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Stardog

Piazza Vetra…e oltre

Manuel Lieta, deus ex machina degli Stardog, ci racconta, tra raffinate citazioni e “voci bislacche”, la poetica del gruppo, le collaborazioni - Luca Urbani (Soerba, Zerouno) e Andy Fumagalli - e il loro immaginario artistico e musicale. Il tutto a ridosso dell'uscita del loro secondo singolo: “Quale estate?”


Un disco che, già dal titolo, celebra Milano, musa instancabile per generazioni di musicisti e autori. Questa città è ancora in grado di regalare quelle suggestioni che si traducono in note, parole ed emozione? Che cosa c'è "Oltre le nevi di piazza Vetra"?


Milano è quanto mai in grado di regalare suggestioni. Io ho, di Milano, un bisogno vitale e famelico, per pensare: la percorro a piedi, anche nelle vie più smaccatamente modaiole e commerciali, per guardare le persone ed i loro volti, le strade, le case, la vita che ci scorre, oppure di notte, nei momenti migliori e slegati dalla frenesia lavorativa. Ho bisogno di sporcarmi le mani nella città viva per cavarne fuori parole, anche se poi quelle parole riguardano solo me. Certo, se vogliamo parlare di degrado e di decadenze assortite, non rivelo chissà quale novità se ti dico che ci sono eccome, da anni e sempre più. Milano è la punta dell’iceberg-Italia: anticipa ed esaspera ciò che è diffuso o si diffonderà a livello nazionale, sicché in questi tempi non può che esserne lo specchio negativo. Ma non certo per colpa sua.

Oltre le nevi di piazza Vetra c’è quanto di buono c’è sempre stato, perfino adesso, anche se può sembrare il contrario: la città sepolta sotto l’idea che la gran parte della gente ha di lei; la verità oltre la finzione con cui viene rappresentata. La Milano di Primo Moroni e delle bettole sui Navigli con la loro umanità sporca di vissuto, quella di Gaber e Jannacci ma anche dei Krisma, dei ragazzi che si conquistano coi denti gli spazi che le istituzioni non gli danno. A livello intimo, oltre le nevi c’è infine la Bellezza, il mondo dove porteresti la persona che ami, ed il coraggio di invitarla a seguirti.


Alcuni affermati musicisti hanno partecipato a questo disco: penso a Paolo Milanesi e ad Andy Fumagalli, ma soprattutto a Luca Urbani che canta in "Sai, Carmelo", uno dei i brani più interessanti dell'album. Come è nata questa collaborazione, anche autoriale? Degna di nota anche la definizione del booklet di "chitarre à la New Order"!


Le collaborazioni sono nate prima di tutto dalla stima preesistente verso di loro. Sono persone che ho avuto modo di conoscere frequentando l’ambiente, e con le quali è nato un rapporto - penso soprattutto a Andy e Luca - di vera amicizia, che travalica l’aspetto musicale, e questa è la cosa più importante. Da qui a chiedere loro di mettere la propria firma sulle canzoni con il loro strumento d’elezione, è stato un passaggio automatico. Hanno arricchito le canzoni a cui hanno partecipato con tocchi e soluzioni che non saremmo mai stati capaci di avere per conto nostro. Con Luca è andata proprio così: io avevo il testo di “Sai, Carmelo”, il giro della strofa e del ritornello, ma lo sentivo come un brano su cui lui avrebbe potuto dir la sua; così gli chiesi di metterci le mani. Cambiò un paio di accordi nell’inciso, ed ecco pronto il tutto… La definizione "chitarre à la New Order" è mia. Mi diverte inserire queste voci bislacche.


"Oltre le nevi di piazza Vetra" è sicuramente la vostra produzione più importante e si riscontra una grande eterogeneità nei vostri brani. Ritmi, strumenti, attitudini si confondono nella vostra tracklist ben poco autoreferenziale. Tuttavia musicalmente come definireste l'impronta musicale Stardog? Con quali grandi maestri vi sentite in qualche modo in debito?


Mi fa piacere che l’eterogeneità si colga, perché era quanto volevo: mettere tutte assieme le anime musicali da cui sono formato e farne un caleidoscopio, legato dalla mia voce e dai miei testi, e strumentalmente, da basso e chitarra: un po’ l’opposto di quanto avviene nella prassi, se ci pensi, in cui si cerca di connotarsi con uno e un solo suono. Mi piacciono di più le cose complicate! Ora come ora sono nel pieno della scrittura di brani per il prossimo disco, quindi guardo a “Oltre le nevi...” con un certo distacco. Detto questo, credo che l’impronta musicale di Stardog sia un improbabile meticcio di suono inglese, o comunque europeo, e scrittura italiana. I maestri sono senz’altro Bowie, a livello “ideologico” per la poliedricità e la curiosità che lo hanno sempre animato, e poi, al di là della fascinazione per il suono post-punk o per i rigurgiti brit-pop, senz’altro gli autori: italiani (De Gregori e Fossati, Tenco e Endrigo, fino a Morgan e all’eleganza sanguigna di Cristiano Godano) e stranieri (Dylan, Nick Cave, Costello, Lennon e McCartney).


