e Leonard Cohen in particolare. La poesia cantata, la musica che da’ intensità alla parola… Tra gli artisti italiani più di tutti mi hanno influenzato Fabrizio De André e Francesco De Gregori. Ho ascoltato molto anche altri autori, tra questi soprattutto Francesco Guccini, al quale sono molto affezionato (siamo anche geograficamente “prossimi”…), ma l’ho sempre considerato un “narratore” più che un poeta. Grande sì, ma non ho mai trovato in lui, e in altri autori italiani, quel dono di sintesi che invece riconosco in De André e De Gregori.

Quanto tempo hai impiegato a scrivere le canzoni e registrare questo tuo terzo album Ferro e Carbone ?
Per ”Ferro e carbone” sono andato in studio, al “Paso Doble” di Gianfilippo Boni, con una manciata di nuove canzoni che avevo intenzione di registrare in versione acustica con l’idea di aggiungere eventualmente qualche brano inedito già registrato. In particolare avevo 2 outtakes di “Goccia a goccia” (“Signorina”, realizzata con Riccardo Tesi, Ellade Bandini e  Giorgio Cordini, ed una mia traduzione/adattamento di “Don’t think twice, it’s alright” di Dylan realizzata in versione bluegrass con il violinista Anchise Bolchi) più qualche inedito (“Aprile”, “Accanto alla fontana”, “Verrà il tempo” e “Il vento del Blues”, quest’ultima registrata con il contrabbassista Andrea Marianelli). Dopo le prime sessioni si è andata però delineando sempre più l’idea di un CD composto interamente da nuove composizioni, non necessariamente tutte in versione acustica. A quel punto ho avvertito la necessità di un lavoro di pre produzione, nel quale avrei potuto curare personalmente gli arrangiamenti e la produzione artistica. Per i quali ho potuto avvalermi anche della preziosa collaborazione di Gianfilippo Boni in veste non solo di fonico ma anche di produttore. E’ iniziata così la pre-produzione del CD nella quale, a parte l’utilizzo di campioni di batteria, ho suonato tutti gli altri strumenti (chitarra acustica, elettrica, armonica, mandolino, 5-strings banjo, basso, tastiere e sezioni di fiati campionate). Con Gianfilippo Boni abbiamo ideato e sperimentato molto, sia in termini di riprese che di suoni. A riprova del clima di grande creatività che regnava nello studio e che abbiamo condiviso con Gianfilippo, quasi in un’atmosfera di antica “bottega d’arte fiorentina”, sta il fatto che circa la metà dei brani sono stati sviluppati o addirittura composti lì. Una volta terminata la pre-produzione, il materiale registrato è stato inviato ai tre musicisti con i quali avevo deciso di costruire l’ossatura del CD: Pippo Guarnera (hammond), Lorenzo Forti (basso) e Fabrizio Morganti (batteria). Sono iniziate così le sessioni di registrazione ed è stata presto ultimata una prima stesura. Su questa sono intervenuti successivamente gli ospiti che hanno aggiunto la propria parte (alcuni rifacendosi ai miei provini, altri sviluppando parti originali) e che hanno contribuito a caratterizzare i brani con i colori che sentivo più adatti. Sono poi arrivate le sessioni di registrazione delle voci di Silvia Conti, Mascia Anguillesi, Giulio Conte e infine la mia (anche se, per quanto mi riguarda, devo dire che per “Rita e l’Angelo” e “Verde torrente” abbiamo scelto di tenere la voce originale dei provini perché, anche se con qualche imperfezione, ci emozionava di più). Se consideri che il CD è stato autoprodotto, capisci bene che ho dovuto distribuire nel tempo tutte queste attività per cui la gestazione è durata molto: in tutto 2 anni.

