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Mango

La terra degli aquiloni

La terra degli aquiloni è un grembo gravido di dolore e sogni da far volare, sul filo delle assenze da riannodare al cuore, una tela scenografica in cui l’orizzonte cuce insieme la passionalità viscerale e la poesia del cielo. E, a piedi scalzi, le note del ventesimo album di Pino Mango danzano su di essa, tra lo scorrere sognante di nuvole e stelle e il fremere maestoso degli archi della Roma Film Orchestra, il profumo folk-rock/blues della chitarra acustica di Carlo De Bei (v. un’irriconoscibile versione del singolo dance Starlight dei Supermen Lovers) e onde impetuose di chitarre elettriche pop-rock.

Il tessuto melodico, con i fitti ricami della voce ancora straordinariamente limpida e rorida di emozione del cantautore lucano, è come sempre possente; talvolta esso appare ridondante, ma lussureggia con la generosità di un pathos elegante e la coerenza di uno stile che sa nutrirsi anche di pianoforte e metriche cantautorali (la struggente e arditamente immaginifica Dove ti perdo) e di esplorazioni di spazi geo-musicali.

Così, Mango, che già aveva provato il Passo del flamenco nel precedente album e lo spagnolo in tre dischi di fine anni ’80, ci conduce nel microcosmo latino del tango Volver dell’argentino Carlos Gardel (i cui dischi sono parte Memory of the World Register of Documentary Collections dell’Unesco) e modella la sua voce sulla musicalità malinconica e passionale del genere. Ad accompagnare il cantato, solo i virtuosismi di chitarra classica di Flavio Sala; nell’ultimo decennio d’altronde Pino ha dimostrato che sono proprio i vuoti di arrangiamenti minimali a sbrigliare la forza cocente e avvolgente della sua voce.

Dignitose arrendevolezze (titolo quasi mogoliano), con il fiorire sinuoso e delicato dei vocalizzi di Laura Valente e una zampogna lucana che ricorda le uilleann pipes, lancia gli aquiloni a volare in alto nei cieli celtici, ma rammentando che «non nascono soltanto in Irlanda quei musicisti […] che sanno di tempeste e rose, quando il sole muore». Tra reggae e synth-pop essenziale (ma con sprazzi di archi baroque pop) appare la lieve Il pazzo, mentre il mediterranean-pop (che imbeve dei suoi ritmi anche Il rifugio firmata M. Fabrizio-G. Morra e il lirismo del suo cantato) imperniato su voce e piano della raffinata title-track, tra hand-clapping, un tappeto morbido di prati, fieno ed archi e coda magnetica di chitarre, sembra, come un tempo, accennare passi di sirtaki.

Latine ancora le chitarre di Guarda l’Italia che bella, che risulta un po’ stucchevole, mentre tre canzoni sfoggiano testi di Pasquale Panella, Chiamo le cose, il singolo La sposa (una ballata con synth d’atmosfera che rammenta Amore per te, ma senza la sua travolgente apertura melodica ed emozionale) e Tutto tutto, con accendersi festoso di un ritornello brillante à la Santana, tra percussioni e chitarre.

Resta ferma l’ariosità poetica, ora drammatica, ora onirica delle sue canzoni, ma non si arresta la volontà di Mango di contaminare latitudini e vertigini del cuore, come custode di sentimenti possenti (incarnati qui come non mai in brani dal respiro cinematografico), dell’audacia antica della melodia, del sapore di ritmi variegati.

Questo nomadismo che sa di terra e profumi e rimette in gioco in ogni album l’artista di Lagonegro, tra cover molto personali ed esplorazioni sonore, è il maggiore pregio pertanto anche di quest’ultimo disco. Che non germina dal seme di qualche rivoluzione musicale, non lascia sbigottiti per una fioritura inedita, ma è pur sempre gemma di un percorso viscerale di coerenza. E di uno stile inconfondibile.

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In dettaglio

  • Anno: 2011
  • Durata: 44:13
  • Etichetta: Sony Music

Elenco delle tracce

01. La terra degli aquiloni

02. La sposa

03. Dignitose arrendevolezze

04. Guarda l’Italia che bella

05. Dove ti perdo

06. Chiamo le cose

07. Tutto tutto

08. Volver

09. Il pazzo

10. Starlight

11. Il rifugio

Brani migliori

  1. La terra degli aquiloni
  2. Dove ti perdo
  3. Volver

Musicisti

Mango: voce, pianoforte, produzione artistica, arrangiamenti, pre-produzione e produzione Rocco Petruzzi: tastiere, programmazione, arrangiamenti, produzione Carlo De Bei: chitarre, cori, pre-produzione Nello Giudice: basso Giancarlo Ippolito: batteria Paolo Costa: contrabbasso elettrico Filippo Mango: batteria (10) Pasquale Laino: direzione e registrazione dell’Orchestra Roma Film Orchestra, zampogna lucana (03) Flavio Sala: chitarra classica (08) Laura Valente: cori Angelina Mango: cori (10)