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L’età dell’oro degli editori

E venne il disco...

Sebbene nell’immaginario comune l’economia della musica si fondi solo sulle case discografiche, per molti secoli a guadagnare davvero sono stati gli editori, anche dopo la nascita del fonografo e la diffusione del disco.

Si pensi che le prime autorizzazione a stampare e vendere gli spartiti, i cosiddetti “privilegi”, compaiono già nel 1500, mentre per avere una legge sui diritti d’autore si devono aspettare il ‘700 e l’Illuminismo: il primato è dell’Inghilterra con lo Statuto di Anna (1710). Ancora una volta significativa, a suo modo, la posizione degli Stati Uniti d’America, a pochi anni dalla loro nascita: il Copyright Act del 1790 riconosce diritti d’autore solo ai cittadini americani, mentre sembra quasi incoraggiare la pirateria sui lavori stranieri. Questa posizione si ammorbidirà solo quando gli Usa diventeranno il maggior esportatore di popular music. 

Fatto sta che con il rafforzarsi delle norme sul copyright tra Ottocento e inizio Novecento le edizioni diventano ancora più importanti. Infatti acquisiti i diritti su un brano, l’editore non solo può stampare lo spartito e il testo e venderli, ma riceve (come l’autore) una percentuale dell’incasso ogni volta che quel pezzo viene interpretato da altri in pubblico, al cinema, alla radio, o inciso su di un qualsiasi supporto. E la questione è tutt’altro che banale.

Intanto si diffonde l’uso del pianoforte nella case delle famiglie ricche o borghesi, e al fianco della musica classica inizia a prendere campo anche la musica leggera, con un aumento notevole della richiesta degli spartiti dei brani più in voga. Per diffondere i propri gli editori iniziano a pagare gli interpreti e le orchestre più popolari perché le mettano in repertorio. Gli editori diventano veri e propri talent scout e manager: individuano e scritturano gli autori, procurano un interprete per produrre dei demo, e propongono il pezzo ai discografici e ai cantanti più famosi.

Quando negli anni Venti inizia a diffondersi la radio, il sistema non cambia di molto. Il “payola”, l’abitudine di foraggiare gli interpreti per far promuovere nei concerti una propria canzone, si sposta sui programmatori radiofonici e sugli speaker più famosi, perché un brano di successo viene poi inciso da diversi cantanti e da molte etichette, con lauti guadagni proprio per le edizioni. In effetti questa pratica di corruzione verrà ereditata dalle case discografiche, quando prenderanno il potere: basti ricordare qui il caso di Alan Freed, forse lo speaker più famoso degli anni Cinquanta (l’inventore del termine Rock and Roll e il primo fautore della sua diffusione per intenderci), travolto da uno scandalo nel ’59 proprio perché prendeva bustarelle dalle case discografiche in cambio delle sue scelte radiofoniche. 

Tornando all’importanza delle edizioni, lo sviluppo del cinema sonoro è un altro passaggio importante. Non è un caso che i primi film sonori della storia siano legati al mondo della musica: Il cantante di jazz del 1927 e in Italia La canzone dell’amore del 1930. L’industria cinematografica coglie da subito il potenziale economico della promozione delle canzoni su grande schermo e gli studios più importanti creano immediatamente delle proprie divisioni editoriali. Così già negli anni Trenta la Warner diventa una dei più importanti editori musicali al mondo.

Il dominio degli editori, infine, viene progressivamente eroso a favore delle case discografiche soltanto a partire dagli anni Cinquanta. Molti motivi (economici, sociali, tecnologici, senza dimenticare le leggi antitrust contro il cinema) sposteranno l’ago dell’economia musicale, e forse ne parleremo la prossima volta.

Tuttavia quel che pare evidente negli ultimi anni, ed è il motivo principale per cui ci siamo soffermati su queste vicende, è che la questione dei diritti editoriali è tornata al centro della scena. Il mercato della stampa di testi e spartiti è stato praticamente affossato dalla diffusione dei computer e di internet. Ma dopo mezzo secolo di dominio della discografia, in un’epoca in cui si vendono pochi cd, in un’epoca dominata dai settori del live e soprattutto dalle trasmissioni attraverso differenti media (radio, cinema, internet, telecomunicazioni), le edizioni si sono riappropriate di una notevole importanza.

I segni di tutto questo sono evidenti. Le case discografiche non incidono praticamente più nulla se non sono titolari anche delle edizioni. Molto spesso la vita di un brano va decisamente al di là della sua diffusione su un supporto (fisico o immateriale che sia). Uno dei mercati più fiorenti in Italia è stato ed è, ahinoi, quello delle suonerie per i cellulari. Ma pensate alle sigle televisive, alle colonne sonore. Vi siete accorti di quanto spesso ormai le commedie cinematografiche italiane siano accompagnate da canzoni scritte da artisti importanti appositamente sul tema del film? Il fatto è che un film che sbanca al botteghino può garantire a un cantautore visibilità, popolarità e diritti, a volte più di quanto possano fare le vendite asfittiche dei cd. Un tempo i cosiddetti “musicarelli” sfruttavano la fama dei cantanti per riempire le sale, inventandosi trame improbabili per legare le canzoni. Oggi pare avvenga un po’ il contrario, anche se grazie al cielo talvolta con buoni esiti artistici. 

La canzone, insomma, ha oggi una vita differente dal passato. Il suo destino, almeno quello economico, è sempre più imprevedibile e quindi sempre più legato ai diritti editoriali: il successo può nascere grazie ad uno spot televisivo e alle forme perfette di una fanciulla che sculetta, o nascondersi nelle pieghe del menù del nostro cellulare. Di certo appare sempre più spesso tristemente lontano dalle casse di uno stereo.

 


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