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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Maria Monti

Uno spirito libero

Forse ai più giovani il nome di Maria Monti, pseudonimo di Maria Monticelli, dirà ben poco ma è bene sapere che questa ottantaquattrenne signora milanese occupa un ruolo molto importante nella storia della canzone italiana. È considerata la prima cantautrice italiana, la prima artista ad interessarsi della musica popolare, la prima ad incidere le canzoni politiche e quelle della mala. Inoltre ha avuto esperienze teatrali e cinematografiche con i più importanti registi italiani. Maria Monti è stata e lo è tuttora uno spirito libero, lontana da meccanismi dalle strategie delle case discografiche o del mercato in genere, ma sempre guidata da una sua morale. Ci auguriamo che questa lunga chiacchierata serva a farla conoscere maggiormente ad un pubblico più vasto.
Ho aggiunto delle note in corsivo per chiarire meglio alcuni personaggi o luoghi menzionati durante l’intervista.
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Lei da alcuni anni vive a Roma ma è nata a Milano…
Sì, esattamente sono nata in Via Solferino, vicino la sede del Corriere della Sera. Mio papà era un dirigente della Texaco e da Milano fu trasferito a Firenze. Avevo sei anni quando mori e da Firenze tornammo poi in Lombardia. Avevamo un appezzamento di terreno a Cassano d’Adda, in una località chiamata La Gabbana (La Cascina Gabbana esiste ancora, oggi è una fattoria che produce formaggi di capra). Ho dei ricordi bellissimi di mio padre: alla sera suonava il pianoforte per me; io era la piccolina di casa, la sua cocca. Quando morì eravamo a Firenze e mi ricordo che la mia tata, mentre attendavamo il carro funebre e la banda militare – mio padre aveva fatto la Grande Guerra negli Alpini - mi chiese se fossi triste ed io risposi, è strano come la memoria ricordi perfettamente certe situazioni - no, tanto stasera lo rivedo a cena. Non potevo accettare la sua morte, non potevo accettare di non vederlo più.

È vero che era una ragazza molto timida?
Ero timidissima. Dopo aver conseguito il diploma presso una Scuola di Avviamento al Lavoro, oggi si direbbe un Istituto Professionale, ho lavorato in un ufficio come stenodattilografa. Mi ero però iscritta a dei corsi di Ginnastica Artistica e la mia insegnante, Elsa Grado, mi convinse a cercare attraverso il teatro un modo per vincere la mia timidezza. Iniziai così la mia carriera artistica.

Nel retro di un suo 45 giri, Zitella Cha Cha Cha, nelle lunghe note di copertina c’è scritto che lei al Santa Tecla, uno dei più importanti club milanesi degli anni Cinquanta (in Via Santa Tecla, vicino a Piazza Cordusio, a due passi dal Duomo), esordì come cantante stando dietro il sipario, nascosta al pubblico, perché aveva vergogna a farsi vedere sul palcoscenico.
Può far sorridere ma era così, mi vergognavo terribilmente ma cantavo. Cantavo i classici americani, all’epoca andavano molto gli evergreen, come Stormy Weather, e i brani swing. Poi col tempo ho imparato ad apprezzare il calore del pubblico anche se mi sono sentita sempre più attrice che cantante.

Dopo aver vinto le sue paure, la strada è stata in discesa...
Sì, sono apparsa in televisione con Enzo Tortora e Silvana Pampanini in uno spettacolo che si chiamava ‘Primo Applauso’ (nello stesso programma esordirono in televisione Adriano Celentano e i suoi Rock Boys, Peppino di Capri e il Mago Silvan) e anche in un musical dal titolo ‘Quando Spunta La Luna all’Idroscalo’ con Lucio Flauto. Poi partecipai a 'Uno scandalo per Lili', un altro musical, questa volta con Ugo Tognazzi, Lauretta Masiero, Giancarlo Sbragia e Gianrico Tedeschi e infine nel 1959 fui la protagonista del primo film per la televisione, si chiamava 'La svolta pericolosa' ed era diretto da Gianni Bongioanni. Sempre rimanendo a quei primi anni, andai in tournée con l’orchestra di Eddie Calvert (un trombettista inglese molto noto all’epoca per la versione dello strumentale Ciliegi Rosa) e lì c'era anche Giorgio Gaber. In televisione ci tornai poi più volte, prima ne ‘I Grandi Camaleonti’ di Federico Zardi con la regia di Edmo Fenoglio (1964) e poi con la trasposizione, molto sperimentale e molto coraggiosa, del ‘Circolo Pickwick’ diretta da Ugo Gregoretti (1968)

