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Quando si dice che qualcosa nasce dal “basso”, possiamo pensare subito a due cose. La prima è che dalle quattro corde del basso, dalla ritmica, può nascere una canzone (e gli ...

Joe Barbieri

La metamorfosi

Incontriamo Joe Barbieri alla Feltrinelli Appia di Roma in occasione dello show case di presentazione di Maison Maravilha, il suo ultimo lavoro. Napoletano, scoperto giovanissimo da Pino Daniele e da questi prodotto per i primi due – ottimi – album “Gli amori della mia vita” e “Virus”, nel 2003 sceglie la strada dell’indipendenza per poter fare musica nel modo che sente più suo. Il risultato è sorprendente: una vera metamorfosi, un cambiamento radicale nel genere e nello stile, fino al più recente (e splendido) disco.


La prima domanda è obbligata: come passi dal pop di “Virus” alla ricercatezza raffinata di “In parole povere”?
Direi che… in qualche momento devo essere morto e poi devo essermi reincarnato. Mi sembra di parlare di un’altra persona quando penso ai primi due dischi, fatti da uno che in qualche modo stava cercando di capire come funzionava il giocattolo. Un po’ perché ero abbastanza giovane, e poi perché comunque avevo alle spalle delle persone che avevano invece esperienza da vendere, e probabilmente delegavo tante scelte, subordinavo tante esigenze all’esperienza di altri. Per cui quando parlo di questi due primi dischi dico sempre che sono state esperienze di “precampionato”, nel senso di formazione, di esperimenti, di prova. Mentre “In parole povere” e “Maison Maravilha” sono i miei primi due dischi, sento come di essere al secondo disco. Tutto quello che è stato prima è stato esperienza da immagazzinare per sapere esattamente che cosa non volevo fare!

Il fatto di lavorare con un personaggio del calibro di Pino Daniele è stata un po’ un’arma a doppio taglio…
Tu considera che io sono cresciuto con la musica di Pino Daniele, e qualsiasi cosa lui potesse dire in qualche modo per me era legge, era piacevolmente legge. Però è chiaro: il primo disco fatto a diciotto anni, il secondo fatto a ventiquattro… Già nel secondo ci avevo messo un po’ di bocca, così… Ma ti ripeto: sono stati due dischi fatti piacevolmente per far sì che si formasse una personalità, un carattere musicale…

E poi cosa è successo?
C’è stato un anno in cui ricordo perfettamente di aver resettato tutto, di aver detto: no, io lo so quello che voglio fare, io lo so proprio quello che voglio fare, e adesso lo faccio. Non ho più voglia di andare a chiedere, aspettare risposte…

Quindi un secco taglio con il passato e la consapevolezza di quello che volevi fare. Che cosa volevi fare?
Innanzi tutto circondarmi di persone che sentivo essere vicine: quindi sono partito proprio da un nucleo di amici di vecchia data, gli ho insegnato quel po’ di lavoro che conoscevo, e poi piano piano ci siamo organizzati per fare questo disco che aveva delle canzoni che nessuno voleva. Le avevamo propinate alle varie case discografiche, ma non sembravano interessare. Per cui mi domandavo: ma perché devo aspettare la risposta di qualcuno che poi magari lo stampa, quel disco, però rimane lì, oppure lo lavora in una maniera che non mi rappresenta… Chi fa da sé fa per tre: e così abbiamo fatto.

Un nuovo mondo umano e musicale da cui nasce non solo l’album della svolta, ma anche una sorta di carriera parallela come autore: persino Mina ti chiese di incidere la tua Leggera
Sì, l’aveva anche registrata. Poi non l’ha mai pubblicata.

E Giorgia ha cantato In vacanza con me, che tra l’altro è stata anche un grande successo; e anche altri artisti…
…anche Patrizia Laquidara… è una cosa che mi diverte, ma che non nasce con premeditazione. In qualche caso qualcuno mi chiede o di scrivere qualcosa, o se ho qualcosa di già scritto… L’unica controindicazione che ho è che io scrivo pochissimo…

Non sei prolifico.
No. Una volta lo ero, ma scrivevo un sacco di c.…ate! Adesso ho ridotto tantissimo.

Be’, ora lavori sulla qualità!
Non lo so, comunque il risultato è che scrivo pochissimo! Mi ricordo che per quest’ultimo disco c’è stato un buco di tipo otto mesi, dove non usciva niente, niente proprio.

