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Roberto Manfredi

Cesare Monti. L'immagine della musica

Un uomo, un artista, una mostra, “millanta” foto, un libro…

Si è aperta a Carimate, suggestivo paesino della Brianza, nel salone civico di Piazza Castello messo a disposizione dall’Amministrazione Comunale, una mostra dedicata al lavoro ed alla figura di Cesare Montalbetti, in arte Caesar Monti.
Chiunque sia appassionato di musica, a casa, avrà senz’altro un album la cui copertina è stata curata, ideata, prodotta da Monti, con il supporto di sua moglie, Vanda Spinello. Nella sua carriera Monti ha prodotto oltre 250 immagini per album di musica (fondamentalmente italiana, con incursioni riuscitissime anche in ambito internazionale). Ma la sua produzione non si è “limitata” solo alle classiche copertine, qualche volta si è interessato anche a tutto ciò che è parte integrante di questo lavoro come, ad esempio, creare copertine apribili con dei superbi ed originali inseriti fotografici al proprio interno. Per lui ogni copertina era una sfida ed ogni immagine non era mai fine a sé stessa ma doveva rappresentare un racconto, una storia, un ‘qualcosa’ in perenne divenire che non doveva esaurirsi nel lavoro ma proseguire, nel tempo, sulle ali della fantasia. Mai un’idea doveva essere mutuata dalla precedente, ogni lavoro doveva invece rappresentare un esperimento nuovo, un desiderio da appagare per proseguire nel lavoro complessivo della sua visione artistica, per manifestare il senso di una natura creativa e di innovatore senza confini né definizioni ultimative.

Nella mostra, che ha nelle immagini potenti di Lucio Battisti uno dei soggetti iconici della carriera di Monti (qui a fianco una curiosa foto che Monti stesso autorizzò nel dicembre del 2000 come copertina per la rivista L’Isola che non c’era e che nel servizio dedicato a Battisti trovava spazio un’ampia intervista proprio a Cesare) è possibile avere un assaggio della creatività di Monti, una delle tante vite artistiche che hanno costruito la sua carriera. Una carriera lunga e con molte varianti: fotografo, art director, scrittore, cineasta, divulgatore… tanti mondi racchiusi in una personalità paradossalmente e contraddittoriamente unica e poliedrica, piena di genio ed inventiva ma, pure, di sobrietà, umiltà, gusto del paradosso, saggezza acquisita nel corso del lavoro di una vita e, magari, anche a causa di qualche delusione. Artistica e umana. Ma questa è la vita…
E la sua vita, in maniera “lieve”, è stata raccontata nel libro che
Roberto Manfredi (operatore culturale che da più di quarant’anni opera nel mondo della musica e dello spettacolo ricoprendo tutti i ruoli, dal manager all’autore, dal tour manager al produttore, lavorando con tutti i più grandi artisti e che qui a fianco vediamo in una foto di qualche…decennio fa) ha scritto, con la collaborazione di Vanda Spinello e della figlia, Alice Montalbetti. Un libro che rappresenta un accenno al racconto della sua vita artistica filtrato attraverso non soltanto i propri ricordi, ma anche con alcune testimonianze degli artisti per i quali Monti ha lavorato e che spesso hanno interagito con lui. Perché Monti non era geloso del proprio lavoro, anzi cercava di idearlo partendo dall’osservazione dell’interlocutore, studiandone “il personaggio”, cercando di “illustrarlo”, nella maniera ottimale, al pubblico. 
Nel libro, Manfredi riesce a far emergere l’artista Monti ma soprattutto l’uomo Cesare, capace di unire momenti di grande ilarità ad altri colmi di precisione, attenzione, serietà. Il suo era un ‘fare’ che necessitava di preparazione metodica nell’ideazione di un progetto e nei passaggi per portarlo a termine, così come non mancava in lui la leggerezza e il divertimento nel vivere un lavoro che lo affascinava e con il quale alimentava la sua personalità affamata di conoscenza. Perché è dei “grandi” sapere assolvere ai propri compiti in maniera professionale portandovi dentro però la parte più ludica della propria persona, così come è dei “capaci” saper osservare la realtà e restituirla trasformata dallo sguardo infinito della creazione che non si arresta ma si espande nel tempo. Per questo i suoi lavori sono attuali ancora oggi, magari a quarant’anni ed oltre dalla loro “manifestazione”. Sperimentatore assoluto, Monti ha riversato nel suo lavoro immagini fantastiche ed oniriche di rara bellezza (coadiuvato dalla pittura e dalla creatività di sua moglie, Vanda Spinello, qui insieme in una foto) ed il fatto che sia stato collaboratore, in differenti momenti della sua carriera, 
di due realtà quali la Apple e la Rolling Stones Records, la dice tutta sulla caratura del personaggio e sulle sue doti artistiche riconosciute a livello planetario. Nella stesura del libro - che si legge con passione e nostalgia - Manfredi passa in rassegna voci e ricordi di alcuni degli artisti con i quali Monti ha collaborato (Finardi, Branduardi, Gianfranco Manfredi, Rettore, Banco, tra i tanti, per non parlare di tutta la scuderia della Numero Uno…) ma solo l’idea della sua collaborazione con artisti quali Fabrizio De André e Lucio Battisti può rendere il senso e la misura della grandezza di un artista, certamente dissacrante, ma innamorato del proprio lavoro e del lavoro altrui che, fin dall’osservazione delle copertine, prendeva vita nell’immaginazione degli ascoltatori.

