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Il Disordine delle Cose

Il Disordine delle Cose

Cos’è il disordine delle cose? Non è caos scomposto. È il pezzo mancante di una costruzione morettianamente incompleta, un dettaglio fuori posto che rivela un’indifferenza che uccide. È la consapevolezza amara dell’errore, la scoperta della falla incomprensibile che ha distrutto un microcosmo intimo. È il disagio sepolto sotto il nome di «utopia», oppure dietro l’ostentazione patetica della sicurezza di un presidente «semplicemente perfetto», o ancora dentro l’infezione dell’anima. Questi sono i contorni dei paesaggi emozionali tracciati nel disco d’esordio di questo quintetto novarese, prodotto da Gigi Giancursi e Cristiano Lo Mele dei Perturbazione, con cui la band condivide quel senso della misura che permette ai suoni di restare in bilico tra cantautorato di tradizione e indie-pop raffinato, ariete contro la banalità, e lascia le emozioni in equilibrio perfetto tra quiete e punto di implosione/esplosione, quasi in una nuova stasi nel turbamento.

Però se l’attitudine di fondo non è dissimile rispetto al gruppo torinese, il Disordine delle Cose, in questo album inciso per Tamburi Usati, etichetta-anagramma dei Marta sui Tubi, comunque esplora musicalmente territori diversi e variegati. Così il viaggio dell’album passa attraverso l’epica minima di sonorità folk, percorse da leggero lirismo, e tra le note di violoncello di Elena Diana mai pompose, che si fanno generatori di atmosfere su quattro pareti o alimentano le lacerazioni di brevi dissonanze. Ci si immerge poi nella ritmica straniante di Lacrime e fango e in tessiture delicate di chitarre o episodiche impetuosità rock, che riportano entrambe vagamente ai Pearl Jam; si scende infine nella solarità di cori quasi à la Beach Boys e fra ottime, quasi immancabili linee di piano, che paiono voler rinnovare il cantautorato italiano con un gusto simile a quello degli Amor Fou (Don Giovanni), conducono tra echi beatlesiani (La mia fetta) e sontuosità irregolari à la Benvegnù (Sottile ipocrisia) e sfoggiano spesso una già definita, personale vena inquieta (v. il singolo L’astronauta o Quella sensazione di comodità con Paolo Benvegnù, che dimostra un’eleganza a tratti morrisseyana).

Si segnalano la ferma drammaticità dell’Idiota, aperta e conclusa da una marcia tetra, e Infezione, perla cantautorale di malinconia, impreziosita dalla voce fragile di Syria, ormai non più una rivelazione nella sua seconda vita indie.

Ad illustrare finemente il disordine delle cose, «delizia dell’immaginazione» secondo la citazione di Paul Claudel in epigrafe, i disegni di miofiglio.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Gigi Giancursi, Cristiano Lo Mele
  • Anno: 2009
  • Durata: 57:51
  • Etichetta: Tamburi Usati/Venus

Elenco delle tracce

01. Il colore del vetro

02. L’altra metà di me stesso

03. Don Giovanni

04. L'idiota

05. Muscoli di carta

06. Infezione

07. La mia fetta

08. Lacrime e fango

09. L'astronauta

10. Il pittore del mondo

11. Quella sensazione di comodità

12. Piume di cristallo

13. Sottile ipocrisia

ghost track - Non sono io, sono gli altri

Brani migliori

  1. L’idiota
  2. Infezione
  3. L’astronauta

Musicisti

Marco Manzella: voce Alessandro Marchetti: basso Emanuele Sarri: chitarra Vinicio Vinago: batteria Luca Schiuma: tastiere e synth Syria: voce in 06 Marco Notari: voce in 05 Naif Hérin: voce in 02 Tommaso Cerasuolo: voce in 08 e 10 Carmelo Pipitone: chitarre in 02 e 10 Paolo Benvegnù: voce in 11