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Massimo Priviero

Nuovo album per una nuova ripartenza.

Ali di libertà, il nuovo album di Massimo Priviero, esce in questi giorni di metà settembre ed è un capitolo importante nella discografia di questo eterno rocker, partito dalla terra veneta molti anni fa per approdare a Milano, ormai da molti anni sua città d'adozione.
Undici brani (più una bonus-track) che ci consegnano un artista al culmine della sua maturità artistica (a dire il vero ormai da qualche anno....) e pronto ad allargare ulteriormente il suo pubblico. Nel pieno della promozione, lo abbiamo incontrato e con la consueta cordialità tipica del veneti si è prestato a raccontarci qualcosa di più del disco e del suo nuovo tour, che partirà dal Blue Note di Milano il 27 ottobre.


Sono passati molti anni da quando suonavi per le strade d’Europa e giusto venticinque dal tuo primo album (qui a fianco la copertina di San Valentino, uscito nel 1988). Mi pare che la grinta non sia diminuita?
Vado avanti con la forza che è dentro di me. Forza da dare a chi mi è vicino, a chi viene ai miei concerti. A chi sa che non è solo far musica ma anche un modo di stare al mondo.

 

Ali di libertà rappresenta una sorta di confessione pubblica della tua dimensione umana e, per certi versi, spirituale. Sei d’accordo e, nel caso, perché hai deciso di “esporti” in maniera così netta?
È forse il mio album più autobiografico, ma allo stesso modo più condiviso. Non c’è niente di più vero che il rivelare a chi ti è vicino la propria anima. Nella sua forza e nella sua fragilità emotiva.

 

Le liriche ed i suoni di questo album rappresentano, a mio parere, il livello qualitativamente più alto della tua produzione. Qual è stato il processo creativo che ha fatto sì che dalle idee di base si passasse a questo splendido risultato?
Ho iniziato a scriverlo due anni fa, è stata una gestazione lunga. Ho avuto il tempo di metabolizzarlo e di scavare a fondo soprattutto la parte relativa ai testi. Se invece parliamo della parte strettamente musicale, credo ormai di avere un suono molto identificato, individuabile, ed è questo suono che veste i pezzi della mia vita. Difendo fino in fondo questo amalgama di testi e musica che, come dici tu, in questo album sono riuscito ad esprimere compiutamente.

 

Le esperienze artistiche che hai amato da sempre sono presenti, come radice del rock, nelle sonorità dell’album a suggello della tua grande passione per il rock e per la ballata. È proprio un mondo che ormai è nel tuo DNA quindi…?
Ogni musicista è debitore verso qualcosa o qualcuno che è stato, che c’era, prima di lui. Poi devono  subentrare altri fattori, la propria sensibilità. Ad ognuno di noi si aggiunge cioè una propria visione della musica, della scrittura e del suo modo di stare al mondo. Ognuno di noi rivive, volontariamente o meno, quello che ha amato e fatto proprio per poi reinventarlo, rimodellarlo, plasmarlo fino a farlo diventare una cosa sua. Se qualcuno trova echi di Dylan in quel che scrivo, per esempio, è motivo di orgoglio che questo accada. 

 

C’è una canzone di questo lavoro a cui sei più affezionato e che, necessariamente, non significa che sia la migliore. E, nel caso, perché?
Ti direi al volo Occhi di bambino. Scritta in una notte dopo aver rivisto “Into the wild”. In quel film di Sean Penn ho rivisto molto di quel che ero a vent’anni e dove ho rivisto Tommy, mio figlio.

 

Prendo spunto dalla tua ultima risposta e ripenso al finale di quel film, con quel suo messaggio forte che lancia verso lo spettatore: “la felicità è autentica solo se condivisa”. E a proposito di condivisioni, in questo caso musicali, da tempo hai al tuo fianco, in studio e sul palco, musicisti come Alex Cambise ed Onofrio La Viola. Quanto la loro presenza ed il loro supporto ha inciso sulla produzione dei suoni dell’album?
Alex (nella foto qui a sinistra) è un uomo e un musicista adorabile nel suo essere un orso. Ed è traduttore dei miei stimoli in termini di arrangiamento. Onofrio (foto a destra) è il musicista più colto che ho incontrato nella mia vita, capace di passare in un attimo da Mozart agli Stones. Entrambi sono fondamentali nella mia musica ed entrambi sono amici prima che stretti collaboratori.

