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Amor Fou

Cento giorni da oggi

Avrebbero potuto rifugiarsi in paradisi parnassiani, in un rassicurante cantautorato colto che li consacrasse senza scossoni, giunti al terzo album; invece gli Amor Fou ci prendono elegantemente a cazzotti, descrivendo le parabole di due rivoluzioni. 

La prima è nel microcosmo del gruppo: essa rimescola e scombina ogni traccia predefinita nei due album precedenti e propone sonorità che succhiano la linfa degli anni ’80 migliori (non quelli frivoli della vulgata commerciale, ma quelli seminali e sperimentali, tra elettronica, synth-pop e new-wave) e di progetti esteri contemporanei di fascinosa levità sintetica (ad esempio il talentoso M83, tra shoegazing e indietronica) o dal morbido e pensoso appeal indie-pop (Beach House o The Pains of Being Pure at Heart; si ascolti in questo caso per esempio Vero, su tesi bivi esistenziali, tra università private e mete estere à la page).

La seconda rivoluzione è quella possibile nel macrocosmo: dopo aver scattato istantanee di arpeggi e synths di un quarantennio di ideali e violenza ne La stagione del cannibale ed aver contratto le vistose contraddizioni dei presenti Moralisti in un neo-cantautorato eclettico, gli Amor Fou estraggono i germi del futuro dalle insoddisfazioni di un oggi disincantato e dai colori acidi di un tempo in bilico tra morti bianche e disperata vitalità, squallore politico e insofferenze che ribolliscono e si propagano lungo il filo del web, per esportare non guerre umanitarie, ma attitudini non rassegnate. 

Una sottile, ma sferzante vena ironica attraversa il reale, per tracciare discrimini sotterranei tra vuoti e pieni, con rituali, talent-show, mode fatue e nuovi idoli pseudo-culturali da un lato e lo scorrere di una vitalità impura dall’altro, forza eslege pronta ancora a creare domani differenti. Eppure, se il sesso può essere «un gesto di cui spesso ci pentiamo» (I volantini di Scientology), allora la libertà di essere felici va cercata in un momento altro rispetto a quello in cui «quando ci spoglia, qualcuno ci chiama» (Una vita violenta).

L’ironia in fondo caratterizza anche l’approccio da parte della band ai media 2.0 o all’arte digitale, al centro del progetto creativo in atto con il collettivo di Sterven Jonger: quella degli Amor Fou è un’adesione intelligente, perché critica, come appare nella satira di costume all’anglofilia del web, alle «code dei nuovi I-phone», alle diete via Photoshop (I volantini di Scientology) o in un ambiguo cenno alle Polaroid.  

Permane l’allure intellettuale nella frequenza di referenti letterari e cinematografici, da Pasolini a Truffaut e Wolfgan Becker, ma essi restano sullo sfondo, come repertori e manuali di sguardi sul mondo, di schiettezze esibite nella loro nuda realtà, senza sentimentalismi retorici, o suggestioni di spessore; non pregiudicano l’autonomia artistica dei testi di Raina, che si fanno qui più scabri e ruvidi rispetto al passato.

Ad immagini levigate di grande evidenza, coloriture poetiche e riflessioni esistenziali, dense come aforismi, si associa infatti un realismo che si avvicina al quotidiano vissuto e “disturba” ogni acquiescenza con parole semplici e talvolta crude, o ancora «parole molto cattive / che non credono al mercato / né alle sue torbidissime sorelle» (Una vita violenta), orchestrate in un contesto musicale e verbale che si mantiene sempre di gran classe.

Il ritmo, spesso ballabile, descrive il movimento verso il futuro, colorandolo di synths ora dalle sonorità cinematografiche (quasi à la Moroder in Goodbye Lenin), ora ariosi e al contempo lievemente sinistri, ora chirurgicamente eleganti o fonte di un peculiare retrogusto sospeso e malinconico, e segue groove impetuosi di bassi e chitarre post-punk: si ascolti in questo senso l’ottima I 400 colpi, che, con un lirismo «semplicissimo», eppure sinestetico, omaggia un viversi che aspira a trovare appagamento solo in se stesso, nella perfezione in cui «violiamo i nostri corpi vergini».

D’altronde i Joy Division sono dietro l’angolo anche nella ritmica de La primavera araba, che ospita Davide Autelitano dei Ministri; su ritmiche afro si stagliano invece chitarre lancinanti e suoni distorti nel superbo arrangiamento de Le guerre umanitarie. Metrica e sonorità di Padre davvero riportano al Battisti più sintetico, mentre una batteria hardcore punk scandisce la breve Radiante (con Alessandro Baronciani degli Altro). Electro-rock risuona Una vita violenta; la lisergica, conclusiva Tigri possiede infine un sapore british, tra psichedelia e pop.

Al di là comunque del loro background, gli Amor Fou anche in queste nuove vesti sonore esibiscono un fascino musicale carico dell’amarezza della profondità e melodie agrodolci, che risultano sempre più riconoscibili, al pari dello stile vocale di Raina. A tratti spiazzante, questo è probabilmente finora il più completo e originale album della band. E uno specchio abbagliante e spietato dei nostri tempi, talora persino ustorio. 

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica:  Leziero Rescigno e Alessandro Raina  
  • Anno: 2012
  • Durata: 50:35
  • Etichetta: Universal Music

Elenco delle tracce

01.Gli zombie nel video di Thriller

02.Alì

03.Goodbye Lenin

04.Vero

05.Una vita violenta

06.I 400 colpi

07.La primavera araba

08.Padre davvero

09.Le guerre umanitarie

10.I volantini di Scientology

11.Forse Italia

12.Radiante

13.Tigri (The Song)

 

 

Brani migliori

  1. I 400 colpi
  2. Le guerre umanitarie
  3. Vero

Musicisti

Alessandro Raina: voce, chitarre, testi, musica Leziero Rescigno: batteria, percussioni, sintetizzatori, programmmiing, musica di 01, 03, 05, 06, 08 e 09 Giuliano Dottori: chitarre, basso, tastiere, cori, musica di 08 e 09 Paolo Perego: basso, cori Alessandro Baronciani: voce in 12 Davide Autelitano: voce in 07 AntiteQ: programming in 11 Martino Allegretti, Guendalina Magnoni, Claudia Mondani, Vittoria Saldutti e Mariaelena Spagnoli (Coro dei Bambini della Scuola di Musica Cluster): coro in 01 e 11