Partono le note di Intro e le sensazioni sono subito ottime: una band “ruspante”, grintosa, che ripercorre le strade del “southern rock” con piglio deciso, chitarre ruvide e ritmica serrata; bene, bene, gli States sanno valorizzare le loro tradizioni... Ops... qui si nasconde la sorpresa che fa di questo disco, Cheap Tequila, un lavoro che dovrebbe avere una diffusione ed un successo pari alle gocce di sudore profuse nel realizzarlo: i quattro “cavalieri” che galoppano lungo le polverose strade del rock sono italianissimi, romagnoli, per la precisione, sono al loro terzo album, ed a questo punto, giustamente, “sgomitano” per avere una visibilità che, canzoni alla mano, sarebbe nulla più che il giusto premio per l’impegno dimostrato.
Certo, partire dall’Italia per conquistarsi un posto al sole in un panorama musicale che non sia quello del pop leggero e “da classifica” non è operazione facile, per mille motivi: tradizione, pregiudizi, dubbi sul fatto che un Paese storicamente considerato melodico possa proporre alcunché di differente; eppure qualcosa si muove, ed anche gli Small Jackets provano a cavalcare l’onda giusta, quella che può proiettarli definitivamente verso la popolarità presso un pubblico più vasto.
La cover dei Grand Funk Railroad, Are you ready, non è altro che la ciliegina posta su di una succulenta torta, dodici tracce tirate, tra cui un paio di ballad che fanno “tirare il fiato”, suonate con un occhio, anzi, un orecchio ai suoni seventies, ma che non risultano per nulla datate o vecchie; ed il fatto che siano o meno di moda è davvero l’ultimo dei problemi, perchè il rock stradaiolo non ha ne età ne collocazione geografica: necessita solo di una presa di corrente a cui attaccare gli ampli, un paio di chitarre, basso, batteria, una voce graffiante, un Hammond che fa capolino qua e là e, possibilmente, le occasioni giuste perchè il pubblico possa godere di questa miscela esplosiva. Il botto in questo caso, credeteci, è davvero assicurato.

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