Delle storie relative alle copertine di alcuni album il libro è ricco di chicche e curiosità e, ad esempio, dell’album “Rimini” di De André si possono leggere passaggi deliziosi ed esplicativi della dinamica del lavoro che avvolgeva Cesare Monti. Ma lui era anche un grande “manipolatore”, tanto che una delle cose che maggiormente colpisce dalle pagine del libro è la capacità di questo grande sciamano dell’immagine di utilizzare amici, parenti, moglie, figlia, oggetti di uso comune, per fissare immagini che poi, magari, sarebbero andate a definire la copertina di un album. Così come bastava una sedia trovata sulla battigia, o qualsiasi altro improbabile oggetto, per renderlo vivo e trasformarlo in un oggetto “parlante”, farlo diventare cioè un dettaglio importante, essenziale, esclusivo nell’economia di una storia fissata da un’immagine o da una serie di immagini. E il risultato è sotto gli occhi di tutti e basta riprendere in mano qualche sua copertina per cogliere meglio questo concetto, per “vedere” come hanno saputo parlare quegli oggetti inanimati, scartati, marginali, negli scatti e nelle composizioni di questo visionario. Dalle palme finte sulla spiaggia a dei microfoni ad incorniciare un viso (Fabrizio De André), ad un falò in un campo oppure alle mani levate verso il cielo e piedi ben piantati a terra (Lucio Battisti), da un copri water “magico” (Hunka Munka) ad una latta di pelati aperta (Il Cervello), dalle scarpe con sullo sfondo i grattacieli (Enzo Jannacci) agli orologi tondi al posto della testa (Dedalus). O ancora una cuffia e una sedia sulla spiaggia (Oscar Prudente) ad un martello che distrugge un uovo (N. T. Atomic System), da un frigorifero con un uomo all’interno (Alberto Radius) ad una valigia abbandonata in stazione (Oscar Prudente) fino al clown orrorifico con falce (Claudio Lolli) all’ultimo cerino in una custodia (Edoardo Bennato). E per chiudere questa piccola carrellata di immagini che siamo convinti vi abbia riportato alla mente l’album in questione, aggiungiamoci ancora il violinista in una saliera (Lucio Fabbri), il musicista con una gabbia davanti al viso (Eugenio Finardi) e l’orologio senza tempo (Banco). Osservando le copertine create, Monti non aveva né poneva limiti alla sua fantasia e gli oggetti più improbabili o maggiormente vicini alla vita comune con lui si trasformavano diventando oggetti d’arte, emozioni, elementi totemici, simboli quasi esoterici. Il quotidiano veniva come trasformato, plasmato, arricchito dal suo genio e l’impensabile diventava, quasi fosse un fatto naturale, elemento di stupore inatteso, di meraviglia nella scoperta di ciò che era sempre sotto gli occhi di ciascuno e che non si era mai palesato come opera di compendio all’arte.
Una finestra, un portone, un martello, una valigia, una sedia…ogni oggetto, sotto lo sguardo di Monti prendeva vita, si ergeva a soggetto attivo di un’opera d’arte. Già, perché le copertine degli album di Monti (con il supporto di Vanda, non dimentichiamolo…), erano, sono e saranno opere d’arte contemporanea perché capaci di leggere il quotidiano, di creare simboli, di esprimere chiavi di lettura, di illustrare il contenuto degli album, di corrispondere emozioni. L’arte non è qualcosa che si studia a tavolino, ma la costanza, l’applicazione, il rigore, la professionalità rendono possibile la creazione di opere capaci di superare il tempo. Non sempre, è vero, ma quando questo succede allora l’arte riesce ad andare oltre la contemporaneità per diventare esperienza da condividere attraverso un linguaggio nuovo, rendendo così possibile la creazione di nuovi percorsi sui quali aprire visioni artistiche alternative al vissuto del presente. Gli anni ’70 sono stati un decennio ricco di stimoli, di contraddizioni e anche di violenza (non scordiamolo mai) ma, soprattutto, di nuove modalità espressive capaci di coinvolgere la fotografia, il cinema, la pittura, la scultura, la musica, il teatro, la letteratura. Paradossalmente mentre all’esterno “esplodevano bombe, crepitavano pistole ed si lanciavano molotov”, l’arte era in grado di filtrare “il dolore”, di aprire una miriade di finestre alle quali affacciarsi per osservare lo scorrere della vita cercando, nello stupore dell’arte, nuove strade, nuovi codici comunicativi, nuove forme di sopravvivenza dello spirito.