L’incontro con Giorgio avvenne al Circolo dei Tramvieri di Arona...
Esatto, io suonavo lì ogni domenica. Ormai avevo abbandonato il lavoro di segretaria e mi esibivo la domenica sul lago e al giovedì alla Capannina di Vigevano. Un giorno venne a vedermi Giorgio Casellato che suonava nella band con Gaber: sapevo che a loro interessava avere, per rendere più vario il repertorio, una cantante nel loro gruppo. Ritornò a sentirmi con Gaber, eh sì fu un colpo di fulmine. Mi piaceva molto Giorgio e mi sentii subito a mio agio con tutti i suoi amici: c’erano molti bravi musicisti e fra questi spiccava senz’altro Enzo Jannacci che oltre ad essere un ottimo pianista jazz continuava gli studi in medicina. Jannacci all’epoca subiva molto il fascino di Gaber e bene fece ad allontanarsi da lui, diventando così un grande compositore ed un personalissimo interprete. Di Jannacci amo particolarmente Vincenzina, una delle più belle canzoni italiane. (scritta da Jannacci e Beppe Viola, colonna sonora del film ‘Romanzo Popolare’ uscito nel 1974).
Con Gaber composi Non arrossire: il testo era mio e Giorgio scrisse la musica (mentre siamo al telefono, Maria Monti mi canta quasi tutta la canzone: bellissimo). Sia io che Giorgio eravamo entrambi timidi, e tu penserai se eravate timidi come diavolo facevate ad affrontare il pubblico? Ecco non l’ho mai capito, ma per entrambi questa canzone era autobiografica. Raccontava di noi, delle nostre difficoltà. Sono molto legata a questa canzone e grazie alle numerose cover che ne sono state fatte (Mina, Baglioni, Renzo Arbore, Morgan ecc.) ho percepito per anni delle royalties che mi hanno aiutato ad andare avanti.

'Il Giorgio e la Maria' ebbe un grande successo…
Era il nome del nostro spettacolo e ricordo che quando debuttammo al Teatro Gerolamo di Milano (uno dei più bei teatri milanesi, una piccola bomboniera, situato vicino a Piazzetta Pattari, sede allora di molte case discografiche) molti apprezzarono la novità dello spettacolo. Io e Giorgio sperimentammo un modo diverso di presentare le canzoni, era un primo approccio al teatro-canzone che poi Gaber approfondirà negli anni con grande successo.
(qui sotto una foto di Maria Monti e Giorgio Gaber ritratti da Gianni Greguoli)

 

Ma è vero che Goganga l’ha scritta lei?
Confermo. Giorgio firmò il brano in SIAE e io non mi presentai. Quindi la paternità e sua e mie sono la pigrizia e la sbadataggine. È solo colpa mia se nei credits non compare il mio nome. Ho un bel ricordo di quegli anni, ci siamo divertiti molto. Ricordo che con noi suonava un bravissimo contrabbassista, si chiamava Pallino Salonia e veniva dal jazz. C’erano quindi molte idee e ottimi musicisti. Fu un periodo davvero interessante.

