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Using Bridge

Floating pieces

La loro vicenda artistica parte da lontano, e non solamente dal punto di vista anagrafico, avendo iniziato a suonare insieme nel lontano 2002, ma soprattutto per quanto riguarda l’aspetto dell’approccio musicale: all’inizio fu una interessante commistione fra progressive anni ’70 e grunge anni ’90, con riferimenti che potevano andare dai Blue Cheer agli Steamhammer, passando attraverso Pink Fairies, Groundhogs, Atomic Rooster o Leaf Hounds. Poi, se si eccettua una parentesi in cui si sono dedicati alla realizzazione di un lavoro unplugged, il live acustico A Night in Acousticland del 2012, in cui erano inseriti brani propri e cover, il suono si è via via sempre più inspessito ed incupito.

Questo è, in estrema sintesi, il percorso che ha condotto gli Using Bridge verso la realizzazione del loro ultimo lavoro Floating pieces che li vede protagonisti non solo dal punto di vista esecutivo ma anche in veste di arrangiatori ed in parte anche di produttori; una scelta per certi versi rischiosa, soprattutto perché spesso un orecchio “esterno” è in grado di cogliere dettagli, ed offrire suggerimenti, con il vantaggio di non essere emotivamente coinvolto ma, nel caso specifico, estremamente consapevole. Ed i risultati di questo lungo percorso ci sono, e sono sicuramente di un certo spessore: sin dalle prime note di Amigdala, il brano che apre l’album, ciò che appare subito chiara è l’impostazione esecutiva, all’interno della quale le due chitarre sono, senza ombra di dubbio, la spina dorsale delle nove tracce contenute nell’album.

Nonostante la durezza dei suoni, fa piacere constatare la scelta di arrangiamenti, ma soprattutto di timbri estremamente definiti, questa sì in decisa controtendenza rispetto al grunge nella sua forma primigenia, scelta che unita ad una sezione ritmica potente ma molto “pulita” permette ai brani di avere una dinamica ed uno sviluppo articolato, coinvolgente, mantenendo sempre del tutto intelligibili i dettagli degli arrangiamenti. Semplificando si potrebbe affermare, in estrema sintesi, “più Pearl Jam e meno Nirvana” anche se il cantato, a tratti davvero da pelle d’oca, più volte parrebbe sostenere esattamente il contrario. Ma ciò va detto senza affatto banalizzare scelte stilistiche che paiono, invece, davvero pesate e meditate; quello che appare chiaro è che di strada rispetto agli inizi ne è stata fatta parecchia ed è stata una strada percorsa in modo consapevole e senza azzardi o tentativi, per così dire, “buttati lì”. La scelta di allontanarsi dal rock più “leggero”, se così lo si poteva definire, è stata perseguita per approdare ad un post-grunge in cui l’inserimento di strumenti quali violino, rain stick o didgeridoo, non pare né azzardato né fuori contesto ma solo una iniziale sperimentazione verso un futuro che potrebbe riservare altre sorprese, ma che soprattutto ben difficilmente si fermerà sulle posizioni attuali.

L’approccio “prog”, non tanto nel senso tecnico del termine, quanto invece dal punto di vista dello sviluppo del discorso musicale, c’è, ed è ancora molto forte: in questo senso Floating pieces, decisamente in sintonia con il significato stesso del titolo, è un album “liquido”, di passaggio, un lavoro che chiude virtualmente una parte della strada sin qui imboccata e spiana letteralmente il terreno verso nuove ed ulteriori evoluzioni.


 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Using Bridge, Alessandro Bernabei, Stefano Pinzi
  • Anno: 2018
  • Durata: 40:16
  • Etichetta: Autoprodotto

Elenco delle tracce

01. Amigdala
02. Velvet sky
03. Floatin’ bridge
04. Werewolwes
05. Anymore
06. Can remember
07. Leave your skin
08.Run to you
09. God knows

 

 

Brani migliori

  1. Amigdala
  2. Floatin’ bridge
  3. God knows

Musicisti

Manuel Ottaviani: lead vocals, bass, piano, didgeridoo, rain stick  -  Federico Arcangeli: guitar, back vocals  -  Simone Antonelli: guitar, back vocals  -  Alessandro Bernabei: drums, piano  -  Elisa Semprini: violino