Giovani, carini e disoccupati. Giovani, su questo non ci sono dubbi: i componenti dei The Churchill Outfit hanno un’età media di poco più di vent’anni. Disoccupati, di questi tempi, va di pari passo col “giovani”, e quindi non stiamo nemmeno a chiedere il libretto di lavoro. Per “carini” intendiamo musicalmente: qui all’Isola non siamo particolarmente attendibili sulla “carineria” vera e propria, e anche le nostre preparatissime collaboratrici donne sono più attente a salti d’ottava e rivolti piuttosto che a frangette e tatuaggi tribali. Quindi - dicevo -parliamo solo di musica, ma non andiamo oltre il “carini” nel caso dei quattro pezzi di questo In Dark Times.

Quattro tracce sono poche per valutare ecc. ecc. - vi risparmio il solito pistolotto sugli Ep. Torniamo a presentare i Churchill: un bel trio di passatisti ma non troppo, scuola Jack White per intenderci, sufficientemente imbottiti di buoni ascolti d’epoca per soddisfare i rompi... gli esigenti come chi scrive. Non so dire su quali dischi abbiano consumato le puntine (o su quali mp3 abbiano fatto impallare l’Ipod, vista l’età) ma dentro In Dark Times c’è un bel frullato di Cream, Spirit, Doors, Ten Years After, con quel tocco cool alla Raconteurs, aggressivo e un poco artefatto.

Aprono l’Ep con l’indiavolato rock-blues di On the Fireplace: molta energia, suoni di chitarra belli pieni, l’attitudine giusta. La successiva Circus In Town, che inizia come Scar Tissue dei Red Hot e finisce con un crescendo alla Jimi Hendrix Experience, dà l’idea delle potenzialità della formazione bresciana - il picco dell’ep, a livello compositivo ma anche performativo. Perché si scende subito dopo, con il rockettino acido della title-track, troppo anonimo e convenzionale per lasciare traccia. E si risale, anche se non fino al cielo, con Mr. Gavin, brano più moderno costruito su un bell’incastro tra le frasi di chitarra e quelle di organo.

La gioventù e le idee si sentono, si avvertono più che altro, in questo lavoro: buona coesione, influenze ben assimilate, personalità. Pure la tecnica c’è, nonostante i backing vocals qui e là incerti e i riff non memorabili, spesso poco originali. Il guizzo, il colpo di coda che farà passare i The Churchill Outfit da “giovani, carini e disoccupati” a “cavoli, che bravi questi” arriverà probabilmente col prossimo disco... e saranno loro a chiederci il libretto di lavoro.

Altri articoli di Silvio Bernardi

Rooms