Cold: prima prova sulla lunga distanza per i Be Forest, gruppo marchigiano che aveva già impressionato con il primo demo, un annetto fa. Chitarre in perenne riverbero, batteria metallica in perfetto stile anni Ottanta, una voce femminile tanto algida quanto fascinosa; una ricetta musicale che richiama le band migliori della new wave e del dark, Cocteau Twins e Siouxsie su tutti. Senza dimenticare i Cure, presenti praticamente in ogni brano dei Be Forest con un giro di basso, un riff, una sonorità di chiara discendenza robertsmithiana.

E allora? Ci fermiamo qua? Derivativi, punto e stop? Io direi di no. Pure in modo piuttosto deciso. Non soltanto per il discorso che la musica di oggi è quasi sempre una rielaborazione di qualcosa che è già stato fatto, e amenità del genere. Diciamo che mi sento di insistere perché ho ascoltato circa una ventina di volte il disco in pochi giorni, ipnotizzato dal suo mondo etereo e rapito dai suoi suoni vorticosi. Ancor più conquistato dalle sue canzoni, come Wild Brain, Dust o Your Specters, scritte e suonate come se il 31 dicembre 1979 non avesse mai avuto un domani; o ancora Florence e Blind Boy, piccole perle di melodia e sogno che se stessero in un disco inglese avremmo già gridato al miracolo e al ritorno della wave.

Ma noi italiani siamo umili, non abbiamo mai chiesto di cambiare la storia del rock mondiale. Siamo solo alla ricerca, continua e spasmodica, di gruppi nostrani validi e (soprattutto) veri su cui mettere la nostra etichetta di qualità. I Be Forest da Pesaro sono di sicuro uno di questi, e se è pur vero che non suoneranno mai in uno stadio pieno (quantomeno in Italia), Cold marca quantomeno un piccolo ma deciso segno nella produzione alternative italiana di questi ultimi anni.

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