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Caparezza & Michele Monina

Saghe mentali. Viaggio allucinante in una testa di Capa

Che già è difficile farne bene uno, di mestiere. Due bisogna essere bravi. Tre dei fenomeni. Eppure: c’è chi fa solo il musicista; chi il musicista e lo scrittore (o il regista); chi il musicista, lo scrittore e il regista insieme. Affollata ovviamente la prima categoria; poco popolata, fortunatamente, la terza; necessaria di censimento la seconda, perché chi li conta più ormai i cantanti che hanno pubblicato anche un libro – vedi alla voce: se non ti chiamassi taldeitali questa ciofeca non te la pubblicherei mai.
Ecco il libro di Caparezza. Quattro capitoli per trecentonove pagine uscite a ridosso della pubblicazione dell’ultimo (convincente) disco “Le dimensioni del mio caos”. Lui e Michele Monina gli autori. Ebbene: se proprio avessimo dovuto scegliere un cantante italiano di cui leggere un libro, avremmo scelto Caparezza o pochissimi altri. Perché Michele Salvemini con le parole ci sa fare, è uno che scrive ragionando sul loro significato fino a friggersi la testa. Le parole con cui ha un rapporto fisico, senza dogmi (per lui non c’è alto e basso: c’è solo il vocabolario e ciò che sta oltre di esso), oseremmo dire quasi morboso vista la quantità di lemmi che fino ad oggi ha infilato nei suoi dischi. E’ un rapper, o così viene definito, ma ha il gusto narrativo degli scrittori ed ogni tanto in qualche brano prova ad infilarci la storia che stia su al di là dell’aiuto della musica.

Per questo, dicevamo, un libro suo ce lo saremmo letti volentieri. Ma non questo libro. Che non ha tanto il problema di essere commerciale – certo, un saggio su Deleuze non glielo avrebbero mai fatto pubblicare – ma di avere più semplicemente sbagliato bersaglio. Ha voluto puntare in alto Caparezza nella sua prima uscita su carta. Non un libro unico ma quattro mini-volumi insieme, ognuno abbinato ai quattro dischi fino ad oggi pubblicati: per “?!” uno pseudo-diario che racconta la vita di Salvemini pre-Caparezza; per “Verità supposte” una raccolta di brevi fiabe surreali; per “Habemus Capa” una sorta di parodia dell’Inferno dantesco dove i testi dei brani sono corredati da note a piè di pagine e il commento visivo delle tavole di Gustavo Dorè; per “Le dimensioni del mio caos” un racconto stile Urania di quattordici capitoli come i brani del disco. Ha voluto puntare in alto e alla fine ha faticato a portare a casa il minimo sindacale. Saghe mentali. Viaggio allucinante in una testa di Capa si fa leggere, ma quante cose elimineremmo o cambieremmo. In primis la grafica, che a causa di abbinamenti coloristici opinabili rende di difficile lettura parecchie pagine. E poi: il diario è scritto in modo scolastico e prova a far ridere, ma non ci riesce. Le fiabe, seppur diverse tra loro e alcune divertenti, alla lunga si somigliano tutte. Il racconto stile Urania tenta di allargare la già esile trama del disco (la cui forza è però tutta nei singoli brani) ottenendo l’effetto opposto di farla apparire ancora più pretestuosa di quanto non sia. La parodia dantesca invece, vuoi per le illustrazioni, vuoi per le note alcune davvero esilaranti, funziona. Delle quattro parti Caparezza avrebbe fatto bene a concentrarsi solo su questa (ma è di “Habemus Capa”, che non è l’ultimo disco) e non provare a strafare.
A volte gli editor (o gli aiuto-registi per il cinema) non servono solo a mettere le pezze sugli strafalcioni del nome grosso di turno, ma a contenere, chiamiamolo così, l’entusiasmo di chi di fronte ad una nuova possibilità espressiva vuole farci tutto e il contrario di tutto. Come pare sia capitato in questo caso a Caparezza, che comunque ci può sempre riprovare.

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In dettaglio

  • Artista: Caparezza & Michele Monina
  • Editore: Rizzoli 24/7
  • Pagine: 309
  • Anno: 2008

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