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Not a Good Sign

From a distance

Che Steven Wilson, con o senza i suoi Porcupine Tree, stia iniziando a fare davvero scuola, non può che fare piacere, molto piacere, soprattutto se questo succede in Italia, perché questo fatto è sinonimo di qualità musicale, arrangiamenti raffinati, produzioni e suoni curatissimi. Ne consegue che, aggiungendo a tutto ciò le doti dei singoli musicisti e la loro capacità di interpretare i brani in modo tutt’altro che epidermico e “formale”, l’esito non possa che essere ciò che si ascolta in From a distance, l’ultimo e, ci sia permesso, sontuoso album dei Not a Good Sign.

Tralasciamo tutte le questioni riguardanti il prog, il suo (ennesimo) ritorno, la sua ritrovata popolarità, perché alla fin fine sono speculazioni che lasciano il tempo che trovano: quello che è oggettivamente visibile ed udibile a tutti è il fatto che in Italia ci sono fior di musicisti che, ad un certo punto, decidono di suonare ciò che realmente si trova nelle loro corde (e tasti, pelli, bacchette)), di tessere quelle trame, magari complesse, magari non di immediata comprensione, che riusciranno comunque ad affascinare i loro ascoltatori. Musica “snob”? Forse. Musica per pochi eletti, per cultori, per “tecnici”? Possibile. Del resto avere doti compositive ed esecutive, amare la ricerca sonora, gli schemi musicali complessi, essere in grado di proporre brani ariosi, strutturati, che trasmettano sensazioni un po’ più che epidermiche non è certamente una colpa. L’arte si propone per ciò che è e sono i suoi fruitori, occasionali o sistematici che siano, a doversi impegnare per capirla: chi vorrà farlo, riceverà stimoli e proverà emozioni diverse, più intense e durature, mentre gli altri si limiteranno a passare oltre, perdendosi certamente qualcosa, ma rimanendone inconsapevoli…in fondo è una questione di scelte.

I Not a Good Sign rientrano a pieno titolo nella definizione che Renato Scuffietti, musicologo e speaker di Radio Popolare, ha dato di questo genere: “rock colto e progressivo”. Colto, perché esprime cultura ma la richiede anche, per poter essere compreso; progressivo perché, letteralmente,  sempre e costantemente “in progress”, stimolato nella ricerca, nell’innovazione, nel proporre nuove soluzioni sonore, ritmiche, interpolazioni di genere, con la sola preoccupazione che questi esiti si incastrino bene fra loro, a prescindere dalla loro origine, e senza preoccupazioni “di genere”.
Troppa complessità? Troppa carne al fuoco? No, soprattutto se la struttura dell’album si snoda lungo dieci tracce, tutto sommato brevi rispetto ai lavori simili di venti, trenta anni fa ed oltre, tracce che possono essere assimilate senza grossi problemi perché richiedono un’attenzione intensa ma limitata nel tempo. Essere “prog”, forse, vuol dire anche venire incontro ad un uditorio differente da quello “storico”, senza perdere un grammo di qualità e scoprendo in se stessi doti di sintesi magari insospettabili: in fondo se si riesce a condensare in cinque, sei minuti ciò che anni fa avrebbe forse richiesto un tempo doppio, ciò significa che le capacità espresse sono di alto livello.

La musica in Italia esprime artisti molto più dotati di quanto non sia comunemente pubblicizzato: sarebbe bello, e magari sarebbe anche ora, che anche il pubblico si sintonizzasse su queste frequenze, lasciando la musica banale e superficiale (ancorchè legittima, ci mancherebbe) ai lounge bar, o comunque ad un ascolto occasionale.
L’asticella si alzerebbe, certo, ma proprio per questo la soddisfazione reciproca sarebbe indubbiamente maggiore.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Marcello Marinone, Andrea Rizzardo, Gabriele Simoni, Paolo Botta, Francesco Zago, Antonio Nappo, Jacopo Costa, Enea Bardi, Udi Koomran  
  • Anno: 2015
  • Durata: 51:31
  • Etichetta: AltRock Productions

Elenco delle tracce

01. Wait for me
02. Going down
03. Flying over cities
04. Not now
05. Aru hi no yoru deshita
06. Pleasure of drowning
07. I feel like snowing
08. Open window
09. The diary I never wrote
10. Farewell

Brani migliori

  1. Wait for me
  2. Flying over the cities
  3. The diary I never wrote

Musicisti

Paolo “Ske” Botta: keyboards  -  Alessio Calandriello: vocals  -  Alessandro Cassani: electric bass, double bass, vocals  -  Martino Malacrida: drums  -  Francesco Zago: 12 string guitar, electric guitar  -  Jacopo Costa: vibraphone, glockenspiel  -  Eleonora Grampa: oboe, english horn  -   Maurizio Fasoli: grand piano  -  Gian Marco Trevisan: electric guitar  -  Margherita Botta: heart