Poi nel 1961 lei e Giorgio andaste al Festival di Sanremo…
Presentammo Benzina e Cerini, un brano firmato da Jannacci al cui testo aveva collaborato Umberto Simonetta (scrittore milanese autore di ottimi libri che meriterebbero di essere ristampati quali 'Lo sbarbato', 'Tirar Mattina' e 'Il giovane normale'). Fu Simonetta ad ispirare a Gaber la risposta italiana a Tom Dooley che divenne La ballata del Cerutti Gino. Benzina e Cerini era una love song un po’ particolare, un brano che ancora adesso mi piace riascoltare (Maria nel ricordare, si mette a cantarla al telefono). Mentre le canzoni dell’epoca parlavano di ardori esistenziali, gli innamorati della nostra canzone si davamo realmente fuoco con benzina e cerini. Presentammo il brano sul palco di Sanremo in una duplice interpretazione, maschile e femminile. Era bellissima. Chiaramente arrivammo ultimi anche se Umberto Eco, forse con eccessiva benevolenza, parlo di noi come gli artefici della nuova poesia milanese.

Eravate una coppia di successo…
Diciamo di sì, visto che immediatamente le case discografiche si accorsero di noi. Dopo aver inciso diversi 45 giri per la Carisch nel 1961 registrai Recital, una sorta di concept album con cui introducevo ogni brano interloquendo con gli ascoltatori. In questo album inserimmo anche La filanda, un brano folk inciso quell'anno, che nulla c'entra con il brano che agli inizi degli anni Settanta, con lo stesso titolo, incise Amalia Rodrigues, un mito nazionale per il popolo portoghese (che Vito Pallavicini tradusse in italiano e che diventò uno dei cavalli di battaglia di Milva). Io incidevo per la RCA e Giorgio per la Ricordi. Quando Vincenzo Micocci, dirigente della casa discografica romana, passo in Ricordi per sostituire Nanni Ricordi, mi volle con lui.
(Per conoscere la personalità di Vincenzo Micocci, uno dei più importanti discografici italiani, consiglio la lettura del volume ‘Vincenzo, io t’ammazzerò – La storia dell’uomo che inventò i cantautori’ scritto da Luciano Ceri per Coniglio Editore, 2009).

Come fu l’impatto con il mondo discografico?
Ero estasiata. Arrivai a Roma e mi vennero a prendere con una macchina enorme. Andammo subito negli studi della RCA al km 12 della Tiburtina, ricordo ancora l’indirizzo. Roma era bellissima e mi conquistò subito: rimasi subito affascinata dalla campagna e dall’Acquedotto Romano. Fu così che pur amando Milano, decisi che la Città Eterna era il posto dove avrei potuto vivere. Oggi vivo nella Capitale e sono ben contenta della mia scelta. È vero ci sono molte buche nelle strade e la spazzatura ai bordi dei viali è un grosso problema, ma la città rimane bellissima e poi a poca distanza c’è il mare. Oggi mi sento romana a tutti gli effetti. Alla RCA ebbi dei contatti con Micocci e con Ennio Melis che era all’epoca il big boss. In quegli anni andavano molto i melodici romantici e confidenziali quali Nico Fidenco, io ero diversa e loro lo sapevano. Come ho detto precedentemente, quando Micocci si trasferì a Milano in Ricordi mi volle con sé: lui credeva molto nelle mie potenzialità canore e artistiche. C’era molta stima.

All’epoca, siamo nel 1963, ha poi registrato degli EP (extended play) dedicati alle Canzoni della Resistenza Spagnola, e La Balilla e tre canzoni popolari italiane per poi arrivare ad incidere Le Canzoni del NO.
“Le Canzoni della Resistenza Spagnola” mi infiammarono l’anima. Ero iscritta al Partito Comunista Italiano e dopo aver visto il film ‘Per chi suona la campana’ di Sam Wood tratto da un romanzo di Ernest Hemingway, con Ingrid Bergman e Gary Cooper, sentivo di avere un obbligo morale verso il popolo spagnolo. In quegli anni ci credevo, ci credevamo. Ero iscritta e militante del Partito Comunista Italiano. Adesso siamo, siete, un po’ tutti troppo smorti e pacati ma spero che il Corona Virus dopo questa lunga segregazione, ci dia la forza per riprendere a combattere.

