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Diodato

Cosa siamo diventati

Questo 2017 ha portato nel suo principio alle nostre orecchie molte interessanti uscite discografiche, ed altre arriveranno nei prossimi mesi. Dal cantautorato ironico e profondo di Brunori sas (A casa tutto bene, Picicca) ai moderni chansonniers dei Baustelle, con il loro L’amore e la violenza. Tra i nuovi ritorni uno dei migliori, per intensità, suoni e poetica è certamente Cosa siamo diventati, terzo album di Diodato. Terzo disco dell’artista tarantino adottato romano, che dal 2014 è passato dal palco di Sanremo (con il brano Babilonia) alla reinterpretazione dei grandi classici della nostra musica con l’album A ritrovar bellezza, alla collaborazione con Daniele Silvestri (due brani nel disco del 2016 Acrobati, con la partecipazione al tour omonimo), solo per citare tre momenti importanti della sua storia musicale. Tre momenti che sembrano, non casualmente, riassumere esattamente quello che la musica di Diodato si porta dentro: il pop più immediato e cantabile, l’intensità e le atmosfere delle canzoni eterne della musica italiana (semplicemente perfetta la sua versione romantico-drammatica di Amore che vieni, amore che vai di Fabrizio De André) e il nuovo cantautorato stile Fabi-Silvestri. 

Diodato, dandone già ampi cenni nell’album di esordio E forse sono pazzo, sembra avere naturale la capacità di scrivere brani che per potenza, di suono ed interpretazione, intensità, ampiezza e melodia riportano alla memoria le atmosfere delle canzoni anni 60, quelle di Endrigo su tutti, se dovessimo fare un solo nome. Un romanticismo malinconico, intimo e confidenziale, elegante e raffinato. Dell’epoca in cui le canzoni erano scritte per durare e passare il tempo (e hai voglia se lo hanno fatto!), quando le parole contavano, una per una, e ad arrangiarle c’era gente come Luis Bacalov, Diodato si porta limpida dentro l’aria che girava attorno, aggiungendo ai brani una naturale ma non affatto scontata contemporaneità dei suoni, che non fa altro che renderli strettamente legati all’oggi ma un gradino sopra (forse anche due) «la musica che gira intorno».

Questo Cosa siamo diventati (per la Carosello Records) nei suoi dodici brani, porta al punto estremo l’amalgama dei due elementi fondanti del suo stile: pienezza e potenza del suono e una scrittura che abbraccia senza troppi sforzi il nuovo cantautorato e l’immediatezza, caratteristica fondante della canzone popolare. Apre il disco il brano Uomo fragile e lo chiude La luce di questa stanza e crediamo la scelta di entrambi non sia stata affatto casuale. Il primo brano urla, più a se stesso che a un tu immaginario, la domanda «da dove viene tutto questo bisogno d’amore che hai?» con andamento melodico e accomodante nelle strofe quanto più arrabbiato nel ritornello; l’ultimo, dove Diodato abbandona il cantato forte e potente dell’intero disco per sussurrarlo quasi quell’amore lontano, per distanza di sentimenti e non solo chilometrica, e chiudere con un «dimmi che in fondo va bene così», risposta conclusiva e definitiva alla domanda esistenziale di apertura. In questo viaggio musicale, quasi ad essere un diario di quotidiani sentimenti ed emozioni, una sequenza di catarsi e perdita, trovano spazio senza stonare elementi molto diversi; dall’atmosfera scura, buia, malata del brano Paralisi al rock puro di La verità, alla perfetta canzone da cantare a voce piena Di questa felicità; al brano dove brilla più che in altri il cantautore per scrittura, nel suo raccontare la comune sensazione del non sentirsi mai nella vita abbastanza, per un amore, per gli occhi dei genitori, per se stessi, con le passioni abbandonate e barattate per un lavoro decoroso, sensazione alla quale però si contrappone forte la innata capacità di tutti di muoversi in un’altra direzione, opposta, quando sentiamo che è arrivato il nostro momento. Tutto questo fa di Per la prima volta uno dei migliori brani dell’album.

