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Canzoni&Parole - Festival di musica italiana ...

  di Annalisa Belluco  ‘Canzoni & Parole’ il festival della canzone d’autore italiana organizzato dall’Associazione Musica Italiana Paris che ha esordito nel 2022 è pronto a riaccendere le luci della terza ...

Davide Van De Sfroos

Maader folk

Maader folk è un album di vecchia data… nel senso che avrebbe dovuto uscire presumibilmente nella primavera del 2020. Ma sappiamo tutti che anno è stato il 2020 e pur senza un album “nuovo” da mettere sul mercato è bene ricordare che Davide Van De Sfroos - insieme alla band dei “vecchi” De Sfroos - ha lavorato alla riedizione di “Manicomi” (presentazioni e tour incluso, dove e come possibile) mitico album che aveva visto i primi passi del cantautore lombardo. Questo per dire che non è stato del tutto “fermo” (come purtroppo è capitato a molti altri artisti) ed oltre all’operazione appena citata ha avuto modo di affinare ulteriormente le sue nuove canzoni, in attesa che tutta la macchina comunicativa potesse fare il suo lavoro. Ora il tempo oscuro, per fortuna (anzi, aggiungiamoci anche per la volontà della stragrande maggioranza degli italiani che ha fatto quel che doveva fare per uscirne in fretta…) sta passando e il nuovo progetto di Davide ha potuto mollare gli ormeggi e lasciare il porto per iniziare a navigare nei mari che più gli sono congeniali, quelli che portano i suoi brani in mezzo alla gente. 

 

Dopo aver visto i video de Gli spaesati e di Oh Lord, Vaarda gio, (questo con la partecipazione di Mauro Corona), l’album è ora a disposizione per l’ascolto. Intanto è bene sottolineare che sono davvero molti i temi cari all’artista della Tremezzina presenti nelle liriche di questo lavoro, come la meraviglia della natura, l’ombra, l’acqua del lago, il passato, i ricordi d’adolescenza, il lavoro, il viaggio, il mondo femminile. Ogni canzone ha un suo protagonista, sia esso persona o situazione, immagine o ricordo. Il tutto senza dimenticare la parte musicale, che ha visto la presenza di un folto numero di musicisti a supporto delle canzoni proposte (ben quindici) e il sostegno del sempre bravo Angapiemage Galiano Persico, armato del suo violino e della sua perizia musicale.

La lettura dei brani che compongono Maader folk rende manifesta la visionarietà dei testi e delle atmosfere che il suo autore profonde a piene mani. Una visionarietà certamente legata alla terra di appartenenza (e non solo per il dialetto utilizzato) ma, anche, a tutto quanto è presente dentro di sé, alla lettura di quei segni che sfuggono ai più ma non a una sensibilità artistica come la sua. Quando in Fiaada, brano che apre il disco, si legge un passaggio come “ogni rosario, prima o poi, perde i pezzi” ci si rende conto della potenza evocativa di questa frase (in dialetto ancor di più) che colpisce l’immaginario di chi ascolta e che attraverso la figura di quei pezzi di rosario che si perdono può leggere un evento della propria vita. Colpisce leggere in Nel nomm la contraddizione tra la guerra e la pace quando arriva il momento di “strappare penne al falco sentendo il suo dolore e con le stesse penne scrivi lettere d’amore”, così come non rimanere piacevolmente suggestionati dalle parole che scorrono in Goccia di onda dove “ogni sasso che fa rumore parla del passo che gli schiaccia la testa”, dove si può cogliere il senso profondo che ogni nostra azione (o collettiva) che si compie ha un impatto su qualcun altro. Parole dense, come le poesie presenti nei suoi libri. Parole che richiamano atmosfere e tempi lontani o, addirittura, perduti. C’è il ricordo di un amore fuggevole dell’adolescenza e della differenza di classe raccontata con maestria, in L’isola, con una frase “fotografia” che recita “lei con i vestiti di boutique, io con quelli di mio fratello”. Ne Gli spaesati pare di entrare nel pensiero pasoliniano in cui si comprende che un mondo sta scomparendo, che un popolo è in via di estinzione ma che riesce ancora ad avere consapevolezza della propria funzione e che afferma che “siamo un popolo nascosto, sorvegliamo un faro spento”; però, nella stessa misura, quel popolo ricorda che “sembriamo senza tempo, sembriamo senza pace ma chiamerete noi quando andrà via la luce”.