La Balilla ebbe però un grande successo…
Io e Giorgio lo sapevamo perché quando la presentavamo durante i nostri spettacoli era una delle più applaudite (se amate navigare su YouTube non perdete la versione di questa canzone eseguita dalla Monti con Lucio Dalla, un altro grande ammiratore della cantante milanese). Ecco, La Balilla allargò notevolmente il nostro pubblico.
(La foto è un frame preso dalla trasmissione Rai "Automobili", clicca qui per vedere il video del brano)

Ci tengo a far notare come la Signora Monti propose un repertorio politico molti anni prima di Milva, molto prima che il musicista Charlie Haden riprese con Liberation Music Orchestra i canti di lotta in versione jazz; incise inoltre le canzoni della mala e dei trani milanesi molto prima della Vanoni, ed anche la scelta di presentare un repertorio folk - oltre a La Balilla anche Per un bicchier di Dalmato, Maremma, Sant’Antoniu a lu deserto, La Rosina ecc. - anticipò artisti quali i Gufi, Maria Carta, Milva, Otello Profazio, Orietta Berti, Gigliola Cinquetti ed altri che in seguito arricchirono il loro repertorio con brani tratti dalla cultura popolare.

Anche in questi album io mi facevo accompagnare da grandi musicisti. La mia band era guidata in studio dal maestro Iller Pattacini (noto al pubblico del beat italiano con lo pseudonimo di Lunero), un bravissimo musicista che all’epoca abitava a Lugano. Con lui ho collaborato per molti anni, incidemmo anche “Le canzoni del no”.

E qui successe il putiferio…
Quell’EP, siamo nel 1964, ebbe in effetti una vita tormentata. La produzione fu curata da Roberto Leydi per i Dischi del Sole. Il mini album conteneva tra gli altri brani Inno Abissino, scritto da Ulisse Barbieri nel 1887 ed era una protesta contro la campagna coloniale italiana in Etiopia e la canzone era una parodia del noto Inno di Garibaldi. Vi erano poi Ninna nanna della Guerra tratta da una poesia di Trilussa e Stronzio 90, scritta dal songwriter americano Fred Dallas (nell’album Songs Against the Bomb – Topic 1960) e tratta da una poesia di Nazim Hikmet. La pietra dello scandalo fu però il brano La Marcia della Pace scritta da Franco Fortini e Fausto Amodei.

Il disco fu sequestrato per la presenza di frasi irriguardose quali “Se la Patria chiama, lasciatela chiamare / Oltre le Alpi il mare un’altra Patria c’è / E se la Patria chiede di offrirgli la tua vita / rispondi che la vita per ora serve a te”. Queste parole furono giudicate irriguardosi verso l’Italia e Fortini subì un procedimento giudiziario da cui venne però presto assolto (Il brano venne improvvisato da Fortini e Amodei durante la Marcia della Pace Perugia – Assisi il 24 Settembre 1961).

All’epoca oltre alle registrazioni in studio, ha continuato intensamente l’attività teatrale…
Ho avuto diverse esperienze teatrali con importanti personaggi. Ricordo con particolare emozione gli spettacoli fatti con Paolo Poli. Con lui (qui nella foto) mettemmo in scena ‘Il Candelaio’ di Giordano Bruno e ‘Il Diavolo’ da cui poi, considerato il successo, registrammo “Le canzoni del Diavolo” (CGD, 1965, copertina di Emanuele Luzzati). Poli era un personaggio incredibile: bello, alto, elegante, colto anzi coltissimo. E poi era veramente divertente. Sul palco ci si divertiva ma io ricordo ancora adesso le cene dopo gli spettacoli, erano occasioni per Paolo di allestire un altro tipo di rappresentazione. È stato un bellissimo periodo. Poi ho lavorato con Carmelo Bene, un altro genio del teatro italiano. Con lui ho recitato ne ‘Il Rosa e il Nero’, con musiche di Sylvano Bussotti. Ecco, di Carmelo invece non ho dei bei ricordi. L’ho sempre considerato un vigliacco - il termine è forte ma rende l’idea - perchè con le attrici, anche con me, ebbe degli scontri fisici a volte pesanti, mentre con i colleghi maschi non arrivò mai alle mani. Non nego la genialità del personaggio e la sua capacità di sperimentare, ma la violenza, il suo machismo, non posso dimenticarlo. Un’altra interessante esperienza è stata quella di lavorare con Gino Bramieri in uno spettacolo che si chiamava ‘Pardon Monsieur Moliere’ di Terzoli e Vaime. Con Bramieri girammo tutta l’Italia e quasi sempre con il sold out nei teatri. Rimanemmo in scena per quasi due anni. Una bella esperienza.
Poi, altra particolare esperienza, fu recitare nel dramma ‘L’Ambleto’ di Giovanni Testori per il Teatro Pier Lombardo in cui interpretavo due ruoli, la Regina e Ofelia. Infine, non vorrei dimenticare Giancarlo Cobelli, attore regista e mimo di grande bravura. Con lui recitai nel ‘Can Can degli Italiani’ (1964) e incidemmo anche un LP per i Dischi del Sole.

