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Le Hibou

Musica dell'immaginazione

Le Hibou nascono nel 2006 e in pochi anni sono riusciti ad aggiudicarsi numerosi premi e riconoscimenti tra cui il premio speciale “L’Isola che non c’era” al MArteLive 2010. Simone Napolitano (chitarra e voce), Azzurra Suraci (tastiere e voce), Simone Grasso (basso) e Andrea Mellace (batteria): quattro ragazzi che amano le sfide e credono fortemente che la musica, prima di essere creata, vada immaginata. Conosciamoli e cerchiamo di capire, insieme a loro, come la musica de Le Hibou si trasforma in “un film per le vostre orecchie”. 

 

Cominciamo parlando un po’ del vostro progetto. Quando è nato e come vi siete incontrati?

Il nostro progetto inizia nell’inverno del 2006 con una formazione leggermente diversa da quella attuale. C’era un secondo chitarrista e un altro batterista. L’impronta sperimentale era stata comunque già data, e, dopo una fase iniziale di riorganizzazione del sound e delle idee, siamo riusciti a far quadrare il cerchio attorno ad un quartetto (la formazione attuale per intenderci), all’interno del quale ogni singolo musicista potesse godere di una certa libertà espressiva. La fase “cover”, step obbligato per tutte le band emergenti, è durata relativamente poco, circa una stagione estiva, in cui ci siamo “fatti un po’ le ossa” nei live club locali. Ad ogni modo, l’esigenza di creare è sempre stata forte, per cui fra un classico dei Pink Floyd e un altro dei Beatles proponevamo (senza alcuna pretesa) le nostre prime composizioni originali. Ricordiamo come non presentavamo di proposito il brano inedito al pubblico, nonostante i consigli di amici un po’ più esperti ci spingessero proprio a fare il contrario (ditelo che è un pezzo vostro), proprio per avere successivamente un eventuale riscontro oggettivo (il pubblico dei primi concerti era composto in prevalenza da amici e parenti). 

La vostra è "una musica non convenzionale e aperta alle contaminazioni". Ci spiegate come questo concetto si traduce nel vostro lavoro?

È una domanda a cui ci piace sempre tanto rispondere! Il background musicale è molto diverso fra tutti e quattro i componenti della band: c’è chi è molto affascinato dal jazz, chi dalla musica classica, chi dal rock più melodico e chi dai tempi dispari del progressive più serrato. Chiaramente tutte le influenze che poi si traducono in ore di ascolto e pratica sugli strumenti devono necessariamente convivere in modo armonioso all’interno del progetto “Le Hibou”: un metodo che fino a questo momento ci ha dato molte soddisfazioni consiste nell’immaginare la nuova composizione prima di suonarla. Siamo convinti che fino a quando un musicista, per quanto bravo possa essere, inizia a comporre mettendo da subito le mani sullo strumento, molto probabilmente tenderà a “ripetere” le cose che sa già fare o quelle che in passato gli hanno garantito maggiori successi, tenderà insomma ad utilizzare le stesse soluzioni; se invece la musica viene prima immaginata, beh... L’immaginazione può giocare brutti scherzi e si è costretti, in un certo senso, a tradurre in musica le proprie fantasie, e questo ti spinge a trovare altre soluzioni che richiedono spesso tempo e fatica. Poi l’influenza di tutto ciò che si è ascoltato, quella è innegabile, non si può e non si deve cancellare…nessuno inventa niente dalla sera alla mattina!

Inoltre sostenete che l'unica vostra esigenza è di creare, attraverso la musica, un canale comunicativo non verbale. Quindi puntate più sull'aspetto musicale ed emozionale rispetto al testo?

L’intento è quello di creare un canale comunicativo “altro” rispetto a quello verbale, che non significa che uno possa sostituire interamente l’altro. Facciamo un esempio: se io ti dico “sì, mi piace molto questa intervista”, però te lo dico con un muso lunghissimo mentre guardo da tutt’altra parte, tu probabilmente percepirai il messaggio: “questo si sta annoiando a morte - almeno avesse avuto il buon senso di non dire la solita frase di circostanza”; se invece io ripeto sempre la stessa frase, ma tu leggi nei miei occhi, nella mia espressione la coerenza fra ciò che penso e ciò che dico, allora magari ti farai un’impressione diversa di me. Questo vale per le cose belle e le cose brutte che uno deve dire, così come per la musica. Pensiamo ad un film con dei dialoghi bellissimi e una musica completamente fuori luogo di sottofondo. Beninteso, non sto parlando dell’aspetto qualitativo dei dialoghi o della musica (restando all’esempio del film)…sto parlando di due cose non coerenti tra loro, ne verrebbero inficiate sia l’una che l’altra. In fin dei conti la nostra musica ci piace definirla come “un film per le vostre orecchie” citando una frase di Franz Di Cioccio. Per cui direi che assolutamente musica e testi hanno la stessa importanza!