Da dove sono arrivate le ispirazioni per scrivere questi i brani ?
A differenza del precedente CD, Goccia a goccia, nel quale regnava un’atmosfera introspettiva e che era pervaso da un vissuto personale e intimo, con Ferro e carbone” sono passato ad una scrittura meno personale e ad una dimensione più corale. A uno sguardo diverso sulle cose e sul mondo che ha portato alla composizione di brani che sostanzialmente sono storie, di personaggi, di situazioni e che, ad eccezione di Qualunque nome dirai e Verde torrente, non sono a sfondo personale. L’ispirazione per comporre i brani di Ferro e carbone è arrivata da più direzioni: dalla lettura dell’intervista ad uno dei sopravvissuti di S. Anna di Stazzema (La lucciola e il bambino); da alcune considerazioni sul fanatismo religioso che oggi ci sembra incomprensibile ma che ha fatto parte anche della nostra storia quando il lato oscuro del potere ecclesiastico più retrivo non risparmiava il supplizio a presunti maghi e streghe, eretici, filosofi e uomini di scienza per tutelare i propri dogmi, un fanatismo che, di qualunque natura fosse, e sia ancora oggi, si regge sempre sull’ignoranza (Il velo); dall’urgenza di alcuni temi come come quello dell’immigrazione di massa (Quattro barche) o della perdita del lavoro (Piombino); dal rifiuto di adattarsi a un mondo che impone i miti della gioventù, della velocità e della facilità come valori supremi per rivendicare un passo lento ma coerente, un ragionamento più profondo (Noi camminiamo); dalla constatazione di una società che tende sempre più a farci chiudere su noi stessi e sulla nostre paure, isolandoci gli uni dagli altri (Sciogli il cane). Infine, in una sua misura, ha inciso anche la distanza da Pistoia (abito a Firenze ormai dal 2007) che mi ha permesso a guardare alla mia città natale con occhi diversi e, ormai dall’esterno, a raccontarne la storia attraverso due sue figure emblematiche: il poeta clochard Remo Cerini e l’eroe partigiano Silvano Fedi. Ci sono poi due brani, E’ una magia e Ancora da imparare, per quali il riferimento autobiografico è incidentale ed ha costituito semmai il pretesto per raccontare con ironia due “disavventure” amorose.

C’è nei testi un ben equilibrato mix di privato/personale e pubblico/sociale, questo mix è arrivato in maniera naturale ?
Direi di sì. Non ho cercato questo equilibrio. Se si avverte è frutto degli stimoli che mi hanno portato a scrivere i quali, in quanto tali, devono essersi in qualche modo connessi a due aspetti che convivono in me: il primo è l’urgenza del racconto di un vissuto personale, intimo; il secondo è la necessità di un racconto corale che è motivata, credo, da una mia istintiva solidarietà verso le istanze umane e sociali dei più deboli e delle minoranze, alle quali in qualche modo cerco di dare voce in alcune delle mie canzoni

Riesci ad emozionare l’ascoltatore trattando temi caldi e tragici come la perdita del lavoro, i clochard, l’immigrazione, la malattia, la povertà, la guerra e le stragi nazifasciste, sempre con testi di  grande sensibilità, delicatezza e  poesia. Sono caratteristiche della tua personalità ?
Posso dirti solamente che è sempre un’emozione che mi spinge a scrivere. In qualche modo devo essere partecipe della storia che racconto. O perché fa parte di me, dei miei ricordi, o perché mi ispira, perché tocca qualcosa di profondo in me. E mi calo nelle situazioni che racconto e nei loro protagonisti cercando di viverne le sensazioni, di descriverne l’ambiente, come se fossi lì con loro. Con onestà e con la mia sensibilità. Se poi le parole che scrivo riescono ad emozionare anche chi le ascolta allora, nel mio caso, sono soddisfatto: vuol dire che la comunicazione ha funzionato, che il messaggio è arrivato. Perché è attraverso l’emozione che cerco di comunicare le storie che sento l’urgenza di raccontare. Lo faccio con le canzoni perché questo so fare. Ma le canzoni sono e sono sempre stati per me lo strumento, il veicolo. Se ne fossi capace lo farei anche con le immagini o con la parola scritta.

