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  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Francesco Guccini

Canzoni da intorto

A dieci anni da L'Ultima Thule e dall'annunciato ritiro dal mondo musicale, è tornato un po' a sorpresa Francesco Guccini, che la penna non ha mai smesso di usarla, anche se riservandola alla sua ottima carriera letteraria. Canzoni da intorto, sia detto chiaramente, non va a mio avviso valutato come “il nuovo disco di Guccini”, per alcuni motivi: è una raccolta di canzoni risalenti quasi tutte a periodi di gran lunga precedenti al suo esordio musicale e soprattutto è un lavoro al quale si è approcciato con intenti precisi e secondo me distanti da una stretta e fredda logica discografica. “Vendere o no non passa tra i miei rischi” cantava quasi 50 anni fa, ma sembra che nulla sia cambiato.

Canzoni da intorto pur nel clamore e nei riscontri fin qui ottimi di vendite, va infatti vissuto come racconto e tradizione, come memoria e lascito, prima che come album musicale. Guccini si siede davanti ad un immaginario caminetto e racconta alcune delle sue principali fonti di ispirazione, che nella sua carriera ha evocato più volte. Alcuni ascoltatori molto attenti e dall'orecchio fino si sono lamentati di come ha cantato, accidenti! Un signore di 80 anni, che da 10 non si esibisce in pubblico, sembra arrancare nel tenere il passo degli ottimi arrangiamenti di Fabio Ilacqua e Stefano Giungato, che hanno messo in campo fino a trenta strumenti per dare ai suoi racconti la migliore veste possibile. Guccini canta come sa e può e l'effetto, se non lo si valuta in maniera eccessivamente tecnica, è quello di un nonno che insieme ai suoi tanti nipoti, si immerge nel mondo dei ricordi, con la voce stanca sì, ma emozionata ed emozionante.

“Il vecchio parlava, e piano piangeva
Con l'anima assente, con gli occhi bagnati
Seguiva il ricordo di miti passati”

 

Da un punto di vista musicale, “Canzoni da intorto” è decisamente ricco, variegato e molto, molto curato. Lo stesso Fabio Ilaqua lo descrive come carico di influenze “che convivono in questa tessitura, dal folk alla musica popolare, dalla musica bandistica a quella balcanica e da ballo.” La parte fondamentale dell'opera la fanno però i testi, le storie, le tradizioni che riemergono e richiedono attenzione e memoria. Undici episodi da riscoprire, conoscere e tramandare, undici momenti della cultura popolare italiana che Guccini ha interiorizzato e fatto suoi nel corso della sua carriera. Tematiche sociali, canti anarchici, canzoni d'amore, personaggi eroici, di un eroismo provinciale, quello che resta vivo grazie al passaparola e non ai libri di storia. Nella sua discografia sono svariati gli esempi che rimandano a questi argomenti e Canzoni da intorto, tra le altre cose, ha il merito di svelarli con estrema onestà intellettuale.

Cantando dei Morti di Reggio Emilia, per esempio, ricordando i tragici fatti accaduti il 7 luglio 1960 in occasione dei moti popolari contro il governo di Fernando Tambroni, si fa denuncia sociale e si invita a combattere sempre, contro ogni ingiustizia, con l'esempio tra i tanti di quel Che Guevara “rivoluzionario mosso da grandi sentimenti d'amore”, a cui dedicò nel 2004 la Canzone per il Che, in onore di tutti quelli che saranno “utili da morti come da vivi”. Stesso identico approccio per Barun Litrun, la storia del barone Karl Sigmund Friedrich Wilhelm von Leutrum, protagonista della ballata. Nonostante fosse tedesco a tutti gli effetti, Leutrum fu uno dei più importanti condottieri del Regno di Sardegna: arrivato a Torino a soli quattordici anni per intraprendere la carriera militare nell’esercito sabaudo, ne aveva poi scalato la gerarchia. Le sue gesta, il suo coraggio e le strategie militari che salvarono la vita di molti cittadini gli guadagnarono la stima di tutta la popolazione, tanto che la sua storia divenne appunto una rapsodia popolare, una narrazione epica che superò la prova del tempo arrivando fino ai nostri giorni. La coerenza del barone viene poi evidenziata dal dialogo con il Re Carlo Emanuele III, in punto di morte. (Fonte piemontemese.it)