Nel 2008 nasce, dalla collaborazione con lo scrittore romano Renato Spaventa, il concept-album "Scrivere il cielo". Parlateci di questo lavoro e della collaborazione con Spaventa.

Spaventa è un personaggio tutto da scoprire, con lui è stato amore a prima vista! Ci siamo conosciuti in un caffè romano grazie ad un amico in comune. Al primo bicchiere si parlava delle rispettive aspirazioni professionali, un discorso molto serio a cui nessuno credeva più di tanto; al secondo si iniziava a raccontare dei propri sogni con passione e trasporto; al terzo bicchiere si sono scoperte tutte le carte e uno esordisce: “Sai che io sono uno scrittore” e l’altro: “Sai che io sono un musicista”! Insomma la serata è finita a leggere poesie (le sue) e ascoltare musica (la nostra)….Il numero dei bicchieri poi è passato in secondo piano. Lui ci ha consegnato un’opera composta da circa 200 poesie, poi assieme abbiamo scelto quelle più significative, abbiamo composto le musiche e in totale armonia e collaborazione è nato "Scrivere il cielo".  Se dovessi descrivere il concetto attorno al quale è stato costruito tutto il disco, tenterei di riportare l’intera storia a situazioni di vita quotidiana in cui spesso le allucinazioni sono molto più reali della realtà stessa, che può risultare alterata e artefatta soprattutto quando più persone, di cui ti sei circondato, tentano di persuaderti.

Avete partecipato a diversi contest musicali: Tour Music Festival, MArteLive ecc. Cosa pensate dei concorsi? Sono realmente un'opportunità per una giovane band che si affaccia a questo mondo?

Sì: i concorsi, almeno per noi, sono stati degli ottimi trampolini di lancio. È vero che ce ne sono alcuni molto meglio organizzati di altri, ma il minimo comune multiplo di tutti i contest è quello di poter arrivare ad un pubblico difficilmente raggiungibile in altre situazioni…sempre per il discorso di cui prima, della necessità di comunicare, di esprimersi, eccetera. Per noi, un buon concorso è riconoscibile dal fatto che non si conclude con la finale e la premiazione: un buon concorso è caratterizzato da una filosofia organizzativa che promuove e porta avanti le band più interessanti anche e soprattutto nel periodo successivo al contest stesso. In questo modo, le band emergenti hanno più interesse a partecipare e a proporre un prodotto di qualità perché sono consapevoli che, al di là della decisione della giuria (su cui possono giocare un numero infinito di variabili), la qualità e la professionalità vengono premiate, e si inizia a tessere quel network di contatti necessario per proporre il proprio progetto anche al di là dei confini provinciali e regionali. In tal senso, una realtà veramente degna di nota è il “Sonic Waft Contest– premio Chris Cappell: è un format studiato e realizzato esclusivamente per i giovani emergenti che si svolge nel periodo invernale in diverse località italiane. L’obiettivo è veramente quello di far esibire, dopo un’accurata preselezione, gruppi musicali vogliosi di emergere e di affermarsi nel panorama musicale. Noi sponsorizziamo l’iniziativa proprio perché siamo stati i vincitori dell’edizione 2010 e stiamo continuando a raccogliere proposte di esibizioni e concerti proprio in qualità di vincitori del Sonic Waft Festival. Penso che questo sia il premio più importante per una band che vuole suonare su e giù per la penisola.

State lavorando al vostro secondo album. Qualche anticipazione?

Sì, a dire la verità il secondo album è quasi pronto: alcuni brani li portiamo in giro già da qualche mese e alla finale del MArteLive ne abbiamo proposti un paio. Da questo punto di vista.. siamo un po’ old-school, nel senso che ci piace prima proporre dal vivo i brani nuovi e poi inciderli, proprio per avere il tempo di rodarli e di valutarne l’effettivo potenziale comunicativo. Per quanto riguarda il filo conduttore che collegherà l’intero album, il tiro sarà leggermente spostato verso la descrizione anziché l’introspezione: sarà da pensare come una serie di fotografie “imposte” alla vista dell’ascoltatore. Nel frattempo, cercheremo di porre all’attenzione dei produttori il nuovo progetto, in modo da avere un budget più consono alle spese che un normale studio di registrazione richiede. “Scrivere il cielo” è stato interamente registrato nella nostra sala prove, ed è solo grazie alla sapiente conoscenza dei software di recording di Francesco Silipo (MobileStudio di Catanzaro), nostro sound engineer, che si è potuto ottenere un buon risultato. Speriamo con il secondo progetto di poter lavorare con più tranquillità...

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