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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

E se gli Mp3 salvassero la canzone d’autore?

Che ne sarà della musica?

“Ecco, la musica è finita

 Gli amici se ne vanno

 E tu mi lasci solo”

 (Bindi – Nisi- Califano)

 

 

 

L’industria discografica è in ginocchio, gli enti locali non hanno una lira, internet sembra aver annullato i diritti d’autore, i Maya infieriscono a prescindere. Ma allora che ne sarà della musica? E, forse ancor peggio, che fine farà la canzone d’autore?

Che il lettore più puro si prepari, perché per rispondere tratteremo poco d’arte e di talento e proveremo ad esplorare rapidamente le dannate terre dell’industria, del marketing e della comunicazione.

Iniziamo dall’industria discografica. È in crisi da decenni e a dirla tutta in Italia il mercato è storicamente debole. In realtà le vendite si erano già inchiodate nei primi anni Ottanta, ma l’avvento del cd (1985, sorpasso ai danni del vinile nel 1990), con la conversione delle raccolte e l’immissione massiccia dei vecchi cataloghi, aveva per qualche tempo mascherato il tutto. Non a caso, per le etichette discografiche nazionali e internazionali, i tardi anni Novanta e i primi del nuovo millennio sono già una processione di fallimenti, acquisizioni, fusioni. Internet e la pirateria sarebbero dunque soltanto il colpo finale. O forse è il contrario? Concedetemi ancora un po’ di pazienza e qualche altra riflessione.

Rispetto agli altri paesi l’Italia è in ritardo sul mercato digitale. Infatti, nonostante un buon incremento nell’ultimo anno, il fatturato si ferma al 21% del totale. Per intenderci negli USA è avvenuto lo storico sorpasso ai danni dei supporti fisici (52%) e in Cina si è addirittura al 71%. Questo ritardo ha diverse cause di cui un giorno forse parleremo, ma il problema è probabilmente anche culturale. 

Il mercato della musica digitale si sviluppa in effetti in due filoni distinti anche se per certi aspetti complementari: il possesso dei file o l’accesso ad essi. Si può decidere, in definitiva, se pagare per possedere fisicamente i file sui propri dispositivi (computer, ipod, telefonini etc.) oppure per poterne disporre liberamente online tramite particolari software e portali, senza scaricarli. Se il mercato italiano fa qualche progresso nell’acquisizione, il ritardo è ancora cronico invece sull’accesso a pagamento, tanto è vero che importanti multinazionali (ad esempio la svedese Spotify) non hanno ancora attivato da noi i loro servizi. La cultura del possesso, insomma, è forte e radicata. E a ben pensarci non c’è da stupirsi: potrei trovare gratuitamente in biblioteca, in qualsiasi momento, quasi tutti i libri che ho in casa. Eppure ho le pareti cariche e le mensole che lottano disperatamente contro la forza di gravità.

Sulla base della differenza tra accesso e possesso si sono sviluppate anche le principali teorie economiche e di marketing. La domanda è la solita: come far in modo che l’utente, abituato a scaricare gratuitamente, inizi a pagare per la musica digitale?

Già nel 2005 Kusek e Leonhard proponevano il modello del “Music Like water”: considerare la musica come servizio, più che prodotto, proprio come l’acqua nei rubinetti, con accesso permanente e illimitato dietro pagamento di un canone. Nel 2008, invece, Kevin Kelly ha coniato la fortunata espressione “Better than free”, con la quale intendeva che, non potendo sconfiggere la circolazione delle copie gratuite e piratate, l’unica possibilità era associare alcuni valori o prodotti per giustificare l’acquisto (questi valori vanno dalla qualità e affidabilità del file a contenuti accessori, da immagini, testi, sconti e promozioni per i live fino addirittura ad incontri con l’artista).

Ma siamo davvero certi che la pirateria sarà invincibile a lungo? 

Le novità internazionali degli ultimi mesi fanno riflettere anche su questo punto. Le case discografiche hanno iniziato a stringere accordi strategici con alcuni siti di vendita, servizi p2p, con radio e media online, ma soprattutto con i provider di servizi internet, perché vengano resi difficoltosi se non totalmente bloccati i trasferimenti di file protetti da diritti d’autore.