Per chiudere questa nota, ci pare opportuno sottolineare due rapide osservazioni rispetto ad alcuni passaggi presenti nel libro. La prima riguarda l’aneddoto che ricorda come Cesare e Vanda si accorsero che Woody Allen, in una sequenza del film ‘Hannah e le sue sorelle’, inquadrato in un negozio di dischi, prese tra le mani l’album “Randy Weston meets himself” - la cui copertina era opera di Monti-Spinello - e dopo averla osservata con attenzione la mise in primo piano nell’immagine, riponendolo poi all’inizio di una fila di 33 giri. L’album era stato pubblicato nel 1976 dalla Produttori Associati del mitico Tony Casetta, il creatore degli ‘Stone Castle Studios’ di Carimate. La seconda è invece relativa alle pagine che Alice, la figlia di Cesare e Vanda, dedica al suo papà. Perché se tutti siamo consapevoli della genialità artistica di Cesare Monti, dobbiamo anche fare mente locale che lui era un marito ed un padre, adorato da sua figlia, come si può comprendere dalle parole che lei gli dedica. Parole dettate dall’amore e dall’affetto di una figlia che ha vissuto con accanto due persone creative e sempre stimolanti. Parole che, meglio di chiunque, sanno e possono rappresentare l’altro lato di Cesare Monti: quello dell’uomo, sconosciuto ai più, ricco di una profonda consapevolezza d’amore e di benevolenza verso la sua famiglia. Un uomo, Cesare Monti, che ha saputo essere artista con leggerezza, con divertimento ma anche con fatica. Che non ha mai rimpianto di non essere stato definito il più grande art director del suo tempo, perché in fondo lui sapeva di esserlo e non aveva bisogno di conferme. Così come Alice sapeva che lui era ‘il più grande papà del mondo’ e ha scritto le misurate e giuste parole per farcelo sapere… 

 

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In dettaglio

  • Artista: Roberto Manfredi
  • Editore: Crac Edizioni
  • Pagine: 168
  • Anno: 2018
  • Prezzo: 22.00 €

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