Alcune canzoni di questo lavoro furono composte da Gigi Proietti mentre i testi erano del poeta Rocco Scotellaro e dello scrittore Ennio Flaiano.

Facciamo un passo indietro, è vero che il termine cantautore è una sua idea?
È vero, ma non mi sembra una grande pensata. Ricordo che eravamo a Roma, in riunione con Micocci e lui stava allestendo uno spettacolo con alcuni artisti della RCA, tra cui Gianni Meccia. A me venne l’idea di definirli una via di mezzo tra i cantanti e gli autori. Nacque così il termine cantautori che venne subito applicata con successo per definire un certo genere di musica.

Il brano Chiedo scusa se parlo di Maria di Giorgio Gaber è dedicato a lei?
È una bella domanda… ma avresti dovuto farla a Gaber. Io penso di sì. (clicca qui per ascoltare il brano). Il mio cuore dice sicuramente sì, ma la mia mente mi permette di avere qualche dubbio. La nostra è stata una relazione importante e ci siamo amati intensamente ma, come spesso accade, era giusto che finisse così. Vent’anni dopo la nostra separazione, andai ad un suo recital e dopo lo spettacolo ci ritrovammo in un ristorante. Da una parte c’era Gaber con i tecnici e i collaboratori mentre in un altro tavolo sedevamo noi ospiti. A un certo punto della serata, Giorgio si è alzato e con il bicchiere in mano ha parlato ad alta voce rivolgendosi a me Perché mi hai lasciato? e io ho risposto Perché ti amavo. È tutto.

Ha conosciuto anche Luporini?
Oh sì, una grande persona. So che anche lui aveva molta stima di me. Luporini è stato fondamentale per l’evoluzione artistica di Gaber (qui insieme in una foto di repertorio). Chiedo scusa se parlo di Maria è scritta da lui e Giorgio e per la prima volta una canzone italiana affrontava un tema scottante, scottante per quegli anni caldi: la differenza tra il personale e il politico. Gaber canterà questa canzone anche al Palalido di Milano durante una manifestazione di solidarietà per il popolo cileno nel Settembre del 1973, subito dopo il colpo di stato di Pinochet. Sarà fischiato e contestato. Gaber subì le critiche ma rimase coerente all’idea che non poteva esistere una rivoluzione fatta solo di slogan: la rivoluzione, affermava, doveva essere pervasa dal quotidiano senso di realtà. Il primo incontro e la prima canzone composta da Gaber e Luporini, se non ricordo male avvenne con il brano Sono le nove registrata nel mio album “Recital” (1961).

