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"Hippie Tendencies", come farsi invidiare dagli States

Dal Lago di Garda con furore

La recensione de L'Isola

L’Italia musicale è un paese dal doppio (o triplo o quadruplo…) binario. Là in alto, fascia A, ci stanno quelli baciati dal successo, che vendono, rilasciano interviste, cantano e trovano facilmente contatti e contratti. In basso, a notevole distanza, c’è il mare magnum degli altri, quei cantanti, musicisti, strumentisti spesso bravissimi e dal curriculum scintillante che però devono lottare e sgomitare e arrabattarsi in tutti i modi per cercare di raggiungere il limite minimo di sostentamento.

Sono in tanti e più passano gli anni più aumentano e più diventano bravi, così come aumenta la fatica e diminuiscono le possibilità di sopravvivenza. Che sia un problema di cultura e magari anche di politica? Evitiamo di rispondere e cerchiamo di mettere a fuoco una di queste band bravissime, che nulla ha da invidiare ad acclamati gruppi d’oltreoceano. Si chiamano Hippie Tendencies e un po’ di States ce l’hanno pure loro nel dna. La cantante e autrice di testi è infatti really American, si chiama Lisa Marie Simmons e prima di cantare scriveva poesie. Ora è il cuore pulsante di questa band che sprizza pop-soul da tutti i pori, grazie anche ad un gruppo di musicisti straordinari e questa volta tutti italiani. Provengono dal jazz, dal pop, dal rock e in questo disco suonano alla grande, contribuendo a rendere questo loro disco d’esordio assolutamente godibile.

Il disco si apre con una “Poppy rock” d’impatto che fa decollare subito l’album, mentre la seconda traccia eponima, “Hippie Tendencies”, gioca piuttosto su ritmi delicati e soffusi, con un bell’organo a scaldare l’atmosfera. Ottima pure “Feel no pain”, che celebra l’amore come medicina contro il dolore. Le tracce scorrono piacevoli, ottimo sottofondo per lunghi viaggi autostradali e perfetta colonna sonora per chi adora lasciarsi avvolgere dal calore delle note della soul music.

Bello l’intro bluesy di “Shame on you”, ma la canzone più trascinante è la numero 7, “Impossible”, che inizia strizzando l’occhio (orecchio?) agli Steely Dan, Il ritornello è vincente, entra in circolo subito e non esce più. I brani successivi sono più riflessivi, come fossero un lato B di un 33 giri a duplice atmosfera, la facciata night rispetto a quella day dei primi brani.

Canzoni da ascoltare, che inducono alla tenerezza e alla riflessione. Leggermente movimentata è “Push”, con ottime armonie vocali in evidenza. Il disco si chiude con la delicata “Someday”, al quale partecipa Zsuzsanna Czinki al cello.

Un disco che giunto al termine si ha subito voglia di riascoltare.


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