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Statuto

Troppo lontana

Mentre è in uscita il loro nuovo video (Troppo Lontana, che trovate qui), incontriamo gli Statuto, tornati agli onori delle cronache musicali grazie al disco live Undici: un lavoro sentito e importante soprattutto perchè celebra il ritorno dal vivo, dopo sette anni di autoesilio, nella loro Torino. Un album documento che, oltre a renderci partecipi delle emozioni di quella serata, ci presenta la storica formazione mod in forma smagliante, grazie anche al riarrangiamento di molti dei cavalli di battaglia. Con oSKAr Giammarinaro cogliamo l'occasione per quattro chiacchiere sui temi più cari agli Statuto: musica, calcio e modernismo.

Troppo lontana”. Così vi è sembrata Torino, in sette anni di assenza musicale. Anche se in realtà, continuavate a viverla, nella routine di ogni giorno. In questo periodo come l’avete vista cambiare? vi siete mai sentiti degli osservatori esterni nella vostra stessa città?

È una città con le periferie che hanno dovuto obbligatoriamente cambiare architettura. Tante, troppe industrie sono sparite e sono state costruite case che sorprendentemente si riempiono subito. In un periodo di recessione economica e forte repressione sociale e culturale, Torino risulta una delle città più vivibili in Italia, è oggettivo.

Cosa ha significato restare fedeli alla vostra scelta, per un periodo così lungo?

Abbiamo sofferto nel non poter suonare a iniziative e solidali e sociali, tipo quelle al Filadelfia o in favore di radio Black Out.

Chiedervi com’è stata la sensazione al vostro ritorno sarebbe assurdo: la risposta migliore a questa domanda è proprio Undici, il disco live registrato in quella serata all’Hiroshima Mon Amour. È stato un grande concerto, anche liberatorio, lo possiamo dire?

Sì, indubbiamente. Una grossa soddisfazione a tutto tondo, sia artisticamente che professionalmente che moralmente.

Con voi sul palco tanti amici e tante storie, ma soprattutto le vostre migliori canzoni, la storia degli Statuto; per certi versi è parallela e intrinseca a quella del modernismo in Italia, che oSkAr ha raccontato nel libro Il migliore dei mondi possibili. Com’è cambiata la scena mod, a Torino ma anche in tutto il Belpaese? Cosa è rimasto uguale, nel bene o nel male?

Il Modernismo era. È e sarà sempre la miglior soluzione per vivere al meglio in un sistema che non ci piace e che ci vorrebbe tutti omologati.

Quali sono, tra le formazioni più recenti della scena, quelle che seguite con più interesse o che vi hanno colpito particolarmente?

Sicuramente i nostri “compiazzaioli” Tailor Made e poi i sardi Emotionz.

Lo ska non sta vivendo un momento particolarmente felice in questo momento nel nostro Paese, sembra quasi scomparso dai cartelloni dei festival, salvo sporadiche occasioni; ci sono anche pochissime nuove band che lo suonano, e molti dei sopravvissuti (ma non facciamo nomi) portano in giro da anni sempre lo stesso show. Qual è secondo voi il motivo di questo declino?

Per chi ascolta e suona ska “per moda” si può parlare forse di declino, ma per chi lo adotta come cultura non può mai passare… al limite si approfondisce ed evolve. Sinceramente è un grosso piacere vedere come la miriade di gruppi ska italiani che infilavano la parola “ska” nei loro nomi hanno virato clamorosamente su altri generi (esclusi i Vallanzaska che stimiamo molto). In ogni caso noi siamo un complesso Mod come il nostro nome ha sempre voluto ben sottolineare come primo approccio immediato. Un gruppo mod che suona parecchio ska, ma anche soul, beat e powerpop.


Svoltiamo, e parliamo di questi 150 anni dell’Unità d’Italia, che nel migliore dei casi si sono rivelati un'occasione per vuota retorica e sbadigli generali. Voi già nel 1993 cantavate È tornato Garibaldi: ma se l’Eroe dei due mondi avesse ascoltato l’appello degli Statuto, e fosse davvero tornato, cosa avrebbe pensato di queste celebrazioni?

Che in periodo in cui soffiano venti secessionisti e razzisti di alcune vergognose forze politiche è fondamentale ribadire i valori di un’Italia unita e multietnica, proprio come da lui prospettata. E auspicata.

Per non dire: cosa avrebbe pensato di questa Italia?

Avrebbe pensato poco e agito molto, cercando di ripulirla e cambiarla in meglio.

Parliamo dell’altra grande passione degli Statuto: il pallone. Citiamo Facci un Goal: «il pallone è impazzito, come gira non si sa. Troppo sgonfio, s’è scucito, basta poco e scoppierà». Non è già scoppiato, vi chiediamo? Ci restano solo i rimpianti di uno sport che ha venduto del tutto l’anima? O c’è ancora qualcosa da salvare?

Sì, è già scoppiato. E sicuramente non ci sono più altri valori se non quello del profitto, vedi la dipendenza dalle Pay-Tv dell’intero carrozzone e l’anticostituzionale tessera del tifoso, ma per chi è davvero appassionato è impossibile fare a meno del pallone.

Perchè l’amore per il Toro va oltre il tifo? Cosa rappresenta il Torino per il calcio italiano?

Significa l’appartenenza, la capacità di vincere ed essere campioni per quello che si è e non per quello che si ha. L’antitesi del senso del calcio moderno. A Torino significa essere dalla parte del Popolo, contro la squadra del padrone e dei servi a lui sottomessi.

Chiudiamo con un giochetto: ci dite la vostra formazione ideale del Toro di sempre?

Impossibile. Perché sarebbe un’offesa andare a scomporre le formazioni del Grande Torino e quella dello scudetto del 1976. E ad esse vanno aggiunti campioni come Ferrini, Meroni, Agroppi, Lentini, Junior, Ferrante e allenatori spettacolari come Giagnoni e Mondonico. 

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