Poi nel 1973 esce l’album “Maria Monti e i contrautori”, pubblicato dalla RiFi con la veste grafica curata da Mario Convertino.
Ecco, forse si sarà capito ma non ho mai amato seguire le logiche del mercato discografico per arrivare al successo, ho sempre cercato di fare di testa mia. “Maria Monti e i contrautori” nasce dal desiderio di far conoscere ad un pubblico più vasto un gruppo di autori che per motivi non ben chiari, mettiamola così, non erano molto apprezzati dal sistema e quindi non potevano accedere alle radio né tantomeno alle televisioni. Erano tutti autori politici, in grado però di scrivere belle canzoni. Mi interessava la melodia del brano ed ero molto attenta alle liriche.
Scelsi pertanto per questo mio nuovo lavoro una serie di canzoni che, a mio pare ancor oggi a quasi cinquant’anni dall’incisione, hanno una loro valenza poetica. Ho scelto di incidere Nina di Gualtiero Bertelli, Il Figlio del Poliziotto di Paolo Pietrangeli (autore di Contessa e di Io ti voglio bene), Ivan Della Mea con Mia cara Moglie e Gianni Nebbiosi, che scriveva canzoni bellissime, con Il Nuovo Appello. Tradussi forse per la prima volta in Italia una canzone di Phil Ochs dal titolo There but fortune. In italiano divenne Non è solo un caso: me la fece conoscere una mia amica (l’accenna mentre siamo al telefono: lo so, lo dico per la terza volta, ma è una bellissima sensazione) e insieme la traducemmo. Davvero una splendida canzone forse poco nota in Italia. Le musiche erano curate da Luca Balbo, un valente chitarrista che mi accompagnò poi in diversi spettacoli e recentemente so che si è interessato alla riscoperta delle launeddas (antichissimo strumento musicale ad ancia battente originario della Sardegna). Ho rivisto Balbo molti anni dopo ma ho fatto fatica a riconoscerlo, purtroppo l’avanzare dell’età muta a volte i nostri lineamenti.

Nel 1974 viene poi pubblicato Il Bestiario.
Un album a cui sono molto legata sia per la scelta delle canzoni che per la componente musicale. Grazie ad Alain Curran (musicista americano, creò negli anni Sessanta a Roma il collettivo Musica Elettronica Viva) l’album aveva un suono molto sperimentale e vi erano alcune belle canzoni, alcune scritte da me con Luca Balbo, altre composte da Alain Curran stesso, altre, ricordo No No No, scritta da Gino Negri (compositore e critico musicale. Imperdibile il suo volume intitolato ‘Guida alla Musica Vivente’). La produzione era di Ezio Leoni e l’etichetta era ancora la RiFi, che riponeva fiducia nelle mie qualità artistiche. La particolarità di “Bestiario” è quella di essere stato ristampato alcuni anni fa per il mercato giapponese. Mi hanno spiegato che c’è una particolare attenzione in Giappone per i dischi italiani degli anni Settanta e sono lieta che il popolo del Sol Levante abbia avuto la possibilità di ascoltare le mie canzoni, spero solo per loro che siano state tradotte.

Troviamo sorprendentemente ancora tracce del suo percorso in un album registrato dal vivo ad un Festival dell’Unità a Bologna.
Dalla era un caro amico e mi volle in questa registrazione che vedeva in scena oltre a Lucio, anche De Gregori e Venditti. (“Dalla / De Gregori/ Monti / Venditti dal vivo * Bologna 2 settembre 1974”, RCA International). Da quella performance che io esegui con Luca Balbo alle chitarre, registrammo una mia canzone dal titolo L’Armatura, Gli Americani di Alberto Cortez e Su Patriottu Sardu a sos feudatoarios (Procurad’e Moderare) un brano da Francesco Ignazio Marru nel 1794 (non è un errore di stampa) già presente nel repertorio di Maria Carta.

L'Innu de su patriottu Sardu a sos feudatarios fu stampato clandestinamente in Corsica e diffuso in Sardegna, e divenne il canto di guerra degli oppositori sardi, passando alla storia come la Marsigliese sarda. L’incipit è il seguente: Procurad'e moderare, Barones, sa tirannia… (Cercate di moderare, o Baroni, la vostra tirannia…). Il canto si conclude con un vigoroso grido d'incitamento alla rivolta, suggellato da un detto popolare di lapidaria efficacia: Cando si tenet su bentu est preziosu bentulare ("quando si leva il vento, è opportuno trebbiare"). Questa canzone è stata interpretata da numerosi artisti quali i Tazenda, Giovanna Marini e Dario Fo, Piero Marras, Daniele Sepe e Francesco Guccini. Luciano Ligabue e Angelo Branduardi ne hanno fatto una versione intitolata Ai Cuddos (A coloro) riprendendo alcune strofe.

