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Racconti dell’acQuà. Per un nuovo battesimo (seconda parte)

L’ottava edizione dello Sponz Fest ideato da Vinicio Capossela

Suoni, parole, luci, penombre e l'incedere dell'acqua a fare da sottofondo

Dal 25 al 30 agosto 2020 si è svolta l’ottava edizione dello Sponz Fest, “Sponz acQuà”, per la direzione artistica di Vinicio Capossela. Il tema era l’acqua, scelto come elemento di purificazione e rigenerazione. Il festival, in edizione limitata e itinerante, è partito dalle sorgenti del fiume Ofanto in Alta Irpinia ed è arrivato fino alla foce del fiume Sele, nel Cilento.
Per cogliere appieno l'atmosfera e il racconto di quei giorni, abbiamo diviso in due parti il report di Daniele Sidonio, di cui la prima è uscita ieri (clicca qui) e questa che segue è la parte finale.

 

Motto pandemoniale: adattarsi e andare avanti
Nella Rolling Sponzing Review, ispirata alla Rolling Thunder Review di Bob Dylan, ogni musicante dice la sua come nelle migliori abbuffate. Si parte dal buio della pancia del Leviatano, issato a metafora biblica dell’arresto domiciliare dei mesi scorsi, per cominciare la funzione a cui partecipano pochi privilegiati, che riempiono lo spazio anche per gli assenti. Tutti seduti, tutti banditi, tutti ammollati dalla rugiada del Vallone. La Rolling Sponzing Review è un concerto, inteso come consonanza di voci e spiriti. È una festa in cui tutti sono i festeggiati: i musicanti, i cantanti, gli ospiti e gli instradati. Mentre la luna si affaccia alla sinistra del palco, gli orchestrali procedono all’esaurimento del tema. La saga delle canzoni popolari e da cantina, nate attorno alle fontane, l’acqua metamorfica e profetica di San Giovanni decollato, l’acqua in cui si specchiano Salomè ed Erodiade, il botro di Tiresia, l’acqua muta, l’acqua femmina, l’acqua attraversata dai naufragati e dai poveri cristi. Acqua, acqua ovunque e neanche una goccia da bere. Il catino da cui si dissetano i morti nelle danze macabre, l’acqua a cui i morti vengono affidati nelle cerimonie pagane. L’acqua come celebrazione di gioia e dell’Uomo vivo. L’acqua di Brian Eno suonata da Asso Stefana, l’acqua come elemento mistico di Giovannangelo De Gennaro, le divinità fluviali d’oltremare di Peppe Leone. Guarramone intavola la festa per l’azzardo e la ri-conoscenza, tornando all’acqua che racconta l’uomo, il suo casino e i suoi demoni. E tutto si ricrea. E c’è da bere per tutti al lusso dell’inutile.

 

Henry David Thoreau, Walden: Andai nei boschi perché desideravo affrontare solo i fatti essenziali della vita, senza scoprire, giunto alla morte, di non aver vissuto.
A cercare l’acqua si finisce sempre al mito, che tutto profetizza. Nel giardino di villa d’Ayala che bacia le pietre di Valva, paese conchiglia dell’alta valle del fiume Sele, gli instradati diventano tutti Walden, a ri-conoscersi con le piante e con le radici. Accompagnate dalle narrazioni di Alessandra Viola, prendono vita le metamorfosi generate dall’acqua. Quella della ninfa Siringa, figlia del fiume Ladone, trasformata in canneto per sfuggire alla corte caprina del dio Pan. Quella della ninfa Dafne, figlia del fiume Peneo, trasformata in cespuglio d’alloro per fuggire l’amore di Apollo, beffato dal dardo d’oro di Cupido. Nell’acqua metamorfica l’uomo tamburo Peppe Leone indica la via con le sue odi esotiche. Di fronte a un anfiteatro naturale popolato di busti di marmo, Victor Herrero rivolge il suo sussurro a sei corde. Gli instradati si appoggiano ai lati, seduti su travi di legno, per permettere agli alberi di ascoltare e al tramonto di infilarsi ovunque. Osservano rami e statue risplendere di luce propria, una luce intensa e non comunicata. Rifugiato in un grottino, Giovannangelo De Gennaro onora alma mater con la sua viella. È il pastore che accompagna gli instradati alla fine del giardino sonoro, dove flauto e archi del Quartetto dell’Accademia Sannita suonano Mozart e musiche di corte ai piedi di un castello medievale da cui si scopre il paese. Eccolo il rito, la pro-cessione. L’acqua delle piante, uomini col cervello sottaterra, come diceva Democrito, è un elemento incoraggiante, che induce a pro-cedere, ad andare avanti aggrappati all’apice radicale, la nostra parte intelligente, capace di compiere delle scelte e risolvere la nostra crisi. È come guardarsi allo specchio. Uno specchio neoclassico. Al ritorno le imprecisioni del navigatore consentono un allungamento di strada per vie poco battute, dove la luna esile fa capolino dalla maretta e illumina le case e gli ulivi. L’aria è rosata e le civette osano l’asfalto. Gli instradati si fermano a osservare la natura maestosa, sovrastata dalle pale eoliche e dalla loro fascinosa e e ingannevole luce rossa lampeggiante.

