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Enrico de Angelis

Coltivo una rosa bianca – Antimilitarismo e nonviolenza in Tenco De André Jannacci Endrigo Bennato

Si intitola ‘Coltivo una rosa bianca’, come il verso del poeta cubano José Marti cantato da Sergio Endrigo, l’ultimo libro pubblicato da Enrico de Angelis (ed. VoloLibero, 2020).

Il sottotitolo chiarisce la scelta poetica: ‘Antimilitarismo e nonviolenza in Tenco, De André, Jannacci, Endrigo, Bennato, Caparezza’. Dunque, alcuni tra i grandi autori che, ininterrottamente nel corso di tutta la loro produzione artistica, e con una coerenza che intreccia più che altrove arte e vita, hanno fatto della parola cantata l’arma con cui combattere ogni forma di violenza e di sopruso.

Si tratta di una raccolta di articoli scritti da de Angelis – qui rivisti e ampliati – apparsi nel 2018 nella rubrica ‘Canzone d’autore’ della rivista Azione Nonviolenta, diretta dal Presidente del Movimento Nonviolento Mao Valpiana, che qui cura l’Introduzione. Sei piccole antologie che raccontano singoli versi, canzoni o interi album in cui i cantautori in questione, ciascuno a suo modo, esprimono la propria posizione nei confronti della guerra e dell’obbedienza a un volere di morte e distruzione. Il libro accoglie, nella Prefazione, la voce schietta e puntuale di un grande testimone di pace quale è don Luigi Ciotti: poche parole in cui, partendo dalla modesta dichiarazione di non essere un esperto del genere d’arte di cui si leggerà, va proprio a centrare il cuore del discorso, che è l’interpretazione della parola “pace”, la quale – dice citando lui stesso l’apocalittico De André de La domenica delle salme – può anche essere “terrificante”. Quale pace, dunque, pensano e desiderano i “nostri” cantautori, e quale violenza li disgusta e li spinge ad opporvisi attraverso le loro canzoni è il tema del libro.

 

Addentrandosi nella lettura, il primo elemento prezioso che si riconosce è l’autorevolezza dell’autore: la profondità di conoscenza di ogni singolo artista è infatti la lente che gli consente di mettere a fuoco le parole di pace tra le righe e le note dei “suoi” autori, pure laddove sono meno esplicite, o semplicemente poco note al pubblico. Qui, anche il lettore già esperto e amante del genere scopre ancora nuovi richiami letterari e poetici, personaggi e fatti di cronaca che si celano dietro la genesi di una canzone e dalle quali gli artisti in esame attingono a piene mani, affascinati da un pensiero, una parola, una storia. Stimoli culturali cui di frequente si sommano le vicende biografiche di parenti – zii, nonni, avi – che furono protagonisti di vicende belliche e i cui racconti segnarono, nell’infanzia, la sensibilità dei futuri cantastorie e ne formarono la coscienza politica, intesa nella sua accezione più autentica e pura. Talvolta ne rimaneggiano il significato in sfumature più personali, o ne perfezionano il messaggio secondo i propri intenti, anche se si tratta della traduzione di un testo, come fece De André avvalendosi dell’antica Geordie per cantare la spietatezza della legge che neppure “lo scettro del Re” può mitigare.
E non sono solo schiere di soldati che partono per non tornare più, lacrime di innamorate che mai troveranno consolazione, guerre insensate e infinite dove gli opposti in armi non sono che le facce dell’identica medaglia di disperazione e lutti; ma pure più coraggiose esortazioni alla diserzione, e riflessioni poco scontate e spesso impopolari, se un Bennato più severo che mai (in Un aereo per l’Afghanistan) canta “… tu che metti in scena la rivoluzione/nel teatrino di un centro sociale”, e di ragazzi “bene addestrati a recitare slogan […] Chi è che ha in mano i fili e che li fa ballare?”. O se un Caparezza usa le parole come coltelli affilati in un capolavoro di testo: “Non siete Stato voi che rimboccate le bandiere sulle bare/per addormentare ogni senso di colpa”. Parole che, piuttosto che muovere al pianto, scuotono le menti.