El me gatt di Ivan Della Mea (qui l'artista - toscano di nascita ma milanese d'adozione - in una foto di repertorio) racconta storie piccole e dimenticabili, a cui viene però regalato un attimo di gloria e una morale su cui riflettere, senza dare giudizi ma invitando chi ascolta a considerare i diversi punti di vista: “è la giustizia che mi fa torto, Ninetta è viva ma il gatto è morto”.  Curioso che di questo brano ne esista una versione in un dialetto più vicino a Guccini (il reggiano montanaro) proposta da Mara Redeghieri con la traduzione di Graziano Malvolti (da “Attanadara - Dio valzer” del 2016); appare evidente la volontà di Guccini di restare fedele alle versioni originali, pure in casi come questo, dove si contano traduzioni in dialetti e lingue disparate (dal napoletano al finlandese!).

Giorgio Strehler e la sua Ma mì sono omaggiati per sottolineare ancora l'attenzione verso personaggi secondari di grandi storie, come chi resiste a 40 giorni di torture piuttosto che tradire i propri compagni, anche se lo stesso Strehler ampliò il discorso dicendo che il brano parlasse dell'importanza di non fare delazioni, di resistere e sapere dire di no, definendo la canzone un canto post-partigiano; ho apprezzato molto anche in questo caso la fedeltà all'originale, in particolar modo l'aver mantenuto il politicamente scorretto “sto brutt terron!” che in precedenti cover era stato abolito (ad esempio quella degli Arpioni del 2001). La fedeltà ad un ideale, nel caso specifico la Resistenza, torna spesso nei brani di Guccini, come ad esempio in Su in collina (da L'Ultima Thule).

Tera e aqua è invece un brano sui valori contadini che da sempre hanno fatto parte della cifra stilistica, ma soprattutto umana di Guccini, non a caso da tempo ritiratosi nelle campagne di Pavana; valori contadini che rispettano la terra, la natura ed i loro tempi ed allo stesso modo forgiano una coscienza sociale che vada ben oltre agli ideali di partito; testo di Gigi Fossati e musica di Sergio Liberovici, un brano drammatico che narra la sofferenza di chi deve guadagnarsi da vivere, presente in tutto il mondo. Alcuni passaggi sembrano una versione laica del ‘Cantico delle Creature’ di San Francesco, Sempre acqua e sempre terra da piccoli come da grandi: «Signora terra, ai suoi comandi…»; poi si crepa e…buonasera; buonasera.

 

L'unica canzone (quasi) d'amore è Le nostre domande di Franco Fortini e Margot Galante Garrone, brano sognante che cela però, tra i ricordi di gioventù, la riscoperta di una interprete come Margot, voce femminista e battagliera, che interpretò tra le tante anche Tera e aqua di cui sopra, musicata da suo marito Sergio Liberovici. Un brano dove il rapporto sentimentale sembra avvolto da quella malinconia dolce amara che Guccini in Incontro definì “stoviglie color nostalgia” e così spesso ritorna nei brani più o meno romantici della sua discografia.

Il solo brano in inglese è il traditional Green Sleeves, canzone tramandata sin dal XVI secolo, forse per una donna amata, forse per un tradimento, che Guccini interpreta in memoria dei primi approcci con i pezzi stranieri, prima che il rock'n'roll lo trovasse protagonista e prima di rendersi conto, come racconta nell'album concerto con i Nomadi che “gli americani ci fregano, con la lingua”. Piccola nota personale, nella mia storia di appassionato di musica dal vivo, una ‘medaglia’ la riservo a quella volta, nel 1988, in cui Guccini chiuse, prima de La Locomotiva sia chiaro, un concerto con Johnny B Goode, perché a suo dire “dai concerti bisogna uscire sudati” (era febbraio dannazione!).