Poi per alcuni anni scompare dalle scene…
Amo queste uscite teatrali e nella mia lunga carriera ne ho fatte diverse, per ben tre volte ho abbandonato le scene … ho bisogno ogni tanto di prendere delle pause. Adesso che sono una signora di una certa età è diverso e mi piace progettare il futuro. Sembra ridicolo ma è così.

 

Ho ancora molte domande da farle, una riguarda l’India e l’altra il cinema. Partiamo dall’India.
È un argomento di cui parlo volentieri, perché deve sapere che l’India mi ha salvato la vita. Più che l’India stessa devo dire che la meditazione trascendentale mi ha reso una persona diversa, più serena. Ancora oggi due volte al giorno faccio esercizi, perché questa tecnica basata sull’autoipnosi mi ha davvero permesso di vedere il mondo con occhi diversi. Oggi che tutto il pianeta è sconvolto dalla paura del Corona Virus, la meditazione trascendentale mi consente di vivere con serenità anche questi brutti momenti e di allontanare i pensieri più cupi.
Sono stata in India più volte ho incontrato il Sai Baba e ho cercato di lavorare sul concetto della divinità dell’uomo. La base della filosofia di questa religione è appunto quella di riscoprire la propria natura divina, cercando di vivere secondo i cinque valori principali che sono verità, amore, pace, rettitudine e non-violenza. Sono stata poi più volte a Auroville nel Tamil-Nadu (nell’India meridionale; la città più importante di questo stato è Chennai, un tempo denominata Madras) per approfondire gli insegnamenti del maestro Aurobindo e della sua compagna francese, Mirra Alfassa detta La Mere (La Madre).

Auroville è una città "sperimentale", basata sulla visione di Sri Aurobindo, sorta nel distretto di Viluppuram dello stato di Tamil Nadu, in India presso la città di Puducherry. È stata fondata nel 1968 da Mirra Alfassa. (Parigi, 21 febbraio 1878 – Pondicherry, 17 novembre 1973). Disegnata dall'architetto Roger Anger, Auroville è nata per essere una città universale, dove uomini e donne di ogni nazione, di ogni credo, di ogni tendenza politica possono vivere in pace ed in armonia.

Su Aurobindo ho preparato anche uno spettacolo teatrale dal titolo ‘Savitri’. La figura di Savitri è tratta da un racconto del Mahabharata (uno dei più grandi poemi epici indiani, insieme al Ramayana, scritto in sanscrito probabilmente nel IV secolo a.C.). È una storia bellissima che narra la forza di un amore coniugale che supera e vince la morte ma, come insegna Aurobindo, rivela anche significati più profondi del nostro vivere. In questa rappresentazione interpretavo Yama, ovvero la Morte. Ecco, quando scomparivo dalle scene i miei amici sapevano dove andavo a rifugiarmi. Lo ribadisco, e lo consiglio a tutti, la meditazione trascendentale può aiutare moltissimo chi è alla ricerca della pace interiore.

Volevo chiederle alcune informazioni sulle sue esperienze cinematografiche.
Sicuramente la mia esperienza teatrale mi è stata d’aiuto per entrare nel mondo cinematografico. Ho così avuto la possibilità di partecipare a circa una trentina di film, tra cui ricordo ‘La bella di Lodi’ di Missiroli (1963), ‘Giù la testa’ di Sergio Leone (1971), ‘La ragazza di Via Millelire’ di Gianni Serra (1980) un bel film ambientato a Torino, e ‘L’ultimo Capodanno’ di Marco Risi (1998). Forse il film più importante della mia carriera è stato però ‘Novecento’ di Bernardo Bertolucci (1976), in cui ero la madre di Olmo, interpretato da Gerard Depardieu (qui in alto una foto simbolo tratta dalle scene del film). Recentemente per una fiction televisiva – ‘Vento di Ponente’ (2002 – 2004) - ho interpretato il ruolo di una nonna, d’altronde il tempo passa ed è giusto così.

