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Il Teatro degli Orrori

Il mondo nuovo

Il problema è sempre lo stesso: riuscire a passar indenne il deserto temporale tra un album de Il Teatro degli Orrori e quello successivo. Poi un inverno 2012, improvviso e sottozero, porta alla luce Il Mondo Nuovo, un concept ricco e abbondante da 75 minuti, e ci sentiamo sollevati. Perché dopo i vari cambi di formazione (tutti rientrati), dopo il ritorno in attività degli One Dimensional Man, non era previsto un nuovo episodio di così ampia navigazione, complesso e centrifugo fin dall’embrione progettuale: un’antologia di vite in migrazione, attraverso un diaframma lirico e senza confini, capace di catturare quotidianità e macrostoria, identità reali e/o creature forgiate dalla lettera e dal teatro (saporiti riferimenti ai druidi Rimbaud e  Brodskij, per non parlare di Stratanovskij shakerato con Celine).

Troverete il fatto di cronaca, l’operaio straniero che in Italia ha trovato la morte bianca lontano dalla promessa sposa e dai genitori, la storia d’amore dilaniata da una distanza interiore e non colmabile, il soldato statunitense che decide di togliersi la vita dopo aver appoggiato e poi subito gli orrori di guerra nelle trincee irachene, troverete voi stessi, ergonomicamente riflessi.

Perché l’ottica di Capovilla e soci si discosta sia dall’idea iniziale (un omaggio a De André e a uno dei suoi capolavori, parafrasato in Storia di un immigrato), sia dal riferimento al romanzo di Huxley (per la verità sempre utilizzato a sproposito, vedi le dediche dagli Iron Maiden a Neffa). Qui infatti la fantascienza di un optimus capitalista è sostituita da una globalizzazione vivida e già storicizzata, che nei suoi travasi umani, per guerra, lavoro, idealismo, e sentimenti continua a mietere vittime, a volte morali, a volte simboliche, a volte materiali, con tanto di telegramma riportato alle famiglie d’origine.

C’è quindi un’espansione formale, semantica e geografica rispetto al celebrato disco precedente, A sangue freddo, ancora concentrato, come il disco d’esordio, Dell’impero delle tenebre, a forgiare le armi e le rose per affrontare l’Italia contemporanea, nel gettare semi di critica sociale, nell’inventare eretiche torch songs. Qui s’invertono rispetto al passato le quote tra le pugnalate nazionali e l’esplorazione di un’oltre che stavolta prende le redini di un viaggio esteso e circolare (16 racconti, ognuno con una sua piccola folgorante identità).

I colori, pur nello spazio intercontinentale delle riflessioni, si riducono eliminando anche il tenue rosso sangue di un tempo. Si esaltano invece le tonalità, come nell’ottima copertina di Roberto Coda Zabetta, che ci restituisce un volto decomposto e disumanizzato (con le pupille forse dilatate, forse dilaniate), nel quale non possiamo non riconoscerci. È da qui che veniamo immediatamente trascinati (l’apertura di Rivendico, nuovo manifesto musicale e lirico della band), davanti a immacolate visioni widescreen (grazie alla wagneriana post-produzione di Giulio Favero) di infiniti campionari di grigio, in cui anche i rilevanti ospiti gettano con entusiasmo e sapienza il proprio dripping colante fiele ed empatia. Dalle inconfondibili cristallizzazioni ambrate di Egle Sommacal (Massimo Volume), a Rodrigo D’Erasmo (Afterhours), cesellatore di misura e delicatezza anche nei brani più lividi, fino ad un Caparezza perfettamente inserito nel contesto (la comunione con Capovilla e gli Aucan nell’incredibile Cuore d’oceano è candidabile a miglior performance dell’anno).

Ci sarebbe molto altro da dire su un album come questo, su una band affilata e in simbiosi come-prima-più-di-prima, su un autore di testi e interprete (cfr. il rifacimento di Doris degli Shellac) che non ha paragoni nel nostro paese, in quanto a carisma ed efficienza visionaria.

Non aspettatevi un album omogeneo, perché è una collana di frammenti coesi e perfettamente oliati (provare fino a dieci ascolti consecutivi per credere). Non aspettatevi Storia di un impiegato, piuttosto un Goodbye Yellow Brick Road, versione artaudiana.

E non aspettatevi il disco dell’anno, perché non avrete bisogno di attenderlo. È già qui, non la migliore, ma la più importante l’opera d’arte prodotta quest’anno in Italia.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Giulio Favero
  • Anno: 2012
  • Durata: 74:22
  • Etichetta: Universal/La Tempesta

Elenco delle tracce

www.ilteatrodegliorrori.com

Brani migliori

  1. Rivendico
  2. Cuore d'Oceano
  3. Adrian

Musicisti

Pierpaolo Capovilla: voce Gionata Mirai: chitarra Giulio Favero: basso, chitarra, tastiere Francesco Valente: batteria   Rodrigo D'Erasmo: archi Caparezza: voce e testo in Cuore d'oceano Andrea Appino: chitarra in Io cerco te Aucan: tastiere in Cuore d'oceano Egle Sommacal: chitarra in Doris Mirco Mencacci: sonorizzazione in Adrian Annapaola Martin: voce in Io cerco te Mara Haregu Pagani: voce in Gli Stati Uniti d'Africa Marco Catone: testo di Adrian Fabio Rondanini:  batteria in Pablo Richard Tiso: basso in Nicolaj Carlo Garofalo: percussioni in Nicolaj Stefano Pilia: chitarra in Pablo Alfonso Santimone: trame elettroniche in Vivere e Morire a Treviso