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Paolo Conte

Paolo Conte

di Pierluigi Barberio

“Paolo Conte ispira imitazione. Per usare un suo aforisma, Paolo Conte è il riassunto della musica italiana come la lucertola è il riassunto del coccodrillo”, dice tra il serio e il faceto Vinicio Capossela, e probabilmente migliore definizione di Conte sarebbe difficile trovarla. Questa perla di Capossela si trova nel bel docufilm ‘Paolo Conte, via con me’ di Giorgio Verdelli, scelto nel 2020 nella selezione ufficiale alla 77a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, e ora è anche possibile leggerla nella biografia che lo stesso Verdelli ha deciso di dedicare all’avvocato di Asti, uscita a maggio per Sperling & Kupfer, riprendendo e ampliando notevolmente il materiale già usato in video. Giorgio Verdelli, autore e regista di documentari musicali, uno dei maggiori esperti di musica in Italia, ha realizzato numerosi programmi per la RAI, conosce molto bene Paolo Conte. E si vede, si legge.

Sin dalla struttura del libro, organizzata per stagioni e temi, e caratterizzata soprattutto dall’impostazione aneddotica che gli conferisce leggerezza e profondità, favorendo una conoscenza piacevolmente intima di Conte. Per esempio quando, parlando di Azzurro, portata al successo da Adriano Celentano, Verdelli (qui nella foto) chiede a Conte se fosse vero che la madre, ascoltando quella canzone, iniziò a piangere. “Sì, è vero […], perché mia madre, che era dotata di grande intuito, aveva sentito in quel canto quel tanto di antico e quel tanto di moderno che c’era e che ha lasciato un segno nelle nostre vite”. Da queste parole traspare un’umanità sincera, che poi è la cifra del Paolo Conte uomo prima ancora che artista. Un altro aspetto che rende molto interessante la biografia di Verdelli consiste nel fatto che la vita professionale di Paolo Conte è sempre accompagnata dai fatti salienti, anche drammatici, della storia del nostro Paese, il che dà maggiormente la dimensione di una carriera artistica, che per via della sua ampiezza e fortuna ha attraversato e incrociato i maggiori eventi e trasformazioni dell’Italia, probabilmente avvertendone i sentimenti e assorbendone gli umori più profondi e restituendoli in filigrana nei suoi pezzi più popolari e noti, che compongono tante diapositive anche della nostra vita.

 

Molte canzoni di Paolo Conte, del resto, hanno una spiccata scrittura cinematografica: possono essere viste oltre che ascoltate. Pensiamo solo a pezzi come Onda su onda (cantata originariamente da Bruno Lauzi) o Genova per noi. “Il cinema che ho amato è quello che guardavo da ragazzo nelle poche sale che c’erano ad Asti. Era sempre una scoperta, una gioia, ma anche un mistero”, racconta Conte a Verdelli. Dopo le interessanti esperienze jazz giovanili con il fratello Giorgio e i primi, importanti due album a metà degli anni Settanta (entrambi intitolati Paolo Conte) incisi con la RCA del grande Lilli Greco e impreziositi dalle copertine dipinte dallo stesso Paolo Conte, che è anche un bravo pittore (tra l’altro, nel 2007 l’Accademia delle belle arti di Catanzaro ha conferito a Paolo Conte la sua terza laurea honoris causa proprio in Pittura, ci ricorda Verdelli nel libro), sono gli anni Ottanta che gli aprono la porta della notorietà e del successo.

 