Ti sei sempre circondato in sala di registrazione di ottimi musicisti, penso al secondo album Goccia a goccia, che vedeva la presenza di  Luigi Grechi, Ellade Bandini, Giorgio Cordini, Riccardo Tesi, Pippo Guarnera, questi ultimi due presenti anche in questo nuovo album . Che cosa hanno aggiunto questi grandi musicisti al tuo lavoro?
La loro grande sensibilità e il loro carattere. Due elementi che gli hanno portati ad esprimere interventi perfettamente pertinenti e suggestivi, che hanno arricchito i brani che hanno interpretato. La cosa che mi ha sempre colpito dei grandi musicisti e che, in qualche  modo, li accomuna è la chiarezza della loro “calligrafia musicale”. La sicurezza del loro “tratto” e la “misura” negli interventi.

Nel disco mi sono piaciute in particolare La lucciola e il bambino e Qualunque nome dirai. Come sono nati questi due brani ?
La lucciola e il bambino è ispirata ad una vicenda reale avvenuta nei pressi di S. Anna di Stazzema dove alcuni civili già rastrellati, tra i quali un bambino, riuscirono a salvarsi grazie ad un giovane soldato tedesco al quale erano stati affidati e che, invece di obbedire ai suoi ordini, li lascio fuggire sparando in aria e simulando la loro fucilazione. La storia potrebbe comunque essere riferita a qualsiasi altro luogo dove infuria la guerra che ha sempre, come prime vittime, i più deboli. Ho immaginato un bambino che fugge dalla battaglia, dal suo paese distrutto e, mentre scende la notte, trova rifugio in un anfratto. E là aspetta che tutto passi in compagnia di una lucciola che ha raccolto lungo il cammino. E' la Toscana del '44, ed è purtroppo una delle numerose storie di rappresaglia delle quali è stata vittima questa terra al ritiro delle truppe nazi-fasciste. Qualunque nome dirai è invece una canzone autobiografica e sicuramente è il brano di “Ferro e carbone” che mi tocca di più. Si ispira alla vicenda di mio padre, affetto da Alzheimer. Un'orribile male che prima di portarti via ti priva dei ricordi e della tua identità. E quando un padre dimentica anche il tuo nome, passata la disperazione, arriva la compressione che forse l'unico modo per comunicare ancora con lui sta oltre la razionalità, oltre la consapevolezza di sé,  in una dimensione dove non esistono più nomi, tempi e ricordi. Restano però i segni di una dignità e di un coraggio che riconosci ancora in tuo padre, fino negli ultimi gesti. Per Qualunque nome dirai ho immaginato un finale quasi pagano, un incontro con mio padre in una sorta di campi elisi, che poi è la campagna della sua gioventù. Per questo brano c’è anche un finale alternativo, che fino all’ultimo sono stato tentato di inserire nel CD al posto dei versi attuali, e che forse proporremo dal vivo..

E’ una magia è una deliziosa canzone che si differenzia molto dagli altri brani del disco per la sua leggerezza e  per il suo brillante e divertente ritmo reggae. Ti sei preso con questo pezzo una “vacanza” sia nella musica che nei testi ?
No, direi piuttosto che ho guardato con ironia alla vicenda che intendevo raccontare e ne ho colto gli aspetti “tragicomici”. Il che ha alleggerito l’atmosfera e mi ha portato a cercare anche una “veste musicale” più consona alla canzone, un arrangiamento che mi divertisse. E alla fine la scelta è caduta su un’ambientazione musicale caraibica dove le disavventure del protagonista vengono ironicamente "commentate" da un trombone a coulisse. Non so se tutto questo sia stata una “vacanza” ma sicuramente è stato stimolante sperimentare un linguaggio diverso…e anche divertente.  