 

La serata a Contursi è una cena di gala bagnata da una piscina sulfurea all’entrata del Parco delle Querce, spazio sequestrato alla camorra e rimesso all’uso. Ecco il ricreo. Jimmy Villotti tinge tutto di swing e riporta l’eco della scuola bolognese che ha accompagnato per anni. Un simposio delle terme da trascorrere in toga, inneggiando al vino e celebrando l’ebbrezza, che è alla base della civiltà. Ché chi non beve ha qualcosa da nascondere. Alla fine viene anche la purificazione col bagno termale, a scrollarsi di dosso stanchezza e paura. Uno sfogo collettivo al ritmo di Shout dei The Isley Brothers.

 

Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli: Questa fraternità passiva, questo patire insieme, questa rassegnata, solidale, secolare pazienza è il profondo sentimento comune dei contadini, legame non religioso, ma naturale.
La sorgente del fiume Sele bagna Caposele, centro di pellegrinaggio religioso ma anche di processione fluviale, into the wild. Gli instradati percorrono il parco sorgivo alla ricerca del dio silvano, accompagnati dalle declamazioni del gruppo La forgia, dai musici e dai versi di Giuseppe Ungaretti recitati da Donato Merola. Le fonti del folk emergono come un manifesto di quello che siamo ma che ci siamo dimenticati di essere, con i mantici, l’ancestro dei Cubba Cubba da Tricarico, la tempesta di Guarramone e la quadriglia batticulo di Tonuccio Be-Folk. Una notte da bifolchi, portatori di buoi, da passare in salopette e garzoni larghi. Una notte da contadini. 

Detto accertato: acqua passata non macina più.
Lo Sponz Fest è una riscoperta della tradizione, che è custodire il fuoco e non adorare le ceneri, come diceva Mahler. Ogni stagione ha una colonna sonora. L’ottava, estatica e purificatrice, ne ha tre: Suzanne di Leonard Cohen, canzone fluviale che nella strofa centrale celebra i cristiani, cioè gli uomini, come marinai e naufraghi, che solo al mare possono affidarsi per essere liberi; Añil di Victor Herrero, che racconta l’acqua e la pietra come strumenti spirituali; Bar Conchiglia di Peppe Leone, una cartolina da Barletta che disegna un tramonto a rovescio.

Nel confronto con il limite, mai come prima ‘sponzare’ è anche un confronto con il sé e con l’altro da sé. Ma è soprattutto uno stimolo alla frugalità, a riappropriarsi del tempo, per quanto possa essere difficile digerirne il passaggio. Come scriveva Seneca a Lucilio: «Per me non è povero del tutto colui che, per quanto poco gli resti, se lo fa bastare».

Come scrisse una volta Dylan, La nave sta arrivando: è la nave dei giusti, di chi è pronto a cambiare il mondo, o semplicemente ci pensa. La nave di quelli scelti dallo Sponz Fest. Un’idea da sposare chiudendo gli occhi.

Calitri-Tuscon-Arizona-Mississippi, una vez más. Unlimited.

 

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Crediti foto: Iozzo Panzini

Si ringrazia: Giulia Zanichelli e GDG Press

 

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