Giorgio Verdelli fa il nome di una persona, spesso colpevolmente dimenticata, strategicamente importante nella storia della musica italiana e di quella di Conte, Amilcare Rambaldi (a cui Conte, dopo la sua scomparsa, dedicherà la toccante Roba di Amilcare), uno degli ideatori del Festival di Sanremo e che vent’anni dopo fonderà il Premio Tenco, dopo la morte del grande cantautore, che diventerà la casa della canzone d’autore italiana. Qualche tempo dopo la pubblicazione del suo secondo album, Conte riceve una telefonata direttamente da Rambaldi che lo invita al Tenco: “Non sapevo bene cosa fosse questa rassegna, ma l’invito era molto cortese, avevo percepito una voce calorosa che mi diceva: ‘Vieni, siamo tra amici’, quindi ci andai con piacere, ma pensavo a un teatrino con un centinaio di amici, e invece mi trovai in un Ariston colmo, con un gigante barbuto che mi accoglieva: era Francesco Guccini. Ma uno dei momenti indimenticabili di Paolo Conte al Premio Tenco, si avrà qualche anno dopo, nel 1981, poco prima dell’uscita di “Paris milonga”, quando Amilcare Rambaldi, Vincenzo Mollica ed Enrico de Angelis (autore di una storica biografia su Conte) organizzano a Sanremo Contiana, una ventiquattro ore non-stop in suo onore, con la partecipazione anche di Roberto Benigni che darà vita a una straordinaria performance cantando Mi piace la moglie di Paolo Conte, che a sua volta replicherà dedicando Dal loggionealla zia di Benigni, di cui sono da anni invaghito”.

Paolo Conte è ormai un nome di rilievo per la musica italiana, ma qualche anno dopo, siamo nel 1984, arriverà la definitiva consacrazione internazionale, anno della pubblicazione del suo sesto album (il terzo intitolato semplicemente con il suo nome), che vede per la prima volta in veste di produttore il compianto Renzo Fantini. Fantini ha una scuderia di altissimo livello ma volutamente con pochi nomi, anzi diciamo praticamente uno solo: è il produttore di Francesco Guccini, lo sarà anche di Vinicio Capossela.

 

Ma per il lancio oltralpe sarà decisiva Caterina Caselli che nel 1968 di Conte aveva cantato la bellissima Insieme a te non ci sto più, e che da general manager della CGD insisterà (riuscendoci) a portare nella sua scuderia "Paolo Conte". Sia l'artista che l'album…(qui insieme in una foto di Dagospia). Quell’anno, tanto per dire, vedrà uscire un altro capolavoro della discografia italiana: Creuza de mä di Fabrizio De André, con la fondamentale collaborazione di Mauro Pagani. Alla fine degli anni Ottanta i concerti di Paolo Conte all’estero, soprattutto in Europa, sono sold-out, e, quel che più colpisce, lo sono nel tempio della musica francese che conta, l’Olympia di Parigi, anche per ben tre settimane di seguito. Clamoroso.

Il libro racconta bene questo momento magico per Conte, ma ci sono pagine che affrontano anche altre sfumature della vita professionale. Ad esempio, chi sono i colleghi, trascurati o meno, con cui Paolo Conte va più d’accordo? Sicuramente ce ne era uno, che sarebbe diventato presto un suo grande amico: Enzo Jannacci. “Ho avuto la fortuna di trovare un interprete come Enzo Jannacci, che per me rimane, storicamente parlando, il più grande cantautore che l’Italia abbia mai espresso. Ricordo benissimo che nel 1970 ero presente alla registrazione di Messico e nuvole. Ho sempre voluto esserci per i miei brani più significativi”. In seguito, nell’album “Foto ricordo” del 1979, Jannacci inciderà altri due pezzi memorabili di Conte: Sudamerica e Bartali. Insomma, un vero e proprio sodalizio artistico che si traduce in una profonda amicizia (molto bella la testimonianza del figlio Paolo che Giorgio Verdelli raccoglie nel libro). Ma chi è oggi Paolo Conte e cosa fa, oltre che continuare a suonare con meno frequenza ma sempre con lo stesso risultato, sold-out, in giro per l’Italia e l’Europa? “Oggi più che mai, Paolo Conte è un gentiluomo di campagna piemontese che guarda il mondo da lontano, un commentatore di particolari a cui molti non fanno neanche caso, un osservatore dell’attualità che, come spesso dichiara con nonchalance, ‘non mi interessa più di tanto’…”>, scrive Verdelli verso il finale della sua biografia. Una cosa è certa. A noi interessa sempre molto quel che fa e farà Paolo Conte e grazie a Giorgio Verdelli, con il suo docu-film e questo libro, ora ne sappiamo sicuramente parecchio di più.

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In dettaglio

  • Artista: Paolo Conte
  • Editore: Sperling & Kupfer
  • Pagine: 212
  • Anno: 2022
  • Prezzo: 18.90 €