Mi ha colpito anche la storia di Remo Cerini, la sua vita di vagabondo, di poeta, di clochard, raccontato in Rita e l’angelo. L’hai conosciuto personalmente in gioventù o hai sentito raccontare le storie su di lui ? 
Remo Cerini era una costante per le strade della Pistoia della mia adolescenza. Mori all'età di 92 anni, nel 1980, dopo che ben tre generazioni lo avevano visto, ascoltato e parlato con lui. Ho sentito raccontare molte storie su di lui ma ho avuto anche l'opportunità di conoscerlo di persona. E con lui Rita che, nonostante la sua asprezza, aveva per lui una tenera attenzione. Forse è stato il ricordo di questa sua tenera umanità che molti anni dopo mi ha portato a scrivere Rita e l’angelo, dove immagino l'incontro di Rita con Remo. Un uomo che, per la sua sensibilità e la sua cultura, nonostante la sua misera condizione, forse doveva essere apparso a lei, figlia della Livorno popolare di fine ottocento, quasi come un angelo. Ed un angelo, in qualche modo, alla fine del brano lo diventa. Quando aprendo le sue ali la avvolge in un abbraccio liberatorio per poi volare verso un meritato paradiso. Una nota interessante a proposito di Remo Cerini è che dal 2013 il Comune di Pistoia ha istituito "Via Remo Cerini" quale "indirizzo anagrafico convenzionale" per le persone senza fissa dimora che potranno inserirla nei loro documenti anagrafici e anche nella carta d’identità, potendo così usufruire dei  servizi socio sanitari e di godere dei diritti civili, quale quello di poter rinnovare i documenti.

Zaccaria per terra, il tuo primo album, è del 2006, Goccia a goccia è del 2011, ora questo nuovo Ferro e carbone, in media un album ogni 5 anni, come mai cosi tanto tempo tra un lavoro e l’altro ?
Il fatto è che non sono un musicista a tempo pieno. Sono impiegato in un’azienda metalmeccanica del settore aerospaziale, ho una famiglia con un bimbo di quasi sei anni che richiede il mio impegno ed ho una madre molto anziana che devo comunque seguire. Perciò la mia disponibilità temporale è limitata e, se da un lato riesco a trovare il tempo per comporre e realizzare una pre-produzione, dall’altro non riesco a dedicarmi sufficientemente alla promozione della mia musica e al booking. Altra limitazione è la disponibilità finanziaria per coprire i costi di produzione di un CD. Le due cose insieme hanno fatto sì che tra un lavoro e l’altro siano passati mediamente 5 anni.

Cosa ti manca per arrivare, meritatamente, ad un pubblico più vasto ?
Mi lusinga il fatto che tu consideri la mia musica meritevole di arrivare a un pubblico più vasto ma sul fatto di riuscirci sono un po’ scoraggiato. Probabilmente mi manca davvero qualcosa. Sicuramente il tempo di stare tutto il giorno sui social, di uscire tutte le sere a cercare serate, di intraprendere e mantenere relazioni per costruire nuove opportunità. Scrivere buone canzoni non basta e non ti porta da nessuna parte. Se non hai “un nome” non trovi agenzie di booking disposte a lavorare con te perché si impegnano solamente con artisti famosi che gli garantiscono una percentuale accettabile. Perciò non ti esibisci, se non in piccoli club, non guadagni e non riesci a coprire i costi delle tue produzioni. Quindi ti devi quindi autofinanziare e conseguentemente produci di quando puoi, cioè di rado. Per avere anche una minima visibilità bisogna che qualcuno investa su di te ma se non sei giovane o se non sei “un personaggio”, nessuno la fa. Perché nessuno pensa di guadagnarci. Pensa che, per assurdo, chi è protagonista di un “fatto di cronaca”, nera o bianca che sia, e che magari frequenta salotti televisivi, locali o nazionali, acquista una notorietà tale per cui può scrivere libri, incidere dischi e sarà programmato da tutti. Spesso penso che, alla mia età, forse farei meglio a stare più tempo con mio figlio e a lasciar perdere la musica. Questo bisogno di esprimermi, di comporre e di registrare che a volte mi sembra un “smanceria” borghese, uno pretesa edonistica, senza la quale si vive lo stesso. Fino a pensare che se non avessi avuto la capacità di suonare, cantare e comporre forse avrei evitato questa frustrazione. Eppure non riesco a farne a meno e, passati i pensieri più negativi, torno a credere che la testimonianza del pezzetto di vita e di storia che mi è stato dato di vivere io abbia tutto il diritto a raccontarla. Così come tutti quelli che sentono il bisogno di farlo. E siccome è per questo che scrivo, credo continuerò a farlo. Magari produrrò in maggiore economia ma più spesso. Probabilmente è un karma generazionale per cui, come da giovani abbiamo lottato per far sentire la nostra voce e guadagnarci uno spazio che non ci era riconosciuto, così mi trovo adesso a rivendicare uno spazio espressivo anche per la nostra “mezza età” perché abbiamo le ragioni e la capacità per farlo