Non solo, le pressioni nei confronti dei governi hanno dato i loro frutti: da un lato si stanno inasprendo le iniziative delle autorità contro chi gestisce il servizio di condivisione dei file, dall’altro i governi hanno iniziato a rivolgersi agli utenti con forme di Graduated response law (leggi con sanzioni progressive). Fa scuola in questo senso il sistema Hadopi, da ottobre 2010 attivo in Francia. In pratica è stato creato un organo di vigilanza sul traffico internet che controlla anche il p2p e gli utenti privati. Se qualcuno viene scoperto a scambiare un file pirata viene subito avvertito con una mail, che gli ricorda che ciò che sta facendo è illegale. Al terzo avviso in sei mesi all’utente viene staccato internet per un mese e affibbiata una multa di 1500 euro. I risultati sono sorprendenti, soprattutto se paragonati a certe grida manzoniane che minacciano carcere e pene corporali. Di fatto in poco più di un anno l’utilizzo del p2p è sceso del 26%, e la vendita legale ha segnato un incremento notevole rispetto ad altri paesi analoghi. Forme simili di dissuasione sono state attivate nell’ultimo anno negli USA e, ancor più rigide, nella Corea del Sud.

Tutto questo mi ricorda in qualche modo la curiosa vicenda delle schede piratate di Tele+ (oggi Sky). C’è stato, qualche anno fa, un periodo in cui grazie a schede piratate moltissimi utenti, con pochi euro dopo aver acquistato parabola e decoder, riuscivano ad avere accesso liberamente ai canali Tele+ e in particolare a tutte le partite di calcio in diretta. Per l’Italia, all’epoca ansiosamente in attesa di Novantesimo minuto, era un po’ come l’apparizione di una divinità in terra. Ma dopo qualche mese di totale illegalità, la Pay Tv riuscì miracolosamente a scoprire un antidoto tecnico, le schede piratate divennero inutilizzabili, e i milioni di calciofili si trovarono con una parabola muta in poggiolo e una dipendenza avida e atavica nei confronti delle partite in diretta. Tutto questo ebbe di certo a che fare con il seguente successo commerciale di Sky.

In qualche modo credo che per la musica avverrà qualcosa di simile, in più sensi.

Probabilmente lo scambio illegale di musica diverrà sempre più faticoso, pericoloso, improduttivo, anche se naturalmente non verrà mai eliminato del tutto. D’altra parte l’abitudine ormai acquisita ad un consumo quasi bulimico di musica (scagli la prima pietra chi è riuscito ad ascoltare tutto ciò che ha nel computer!) sarà difficile da correggere.

Mi aspetto dunque a breve (e qui arriva la profezia) qualche buona contromisura informatica, accordi industriali, anche per l’Italia una legge analoga a quella francese e poi lo sviluppo vero e proprio del mercato digitale legale. Ma ormai anche noi italiani saremo dipendenti e avere un abbonamento sarà considerato un bene primario come, per dire, possedere un cellulare.

In mezzo a tutto questo però si svilupperanno probabilmente dei curiosi effetti collaterali. Riprendendo l’esempio della Pay Tv, al fianco dei media generalisti che imperverseranno con i loro prodotti facili e commerciali, ci sarà probabilmente sempre più spazio per “canali tematici”. Ricordate il “Better than free”? Comunicazione e marketing saranno integrate nel prodotto musicale, e la loro capacità di attrarre e conquistare gli appassionati di un genere, ad esempio, sarà la loro fortuna. Libera dai vincoli delle radio private e commerciali, dagli standard di tempo e struttura (3 minuti, un certo ritmo, il ritornello nei primi 60 secondi, etc. etc.) la canzone potrebbe in alcuni casi tornare ad occuparsi di sé. Soprattutto i portali che vorranno vendere il possesso dei file, e non soltanto l’accesso, dovranno offrire prodotti culturali in qualche modo appetibili.

Infine, tutto questo mi fa ben sperare per lo spazio che il nuovo mercato potrà e saprà riservare a generi oggi trascurati dai media generalisti. E siccome credo che gli artisti non manchino, ma piuttosto manchi troppo spesso al momento un mercato per loro, vi dirò… E se fossero gli Mp3 a salvare la canzone d’autore?

 

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Dove non è precisato altrimenti i dati relativi al mercato italiano sono tratti dalla relazione annuale della FIMI (c.f.r http://www.fimi.it/primopiano.php) e quelli mondiali dal Digital Music Report 2012 dell’ IFPI (c.f.r. http://www.ifpi.org/content/library/DMR2012.pdf).

Per chi volesse approfondire si consigliano, tra gli altri: Luca Stante, La discografia in Italia. Storia, struttura, marketing, distribuzione e new media (Zona, 2007) e soprattutto Francesco D’amato, Musica e industria. Storia, processi, culture e scenari (Carocci, 2009).

Crediti fotografici: La prima immagine è tratta dal sito di Andrea Labranca (www.andrealabranca.it). La quarta foto è di Matteo Favati (www.matteofphoto.com)

 


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