Raffinati riferimenti sono sparsi qua e là nei vostri testi e tra i ringraziamenti nel vostro booklet. Quanto è importante nella vostra scrittura l'ispirazione letteraria, artistica e cinematografica? Quali i vostri riferimenti?


È fondamentale la suggestione che ogni opera artistica può generare. Amo, come credo in misura variabile un po' tutti quanti, leggere, guardare film e ammirare opere d’arte. Perciò è naturale che questo si rifletta in ciò che scrivo; mi stupirei del contrario! I riferimenti sono eterogenei come la mia curiosità, da Pavese a Pirandello, da Agota Kristof a Schiele, da Celine a Gianni Rodari, da Carmelo Bene a Guido Ceronetti ed Antonio Rezza, da Gropius a Michele Mari: sono assai onnivoro verso ciò che può far scaturire la scintilla della curiosità.


Il live. Il vostro disco ha una produzione piuttosto curata. Come interpretate i vostri pezzi in concerto? Che scelte stilistiche avete effettuato per le date del vostro tour?


Suoniamo i pezzi in modo assai diverso dal disco, sia per scelta sia per necessità. Per scelta, perché amo l’idea di non dare una veste completa e definitiva alle canzoni che scrivo; ha ragione De Gregori quando dice che un disco è l’istantanea di un momento, ma poi i pezzi non si cristallizzano, mutano con i loro autori. Oltretutto, e qui arrivo alla necessità, il momento storico in cui viviamo, ci costringe, pur di suonare, a fare concerti in duo o in trio, rendendo indispensabile un lavoro di ri-arrangiamento. Cosa che mi stimola perché mi permette di giocare con la mia stessa musica. Infine (e in questo mi rifaccio a Morgan) mi piace tantissimo che i concerti siano imprevedibili, con i brani che cambiano veste da una sera all’altra, rischiando di sbagliare noi stessi nell’esecuzione, ma facendoli rimanere vivi.


Ora una domanda quasi personale per te, Manuel, noto anche come Blixa. In una particolare versione di una canzone dell'album c'è Blixa Bargeld in persona. Come è nata la collaborazione con questo artista per te, immagino, così importante?


Blixa è il nome che ho usato fino a pochissimo tempo fa nell’esercitare l’attività di DJ, ma di recente ho inscenato l’uccisione di DJ Blixa, proprio come fece, mutatis mutandis, David Bowie con Ziggy Stardust, eheh. Ora quando metto i dischi sono semplicemente Manuel degli Stardog. Gli Einsturzende Neubauten sono tra i musicisti che amo di più. Due anni fa mi fu chiesto di intervistare Bargeld per una rivista. Mi presentai da lui con una bottiglia di Passito di Pantelleria: quel vino, da me scelto fondamentalmente a caso, era il suo vino preferito. Vi lascio immaginare in cosa si trasformò di lì a poco l’intervista, al termine della quale gli feci ascoltare una demo di “Il lamento di Bardamu”. Gli piacque, ma non c’era tempo per farlo venire in studio; allora mi diede il permesso di usare la registrazione dell’intervista. Per un errore, la versione con la sua voce si trova solo su iTunes, o in download gratuito sul nostro sito ufficiale.


Infine, quali sono i vostri progetti futuri. A che cosa state lavorando?


È appena uscito l'EP digitale di “Quale Estate”, secondo singolo tratto dal disco. Abbiamo girato il videoclip, e l’EP è composto da ben otto brani: cover, versioni riarrangiate, remix di due brani ed un paio di out-takes. E poi, soprattutto, sto alacremente lavorando alle nuove canzoni. Il prossimo disco sarà molto diverso, forse meno non-direzionato ma altrettanto anarchico nel carattere. Più cantautorale e strumentalmente “di terra”. Pianoforte, corde pizzicate, tamburi e orchestre sintetiche. Oltre alla componente italiana irrinunciabile, nella scrittura, vorrei ci fosse molto dell’approccio alla Arcade Fire o alla Beirut. L’idea è quella di andare a registrare in autunno e fare uscire il disco all’inizio del 2011.

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