Pensi sia più facile oggi, grazie a Internet e alla musica “liquida” essere ascoltati e trovare un pubblico ancora più ampio?
Penso di sì. La rete ha grandi potenzialità ed offre la possibilità di acquisire una visibilità che una volta era molto più difficile raggiungere. Il fatto che con costi limitati si possa usufruire di una diffusione così ampia ed in tempi così brevi costituisce un’opportunità imperdibile. Credo che la rete sia uno strumento potente che, se utilizzato con criterio e misura, possa risultare molto efficace.

Quali dischi ti sono piaciuti negli ultimi tempi ?
Tanto per citarne alcuni “You want it darker” di Leonard Cohen, “Backstar” di David Bowie, “John the Revelator” di Tom Waits, “Keep me singing” di Van Morrison. Tra gli italiani “Bobo Rondelli canta Piero Ciampi” di Bobo Rondelli, “La fine dei vent’anni” di Motta, “Canzoni della Cupa” di Vinicio Capossela

Quali artisti ti hanno colpito negli ultimi anni ?
La recente produzione di Dylan,  “Time out of mind”, "Love and theft" e "Modern Times". Poi Leonard Cohen, che ho molto apprezzato anche live. Poi Daniel Lanois, anche nelle sue produzioni, soprattutto per l'inconfondibile suono. Il bluegrass di Norman Blake, Earl Scruggs, Tony Rice. L’Alt Country di Townes Van Zandt, Gram Parson fino ai più recenti Wilco, Calexico, Steve Earle, Lucinda Williams, My Morning Jacket. Johnny Cash, immenso, soprattutto quello dell’ultimo periodo. Mi ha molto affascinato anche la scena di New Orleans, da Doctor John a Zachary Richard e Neville Brothers. Una mia costante poi è stato Van Morrison. Tra gli italiani la produzione più recente di Francesco De Gregori, poi Ivano Fossati e Vinicio Capossela. E infine Bobo Rondelli che secondo me ha una grande scrittura.

E’ previsto un tour ?
Inizieremo con due presentazione di “Ferro e carbone”, la prima il 13 maggio “All’una e trentacinque circa” di Cantù (CO) e la seconda il 20 maggio al “Circolo Il Progresso” di Firenze. Saranno entrambe “full band”, con Pippo Guarnera all’hammond, Lorenzo Forti al basso, Fabrizio Morganti alla batteria ed io all’acustica, all’elettrica ed all’armonica. In sostanza il quartetto con il quale ho realizzato l’ossatura del CD. Special guest il 13 maggio Matteo Urro alla chitarra elettrica e il 20 maggio Giuseppe Scarpato (lead guitar della band di Edoardo Bennato). Altre date, nel periodo estivo, sono in trattativa per l’area toscana ma vorremmo avere una programmazione più ampia. Come ti dicevo, quello del booking per noi è un problema. Perciò se qualche agenzia avesse interesse a proporre il nostro progetto saremmo lieti di discuterne.

Progetti futuri ?
Sicuramente continuare a scrivere e a proporre dal vivo la mia musica. Con l’intento, però, di dedicare maggiore attenzione alla promozione ed alla diffusione del mio materiale che è fondamentale per raggiungere un pubblico più vasto. A questo proposito, colgo l`occasione per ringraziare IRD International Records Distribution, che cura la distribuzione del disco, MRM Maremmano l’etichetta che l’ha pubblicato e Macramè - Trame Comunicative, che è il mio ufficio stampa, senza il loro fondamentale supporto questo lavoro non avrebbe avuto l`attenzione che sta avendo. E forse neppure avrebbe visto la luce.

 

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