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Pupi di Surfaro

Animal Farm

Studio, tradizione, citazioni, storia: tutto questo serve per realizzare un buon album, un’opera che possa travalicare i confini del presente e porsi in uno spazio iperuranico ideale, tra passato e futuro, senza mai sostare per la banalità del contemporaneo. Animal Farm dei Pupi di Surfaro non è semplicemente un album dialettale interessante perché si trova in uno spazio underground, un disco che fa fico avere perché si è alternativi. È un tentativo di entrare nella storia della musica, e solo la storia stessa potrà decretare se diventerà un valore da recuperare, o una tipica espressione del dissenso in un’epoca. Forse si piazzerà in un locus amoenus al di là della linea temporale, in un altro sibillico simile a quello che occupa oggi la ‘scuola di Canterbury’.

Siamo troppo occupati per accorgerci della preziosità, siamo occupati a divorare tutto, come il protagonista di Hobesus: “I eat everything!”, un mantra slogan ossessivo che percuote questa canzone pesante, tra le più intriganti nel filone politico dell’album.

 

Sì perché diciamolo subito: questo disco è politico, e lo è in un modo che alcuni stolti potrebbero definire anacronistico, perché ci dobbiamo ormai arrendere al capitalismo. Invece grazie alla decrescita controllata prima o poi il capitalismo deflagrerà; ma a parte questo, scusate se c’è ancora qualcuno che desidera una società in cui la cosa più importante non sia guadagnare soldi, per poi guadagnare altri soldi, fregandosene dell’ambiente, dei più deboli, degli stolti. I Pupi di Surfaro non la pensano così; io mi unisco a loro e al loro grido dialettale.

In questo filone principale dell’album si distinguono diversi brani, ai quali si aggiungono i parlati di Calamandrei e Pasolini, non solo distruttivi e critici, ma anche costruttivi e pieni di speranza. Il brano Cara libertà, legato al discorso di Calamandrei è una splendida poesia su ciò che di prezioso possediamo e non dobbiamo dimenticare. Più immediato è il porcu che esce dalle parole di Pasolini, il quale dà anche la motivazione storica nell’uso del dialetto, una scelta antifascista che evidentemente rispecchia la scelta del gruppo, il quale in realtà non usa un dialetto puro, ma sporcato di italianismi e parlata regionale del sud, in una perfetta attualizzazione (e a ben vedere è l’unica) dell’operazione che invece il poeta aveva fatto 80 anni fa con ‘Poesie a Casarsa’. Perché invece l’argomento di un’altra canzone da segnalare in questo filone, si occupa di un argomento critico tipico e topico del ‘900: Malamerika dice già tutto nel titolo.

Da un punto di vista musicale le sonorità dialettali si mischiano in maniera perfetta al prog metal, a strutture da Tool dei primi anni, condensando tutto ciò che di ribelle esiste e sta bene insieme.

Infine non si possono non citare i Banco del Mutuo Soccorso: il singolo commovente e per niente banale, Amami in sogno, sembra una geniale riproposizione di 750.000 anni fa, l’amore?, però in una struttura innovativa, una lingua tra italiano e dialetto, in un continuo tentennamento tra la paura e il desiderio.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Pupi di Surfaro
  • Anno: 2022
  • Durata: 47:09
  • Etichetta: It-Folk /Egea Music

Elenco delle tracce

01. Noi siamo una forza del passato

02. Povera patria

03. Totalitarism

04. Parru cu tia

05. Hobesus

06. Pig the enemy!

07. Amami in sogno

08. Malamerika

09. Discorso sulla costituzione (P. Calamandrei)

10. Cara libertà

11. Quannu lu porcu...

12. Dialetto friulano (P. P. Pasolini)

13. Istintivo e profondo odio (P. P. Pasolini)

14. Amami in sogno (Intro)

15. Amami in sogno (Piano e voce)

Brani migliori

  1. Hobesus
  2. Amami in sogno
  3. Malamerika