 

La produzione dell’album, anche dal punto di vista del packaging, è davvero coraggiosa. Qual è il segreto che sta dietro a questa capacità d’essere, pur nelle difficoltà della discografia italiana, sobri e di qualità?
Solo quello di dare a chi ti segue il massimo che puoi dargli. Perché glielo devi. Perché loro suonano e scrivono insieme a te. Come dicevo, vivere e fare musica in un certo modo è anche stare al mondo in quello stesso modo. Voglio bene alla gente che mi segue e grazie al Cielo non sono per loro solo un musicista o un cantante così come io non li considero solo spettatori o acquirenti. Se fosse solo questo farei altro da un pezzo.

 

Nell’album c’è un bellissimo gesto d’amore nei confronti di tuo padre La casa di mio padre e, poi anche della madre di Dio Madre proteggi. Qual è stata la molla che ti ha fatto scrivere, con sensibilità differenti, canzoni che ti vedono, tra figura paterna e materna, coinvolto come figlio.
Il tema padre/madre/figlio è sempre molto forte nella mia vita. Così come il legame, la continuità di valori, la necessità di protezione, il bisogno di aiuto. Su Madre Proteggi ho un debito. Scrissi questa canzone ben prima dell’insediamento di questo nuovo Pontefice, Francesco, che ammiro molto. Ma forse quell’ispirazione girava già in qualche parte del Cielo…

 

Seppur da sempre sei considerato uno degli alfieri del difficile connubio “rock e poesia”, l’album mi pare possegga un’unitarietà di suoni e di liriche come mai accaduto in precedenza e credo possa rappresentare un ulteriore tassello che conferma la tua maturità artistica. Sei d’accordo?
Ogni nuovo album di inediti è allo stesso tempo un inizio e una fine nuova. Vedremo cosa scriverà il destino.

 

Nei crediti dei musicisti c’è anche il nome di tuo figlio Tommaso. Non accade spesso che i figli entrino in sala di incisione con i genitori. Ci sono speranze per una sua presenza più sostanziosa per il futuro…?
Senza voler sembrare troppo retorico, ho fatto il possibile perché evitasse di prendere in mano uno strumento e di “rovinarsi” anche lui... non ci son riuscito. Sceglierà  e sceglie ogni giorno la sua vita. Ma sarà sempre una sua decisione e il suo eventuale sogno da seguire, che nessuno gli ha imposto. Quel che conta è che sia vivo e forte. Quel che vorrà fare lo costruirà con le sue mani e col suo cuore.

 

Un ultima domanda: hai già pensato a come rappresentare questo disco nella dimensione live?
Sto lavorando a fondo per preparare un tour che sappia trasferire su di un palco la stessa compiutezza che sono riuscito ad avere in studio. È un lavoro di squadra, perchè sei vuoi fare le cose per bene devi confrontarti, anche scontrarti se vuoi, ma è solo la somma delle varie esperienze che permette, anno dopo anno, tour dopo tour, di migliorarci sempre. E anche questa volta con i miei più stretti collaboratori, artistici e non , stiamo studiando ogni minimo particolare.

Per esempio, anche quando e da dove partire. Ma su questo punto credo di poter già dire che la scelta è perfetta. Il tour partirà tra circa un mese da Milano, dal magico palcoscenico del Blue Note il 27 ottobre. È un luogo in cui torno volentieri, visto che l’anno scorso ospitò l’ultima data del tour legato a FolkRock, disco – e palco - che ho condiviso con Michele Gazich. Era l’inverno del 2012, fu un grande successo, artistico e di pubblico ed ora, a distanza di un anno, ritornare al Blue Note per la prima data del nuovo tour di Ali di libertà… è come poggiare il piede destro su una pietra angolare, darsi uno slancio con la chitarra a tracolla e via, ri-partire a suonare tra la gente.

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