Ma a voler ben guardare, il tema più ricorrente in Canzoni da Intorto è l'Anarchia, presentata come afflato di libertà, non di fare ciò che si vuole, ma ciò che è giusto, senza inutili ed opprimenti obblighi legislativi. L'anarchia torna spesso nei brani più famosi, dalla già citata La Locomotiva, ambientata nell'epoca in cui la sua fiaccola illuminava l'aria, a Canzone di Notte n.2 (da “Via Paolo Fabbri 43”), dove lui si schiera tra i suoi seguaci, quelli che “sono sempre bastonati”, perché sono “gente che finisce male, galera od ospedale”. A metà disco troviamo quella che Guccini stesso ha definito “la nonna della Locomotiva”, ossia l'inno Nel fosco fin del secolo (Inno alla rivolta). La canzone, scritta dall'avvocato cremasco anarchico Luigi Molinari, ha una storia particolare. È infatti conosciuta anche come Inno del Molinari, cantata nel corso dei moti della Lunigiana del gennaio 1894, di cui il Molinari viene accusato di essere il principale promotore. Molinari era persona stimata e con un grande seguito. Nel dicembre 1893 aveva tenuto alcune conferenze a Carrara e nelle zone limitrofe, che furono il preludio dei moti insurrezionali in Lunigiana, per i quali venne arrestato il 16 gennaio 1894 come il maggiore ispiratore della rivolta. Processato il 31 gennaio davanti al tribunale militare di Massa, fu condannato a ventitré anni di carcere, che furono ridotti nel nuovo processo del 19 aprile a sette anni e mezzo. La poesia di Molinari ‘Dies Irae’, pubblicata nel 1893, scandita dai manifestanti durante i moti in Lunigiana, e per questo prodotta dall’accusa al processo, verrà in seguito cantata a cappella e quindi, nel 1904, musicata da un anonimo e chiamata Inno alla rivolta. (Da Cremonasera.it)

Altra storia che Guccini ci invita a conoscere è quella di Pietro Gori, figura carismatica del movimento anarchico di fine Ottocento, che decise - nel luglio del 1894 - di rifugiarsi a Lugano perché accusato, fra l’altro, dalla stampa borghese, di essere l’ispiratore dell’assassinio del Presidente francese Sadi Carnot. La scelta di rifugiarsi a Lugano non fu casuale; oltre alla vicinanza con l’Italia che permise a Gori e ai suoi compagni di continuare a mantenere intensi contatti organizzativi con il loro Paese, pesò il fatto che in questa cittadina, che a fine Ottocento contava circa cinquemila abitanti, fosse già radicata una piccola comunità di anarchici italiani; ma come lo stesso Guccini cantò anni dopo nella già citata Canzone di notte n.2, “gli anarchici sono gente che finisce male” e Gori venne arrestato ed espulso in seguito alle pesanti pressioni del governo italiano; durante la prigionia precedente all'espulsione, scrisse due testi, fra cui Il canto degli anarchici espulsi, che diventerà Addio Lugano bella. La poesia viene dapprima tramandata oralmente, per diventare poi, sull’aria di un canto popolare toscano, una canzone che nel 1899 viene trascritta nel ‘Canzoniere ribelle’, diventando patrimonio dell’intero movimento operaio italiano. (Da Sconfinamenti.info).

 

A chiudere questo viaggio nella tradizione e nei cassetti segreti della sua memoria, Guccini ritorna sui temi della Resistenza, dopo averci regalato un altro affresco sull'amore, più carnale che platonico. Quella cosa in Lombardia venne scritta da Franco Fortini e portata al successo da Enzo Jannacci; Fortini è un personaggio assolutamente da conoscere o comunque da riscoprire, intellettuale di altissimo profilo, decise negli anni 60 di andare controcorrente rispetto alla musica del Festival di Sanremo, ai vari Claudio Villa, Orietta Berti, Nilla Pizzi ecc. e lo fece scrivendo un testo del tutto disimpegnato (proprio lui che era il simbolo dell'intellettuale impegnatissimo) in cui il protagonista vuole fare "quella cosa" in Lombardia con la sua lei e non ci gira troppo intorno; siamo lontanissimi dai fiori, i soli, e i cuori pieni di retorica dell'altra canzone. Siamo vicini invece a certi scenari da “poveri ma belli” che Guccini raccontò ad esempio in Eskimo (“Forse ci consolava far l'amore, ma precari in quel senso si era già, un buco da un amico, un letto a ore, su cui passava tutta la città”).
Fortini infatti parla così:
Caro, dove si andrà, diciamo così, a fare all’amore?
Dico proprio quella cosa che sai,
e che a te piace, credo, quanto a me!
Vanno a coppie, i nostri simili, quest’oggi
per le scale, nell’odore di penosi alberghi a ore…
anche ciò si chiama “amore”