Ma ciò che rende straordinaria questa lettura è lo sguardo di de Angelis (in fondo all'articolo un suo primo piano), tanto analitico quanto appassionato, la sua ineguagliabile capacità di cogliere i tratti distintivi del cantautore di cui scrive disvelando così il segreto di quell’ineffabile armonia di elementi di cui l’ascoltatore assapora infine l’insieme (qui in alto una foto di repertorio con Jannacci, Endrigo e in secondo piano de Angelis). Viene da parlare di poetica, che però nel mondo della canzone è concetto particolarmente complesso in quanto va ricercata non nelle sole parole, ma nella magica pozione di versi, musica e interpretazione in un’inscindibile alchimia.
L’elegante determinazione di Endrigo, i paradossi di Bennato, il filo che lega stretto le canzoni di Tenco con la sua biografia, la potenza intrinseca della parola risvegliata dai versi di Caparezza, la poesia intellettuale e cruda di De André, il piglio grottesco di Jannacci: sono modi espressivi al pari del lidio o del frigio per la melodia, chiavi di lettura indispensabili a un ascolto consapevole di questi grandi cantautori.

Esemplari e illuminanti, sempre, sono le descrizioni. Jannacci è “… una scheggia impazzita che nel cantare (come nel parlare come nel muoversi) deviava continuamente in digressioni inattese, tic improvvisi, scatti disarticolati, scosse da elettroshock, sospensioni, dissonanze o, se vogliamo, stonature […] parole azionate e mescolate confusamente in un quasi grammelot, una poltiglia di nonsensi e frasi compresse, smozzicate, che macinava faticosamente come se lui per primo stesse sforzandosi di capire cosa sta dicendo […] Eccolo lì, pietrificato e insieme disarticolato, saltimbanco e gentleman, marionetta dotata però di signorilità umana. Si esprime a intermittenza, a pezzettini, lascia buchi vuoti, svisa, stona, borbotta, evoca, allude, tace. Esternazioni mangiucchiate, quasi impercettibili, dalle quali però affiorano sempre brandelli di realtà. Quel volto impassibile, levigato come una statua, un’immobile piega amara agli angoli della bocca, nascondeva qualcosa di anche grave, spesso tragico ma al tempo stesso dolce, morbido e spettrale insieme”. E Bennato “… è tutto un ribollire di versacci, falsetti, pernacchie, sbalzi, balbettii: è dunque la voce che fa satira, capovolgendo il senso, storpiando beffardamente la dizione quasi fosse di gomma, dilatando e deformando le vocali come a riprodurre onomatopeicamente il disgusto, la volgarità, l’enfasi […] Chioma riccia e occhialetti neri, scuro in volto, rabbioso ed esagitato, si presentava […] urlando come un ossesso davanti alla gente le magagne, le colpe e le contraddizioni più reali e brucianti della società. Un Pinocchio da palcoscenico, un Pulcinella dei nostri anni…”.

È qui evidente che si ha a che fare non solo con uno dei massimi esperti della nostra canzone d’autore, ma anche con un maestro della critica musicale, capace di intuire cosa fa di una canzone la personalissima espressione di colui che l’ha creata. Ecco: le sue magistrali descrizioni, quei tratti di inchiostro che come geniali caricature sintetizzano l’essenza dell’autore, sono la versione testuale dei disegni di Milo Manara e Massimo Cavezzali, un'altra preziosità di questo piccolo volume: disegni che non per nulla Manara stesso definisce “ritrattini spirituali”. Nei loro tratti di matita, così come nelle parole pennellate da de Angelis, si visualizza con un unico sguardo l’anima profonda degli artisti, delineata alla perfezione, e se ne comprende appieno il messaggio di pace. Cui pure l’autore del libro intende unirsi, decidendo di devolvere i proventi di questo suo scritto al Movimento Nonviolento.

 

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In dettaglio

  • Artista: Enrico de Angelis
  • Editore: VoloLibero Edizioni
  • Pagine: 125
  • Anno: 2020
  • Prezzo: 18.00 €

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