Sono nate esigenze diverse dopo “In parole povere” che ti hanno portato a “Maison Maravilha”?
Non sono tante né profonde, le differenze; semplicemente sono passati quattro anni, e contandoli uno a uno i Paesi che hanno pubblicato quel disco erano otto; quindi forse, se un’esigenza può esserci, è quella di continuare e di sviluppare questo percorso fuori dall’Italia. La partenza è buona, perché saranno dodici questa volta i Paesi che pubblicano “Maison Maravilha”. Poi mi piace, sostanzialmente, fare questo lavoro; sto bene, non ho velleità né arriviste, né… Come dire: non per fare la persona colta perché non lo sono, però De André diceva: “Per la stessa ragione del viaggio, viaggiare”…

Anche il tuo disco è un po’ un viaggio: ci sono dentro tanti mondi diversi amalgamati insieme tra ritmi, testi e arrangiamenti. Hai tratto ispirazione più da letture e ascolti o c’è stato anche un viaggiare reale?
Sì, c’è stato, c’è stato. Però devo dire che le cose più interessanti sono venute – che so – dai libri che parlavano di posti lontani, dai film, dai dischi, naturalmente… sì, da tutte queste influenze. Anche qualche viaggio, non tantissimi. Sì, insomma, è più una deduzione attraverso le opere di altri che consente di viaggiare.

Parliamo delle tue collaborazioni: in “Maison Maravilha” ce n’è una d’eccezione, quella con Omara Portuondo. Sono incontri che nascono per caso o sei uno che li cerca?
Ma io faccio tipo la collezione delle figurine. Nel senso che mi scelgo proprio… dico: questo disco è bellissimo, questo artista lo voglio! E allora cerco di adoperarmi per. Ovviamente con un minimo di senso del realismo. Però poi nemmeno tanto, perché, insomma, Omara Portuondo è una superstar pazzesca, quindi… Diceva un mio amico: a scendere c’è sempre tempo!

Poi dipende sempre dalle persone, a prescindere dalla loro notorietà; sarà anche bello scoprirle, certe cose…
È stato esattamente così con Omara: ho scoperto una persona che alla sua età non deve più farsi troppi conti in tasca, e che se le va di fare questa canzone specifica con un signor nessuno, la fa.

Probabilmente anche dal punto di vista umano è un’esperienza intensa, questa di andarsi a cercare le persone…
È bellissimo, anche perché, guarda, ti dico la verità… forse un po’ tutti, o no, boh, non lo so, però a me piace collaborare, sapere che qualcuno di così bravo, di un’esperienza così sterminata, che ha dato al mondo musicalmente così tanto, che è stato premiato, sceglie te come unico italiano con il quale collaborare, con un suo disco che pochi mesi prima è uscito e nel quale aveva duettato con Chico Buarque… Voglio dire, il mio ego è soddisfatto per vent’anni! Basta questo!

Questo mondo che ti sei creato è il tuo modo di essere libero, che credo per te sia fondamentale…
Fondamentale. Infatti ho fatto bingo. È la formula che mi rende contento e che mi mette in condizione di lavorare con la più assoluta tranquillità.

Com’è la tua attività dal vivo?
Tendo a raggrupparla, perché poi sono abbastanza sedentario, quindi tendo a compattare tutto, fare pochi giorni e poi ritornare a casa. Però c’è.

Ma ti piace?
Il concerto mi fa abbastanza paura…

Ti faccio questa domanda perché penso che tu sia piuttosto perfezionista: sei molto accurato, sia nel canto che nel suono, per cui mi chiedevo la situazione del concerto – che non è la sala d’incisione, per cui non puoi prenderti tempo, ripetere e così via – come te la vivessi.
Effettivamente hai notato un dettaglio che è la prima volta che qualcuno nota. Nel senso che nel concerto o veramente si crea quella magia – ecco, ti assicuro, prima (durante lo show case, ndr) mi è piaciuto tantissimo – oppure, se sento che c’è una serata dove questa cosa non si crea, io faccio una fatica tremenda. Poi magari il pubblico non se ne accorge, però mi pesa, sì, tanto. Deve essere una cosa onesta.

I cantanti napoletani sono seguitissimi nella loro città; vi sono schiere di cantanti celeberrimi a Napoli e sconosciuti altrove. Tu hai un tuo pubblico nella tua città? Perché, ecco, non sei certo un “neomelodico”, fai cose un po’ diverse…

Devo dire che il passaggio di genere – chiamiamolo così – ha ridotto le fila del pubblico. Sicuramente in città più o meno mi conoscono, però la scelta che ho fatto in qualche modo ha determinato una selezione anche nella disponibilità, nella specie di pubblico disposto a seguirmi. Ma va bene così.

Parliamo dei tuoi progetti per il futuro. In particolare, poiché mi sembrerebbe naturale vedere uno come te al Tenco, mi domandavo se ci avessi mai pensato.
Il Tenco è il mio sogno, da sempre. L’ho desiderato fin da quando facevo dischi che non erano, secondo me, adatti a guadagnarsi uno spazio in quel senso. Oggi, che ho anche, forse, un po’ più di consapevolezza del peso di questa istituzione, vorrei davvero farlo, perché è un posto dove la musica è sempre stata trattata bene, e nel quale penso, ho la sensazione, che potrei sentirmi a casa e offrire qualcosa.


(17/03/2009)

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