Come ultimo episodio delle sue Canzoni da Intorto, Guccini sceglie Sei minuti all'alba, scritta da Dario Fo ed Enzo Jannacci, dedicata al padre di quest'ultimo e da lui spesso presentata dicendo con le parole "Vorrei dedicare questa canzone a mio padre, è importante ricordare visto che oggi c'è chi oggi confonde la Repubblica di Salò con la Repubblica di San Marino". Fo e Jannacci non ci sono più e tra San Marino e Salò si fa sempre più confusione, quindi sia benedetta questa versione di Guccini, che torna a raccontare la storia di un condannato a morte che attende l'alba del suo ultimo giorno. Resistenza e valori familiari si intrecciano, perchè il padre di Jannacci visse in prima persona i tempi in cui la canzone è ambientata; non è forse un intreccio, quello tra valori familiari e ideali politici, che ha permeato tutti gli album di Guccini, dalla storia di Amerigo l'emigrante, alle Radici a quell'indirizzo bolognese così famoso come pochi altri nella storia della musica? Giusto quindi che la conclusione sia questa, un insegnamento profondo, la convinzione che neppure la morte possa davvero uccidere chi fino in fondo, a testa alta, è coerente con gli ideali più alti dell’umanità. Certo, mancano sei minuti all’ultima alba e guarda com'è già chiaro, ma io ho combattuto per i miei valori! Anche se l’8 settembre mi hanno chiamato disertore, ero a lottare per l’Italia quando mi hanno preso. Tocca farsi forza, dai. A che serve vivere, se non impari a essere uomo? Chiamano, è l’ora: su, andiamo, ci vuole un bel finale. In questa vita, ma a volte anche in questa morte, c’è una faccenda fondamentale, canta Jannacci, che dobbiamo ricordarci. “Allunga il passo. Perché… Come perché? Perché ci vuole dignità!” (Da L'Avvenire).
In contesti e periodi diversi, il condannato a morte ha alcuni tratti in comune con chi nella sua utopistica ingenuità venne raccolto “che ancora respirava” perché pensava di combattere le ingiustizie guidando un treno o in tutti quelli che ancora, nonostante tutto credono “a un mondo nuovo e ad una speranza appena nata”.

Non è dato di sapere se “Canzoni da Intorto" metterà davvero la parola fine alla discografia gucciniana, ma di certo aspira ad esserne pietra angolare, manuale di istruzioni e, speriamo il più tardi possibile, testamento. Tralasciando un attimo le capacità canore attuali, andrebbe speso del tempo ad approfondire, conoscere, divulgare la sua musica. La musica, intesa come Guccini ha sempre fatto, non può non avere queste responsabilità, soprattutto oggi dove un patrimonio gigantesco rischia di scomparire, per assurdo, in un'epoca in cui sarebbe decisamente più facile recuperare ed archiviare per poter trasmettere.

Fosse anche l'ultimo, il regalo di Guccini non è una conclusione, ma uno spunto per un nuovo inizio, di ricerca e condivisione. Fosse solo per questo, ce ne sarebbe abbastanza per essergli grati, anche perché, ricordiamolo bene, di tutta la sua razza, “per quanto grande sia” lui è “il primo che ha studiato”.

(Un ringraziamento speciale a Diego Bucconi per le informazioni fornite).

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Fabio Ilacqua e Stefano Giungato
  • Anno: 2022
  • Durata: 39:35
  • Etichetta: BMG

Elenco delle tracce

01. Morti di Reggio Emilia
02. El me gatt
03. Barun litrun
04. Ma mì
05. Tera e aqua
06. Le nostre domande
07. Nel fosco fin dal secolo
08. Green Sleeves
09. Quella cosa in Lombardia
10. Addio a Lugano
11. Sei minuti all’alba

Brani migliori

  1. Morti di Reggio Emilia
  2. Ma mì
  3. Addio a Lugano