È un disco fisico questo di Diodato, e sia ringraziato il cielo per questo. In un momento musicale dove negli album dei nostri artisti pare essere scomparso quasi del tutto quello che riguarda il corpo, la sensualità, l’amore che non sia solo puro sentimento, la passione, Diodato riempie il disco di parole che il corpo lo raccontano, lo gridano a volte, lo accarezzano in altre. Il tradimento, il sesso, la rabbia da sputarsi fuori, il sentimento che muore perché si smette di accarezzarsi, i silenzi che riempiono e il nome dell’altro che quasi non si ricorda più, e allora è lì che finisce tutto. Cosa siamo diventati e Mi si scioglie la bocca dimostrano che dell’amore e della sua fine si può ancora parlare, e non si è ancora detto tutto.

Hanno davvero il sapore delle cose che restano queste canzoni, di qualcosa che aveva sicuramente l’urgenza di uscire, trasformando vita vissuta in testo e note ma che dopo quella fretta sono state masticate, rimodellate, con estrema cura. Una cura che appare quasi rivoluzionaria nel mondo della canzone di oggi. La sensazione netta è che nei dodici brani non ci sia un brano a far da riempitivo, qualcosa che abbassi il livello qualitativo del tutto, nulla che faccia storcere il naso; l’artista avrebbe potuto metterlo in scaletta per “far numero”, non si sarebbe notato poi molto. La scelta di non seguire la logica della discografia odierna, che sembra accontentarsi di 4-5 buoni brani ad album, mette la cara e vecchia ciliegina sulla torta a questo disco.  

In tutta questa bellezza, perché di bellezza si tratta quando la musica arriva così sincera, c’è la voce con cui questi i brani sono eseguiti, alla quale non abbiamo volutamente fatto cenno fino ad adesso. Diodato ha una voce fuori dal comune, che sa essere limpida, intensa come poche altre della nostra musica, che accarezza e riempie, e che probabilmente ancora non ha tentato tutte le possibili strade che ha dentro, e davanti. Una voce che se sul disco sfiora la perfezione, acquista ancora maggiore energia e colore dal vivo, quando si sporca su di un palco. Lo scorso 8 febbraio ne abbiamo potuto godere al Monk (live club romano) mentre giocava con le migliori chitarre mancine del momento, quelle di Daniele Fiaschi, con alla sua sinistra e alle spalle gli ottimi musicisti Dulio Galioto, Alessandro Pizzonia e Danilo Bigioni che, assieme alla miglior produzione artistica possibile, quella di Daniele “ilmafio” Tortora, sono anche i compagni di viaggio presenti in questo disco.

Diodato ha davanti una strada che lo può portare con le stesse probabilità a riempire i palazzetti e a vincere la Targa Tenco. Gli auguriamo solo quello che merita, che accadano cioè presto entrambe le cose. 

 

(Foto di Ilaria Magliochetti)

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Daniele “ilmafio” Tortora 
  • Anno: 2017
  • Etichetta: Carosello Records

Elenco delle tracce

01.   Uomo fragile

02.   Colpevoli

03.   Paralisi

04.   Fiori immaginari

05.   Guai

06.   Cosa siamo diventati

07.   Mi si scioglie la bocca

08.   La verità

09.   Un po’ più facile

10.   Di questa felicità

11.   Per la prima volta

12.   La luce di questa stanza 

Brani migliori

  1. Cosa siamo diventati
  2. Paralisi
  3. Per la prima volta

Musicisti

Daniele Fiaschi: chitarre  -  Duilio Galioto: piano, organi, synth -  Alessandro Pizzonia: batteria  -  Danilo Bigioni: basso  -  Fabio Rondanini: batteria  -  Gnu Quartet: archi, flauti