Negli ultimi anni è comunque stata sempre attiva.
Ho pubblicato un CD da me autoprodotto intitolato “Oltre.. Oltre” (1993), un album innovativo e d’avanguardia dove ho lavorato sulle sonorità e sulle tematiche stimolate dalla spiritualità delle filosofie indiane. Ho poi partecipato a diversi spettacoli teatrali tra cui ‘La Monade di Monza’, ‘Luci di Algeri’, ‘Canto a me stessa’, un vagabondaggio notturno tra le vie di Milano scritto da Renata Ciaravino. Nel 2006 sono tornata in scena con ‘Il Mostro a Due Teste’, un recital di canzoni degli Anni Venti e altri brani originali sui traumi infantili, beghe familiari e patologiche autopunizioni.
Adesso, se riesco, considerato il brutto periodo che stiamo vivendo, mi piacerebbe pubblicare un nuovo album di canzoni dal titolo “Sprazzi di luce” che ho inciso insieme al maestro Marco Persichetti. Tra le canzoni vorrei inserire anche Dove l’ho messa, scritta da Gaber per lo spettacolo ‘Anche per oggi non si vola’.

Ha ancora dei contatti con il mondo artistico?
Sì, pur non facendo vita mondana ho ancora salde amicizie.

Che musica ascolta adesso?
Recentemente mi sono sentita al telefono con Irene Aebi che è stata per anni la compagna del jazzista Steve Lacy. Loro hanno vissuto molti anni a Roma e ci si vedeva spesso. Per me lui era un grande sassofonista, un maestro del sax soprano, ed io ho amato molto la sua musica. Steve mi ha anche accompagnato in alcune mie apparizioni televisive. Lacy è morto nel 2004 e ha lasciato ad Irene molti scritti, anche in italiano, ed ora lei vorrebbe far rivivere musicalmente questi ricordi. Mi piacerebbe aiutare la mia amica Irene in questo suo progetto.
(nella foto Steve Lacy & Irene Aebi)

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Non amo intervistare le persone al telefono, specialmente se non ho mai avuto l’opportunità di conoscerle. Non mi piace perché l’intervista è un po’ una confessione e la componente umana – gli sguardi, i gesti delle mani, le espressioni del viso – è fondamentale per instaurare un rapporto. Bene. Maria Monti non l’avevo mai incontrata eppure siamo stati al telefono quasi due ore e lei è stata bravissima a raccontarmi la sua vita con estrema dolcezza e ho apprezzato molto l’ironia e la sua visone positiva del mondo. Sentire la sua voce che intonava le canzoni quando io gliele proponevo, mi ha emozionato. Chiudo con la sua foto qui sotto che la ritrae una decina d'anni fa nello spettacolo "Canto a me stessa" e che ben rappresenta ancora questa artista.
Davvero una grande persona e sono sempre più convinto che questa signora, nonostante si sia da tempo defilata dalle scene, meriti una posizione speciale nel panorama musicale italiano per l’originalità e il coraggio delle scelte artistiche.
                                                                                    Guido Giazzi

 

Ringraziamenti
Vorrei ringraziare Luciano Ceri per aver reso possibile l’incontro e Paolo Jachia per la fattiva collaborazione.

Tutte le foto (dove non indicato) sono prese dal sito dell'artista o sono foto di repertorio.
 

Bibliografia
'Dizionario della Canzone Italiana' a cura di Gino Castaldo (Armando Curcio Editore, 1990);
'Dizionario delle Canzoni Italiane' di Dario Salvatori (Elleu Multimedia, 2001);
'Dizionario Completo della Canzone Italiana' a cura di Enrico Deregibus (Giunti, 2006);
'Gaber L’illogica Utopia' a cura di Guido Harari (Chiarelettere, 2010);
'La storia del rock in Italia' di Roberto Caselli e Stefano Gilardino (Hoepli, 2019);
'Storia culturale della canzone italiana' di Jacopo Tomatis (Il Saggiatore, 2019)

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