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La Febbre del Venerdì 13

La Febbre del Venerdì 13

Storia di un parto strano, ed anche abbastanza “incasinato” volendo… ovvero storia di un musicista, Andrea Zucaro, che ha sempre cantato in inglese. Ad un certo punto incontra un duo stoner-rock e inizia a scrivere brani in italiano, si innamora del suono analogico ed allora decide di realizzare un album intero in italiano collaborando con diversi altri musicisti indie/garage/post punk/pop/alternative della propria zona (Mestre). Il risultato di questo apparentemente eterogeneo coacervo di influenze e collaborazioni si trova racchiuso nei trenta minuti scarsi di La febbre del venerdì 13: dieci tracce “beat”, sparate quasi a raffica. Sintesi originale ed inaspettata di un ampio ventaglio di sollecitazioni musicali, stili e generi.

Il suono è, volutamente e dichiaratamente, “vintage”, curato nei dettagli in maniera maniacale; tant’è che, davvero, ad un orecchio più distratto potrebbe sembrare di ascoltare una serie di 45 giri originali, peraltro straordinariamente ben tenuti; qualche sprazzo jingle-jangle, passaggi di batteria tipici della fine degli anni ’60 (con il rullante raddoppiato, per capirci), ma anche gli echi “sintetici” del primo punk elettronico. Tutti i brani sono, ovviamente, relativamente brevi ed offrono una carrellata completa ed esaustiva dei ritmi e delle sonorità tipici di quel periodo. Il fatto interessante risulta essere quello per cui, malgrado il background musicale “d’epoca”, l’album suoni attuale, vivace, non dia neppure per un momento la sensazione di “vecchio”. C’è, è vero, quella sensazione di “…ma dove l’ho già sentita?…”, ma questa rimane esclusivamente una percezione epidermica, senza alcun riferimento inequivocabile: non si riesce infatti a trovare un legame chiaro con un singolo artista, o con un gruppo ben preciso, ma si coglie solo l’appartenenza del sound ad un’epoca, quella sì, ben identificata ed identificabile.

Non c’è, all’interno di La Febbre del Venerdì 13, nessun tipo di operazione nostalgia, ma solo il desiderio di mettere in musica la propria passione per gli anni che vanno dalla fine dei ’60 a tutti i ’70, riprendendone però le espressioni musicali, più semplici e dirette, che giunsero in Italia dall’Inghilterra. Fu una sorta di piccola “British Invasion” che modificò, radicalmente e definitivamente, il modo di approcciarsi alla musica da parte degli artisti italiani più interessanti e sicuramente lungimiranti: quelli capaci di cogliere, e successivamente elaborare e personalizzare, le suggestioni provenienti da quegli ambiti musicali che stavano letteralmente scrivendo la storia della musica moderna.
Così la mezz’oretta dell’album scorre via veloce e piacevole, fra immagini e sensazioni d’altri tempi, e non resta che far ripartire tutto da capo per un altro viaggio nel tempo.

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Matt Bordin
  • Anno: 2015
  • Durata: 29:00
  • Etichetta: Lilium

Elenco delle tracce

01. Pentagoni
02. Messico
03. Sfidi mai
04. Moonocababa
05. L.S.D.C. (La sorte dei cantanti)
06. Il rosso
07. Pit stop
08. Tigre
09. Veterano
10. Nevada

 

Brani migliori

  1. Pentagoni
  2. Pit stop
  3. Nevada

Musicisti

Andrea Zucaro: voce, cori, chitarre ritmiche  -  Alessio Ghezzi: percussioni  -  Luca Castellaro: basso elettrico  -  Matt Bordin: basso elettrico, chitarre, Hammond  -  Alessandro Zotta: chitarre  -  Riccardo Sartorel: contrabbasso  -  Luca Ventimiglia: synth  -  Francesca Rismondo: violoncello  -  Stefano de Marzi: violino  -  Nicolò Milanese: fiati