 

Tra le righe de El vagabuund vi è l’essenza dello stile poetico di Van De Sfroos, che attraverso il vagabondare della fantasia riesce a cogliere quegli stati d’animo altrimenti preclusi e dove “il tempo è come un cane che mi morsica il sedere, ma nella mia ombra non mi sono mai nascosto”. A metà disco troviamo Guanto bianco, un’immersione nella natura, nei suoi silenzi e nelle sue evidenze, palesi e nascoste. Mulattiere, luce della luna, campane, pianeti… l’immaginario e la realtà che si incontrano e cercano di trovare un dettaglio comune per poter camminare insieme perché bisogna stare attenti in quanto “pianeti senza nome mi stanno per cadere in braccio” e bisogna essere pronti a farsene carico di questo pianeta. Con Agata si cambia registro, visto che si tratta di un’ode alla donna: poetica e delicata, profonda e sincera, suggestiva. Donne in attesa di ritorni da guerre ed emigrazioni, donne piene di fatiche, donne senza le quali nulla sarebbe stato fatto. Donne che pregano e donne che piangono. Un’immagine letteraria che è come una fotografia di un tempo. Di ogni tempo. E poi nella scaletta ecco che troviamo Il mitico Thor, brano che riesce a tenere insieme il personaggio mitologico al muratore della realtà del quotidiano. Eppure lo sguardo attento arriva dove non riesce la ragione superando l’oggettività delle cose quando “di fuori vedi il cemento, ma dentro è tutto cuore” e le apparenze vengono oltrepassate dalla fantasia e mito e realtà diventano una cosa sola. La descrizione della “fuga” giovanile è ben descritta in Stella bugiarda, in cui il desiderio di allontanarsi dai luoghi natii è cancellato dalla consapevolezza della propria storia, della propria origine, del proprio essere parte di una vita di comunità e del fatto che “il viaggio serve a farci capire chi è fatto per partire e chi è fatto per restare qui”. Un altro bozzetto di consapevolezza del passato, di un tempo lontano e perduto è ben raccontato in Hemm imparaa dove la presenza/incontro/scontro di generazioni differenti lascia presagire un futuro che cancellerà il passato senza volerne lasciare traccia e l’epitaffio più forte è racchiuso in parole semplici ma ficcanti come “Nonno, quante domande che seminiamo senza concime”. Domande senza né storia né passato a cui riferirsi e, pertanto, senza humus dove il futuro avrebbe potuto attecchire.
Due parole adesso su Oh Lord, vaarda gio, il brano clou dell’album. E lo è per vari motivi, per la sua potenza espressiva a mo’ di gospel, per la presenza di Zucchero Fornaciari e per il bel video che è stato girato (clicca qui). È un invito esplicito a prendere atto di quanto l’uomo abbia bisogno della natura, del silenzio, del bisogno di ritrovare sé stessi. La voce di Van De Sfroos e di Zucchero ben si amalgamano per ritrarre momenti di percezione di ciò che sta intorno a noi, sopra di noi, dentro di noi. E che noi stiamo uccidendo. Ci si avvicina alla fine dell’album e s’incontra Reverse, brano alla spudorata “ricerca del tempo perduto” e l’immagine del tasto reverse che riporta tutto indietro è davvero appropriata, dove sprazzi di ricordi giovanili si uniscono al bisogno di sentirsi nuovamente dentro quei giorni perduti e così il desiderio della memoria arriva a dire “schiaccia il tasto reverse e dammi indietro quella notte”. Una canzone che si potrebbe definire ‘classica’ è Tramonto a Sud, dove pare quasi di sentire l’influenza interpretativa del grande Domenico Modugno tra le note e le parole. Si tratta della descrizione di nostalgia pura di terre di casa, è volontà di non perdere le proprie radici, è desiderio d’essere in terre piene di profumi e di tramonti che parlano.

Il vento è un elemento che appare spesso nei testi di Van de Sfroos e viene a chiudere questo album appaiandosi ai fiammiferi e La vall (il vento e i fiammiferi) è proprio la scritta “fine” al termine di un film. Quando tutto è stato esplorato, visto, vissuto, ascoltato, arriva il momento in cui è necessario fare ritorno verso casa “e la valle porta indietro le mie parole e l’aria fredda sul mio collo”. C’è bisogno di andare ma anche di proteggersi nel corso del cammino, perché l’aria è fredda.

Quelli scritti sono solo alcuni spunti sui testi per potersi avvicinare all’ascolto dell’album con una concentrazione adeguata (i testi sul libretto sono in dialetto e in italiano), mentre per la musica…beh, dentro ci trovate tutto Van De Sfroos: un caleidoscopio di suoni ben cuciti intorno alle parole in dialetto lagheè, con i musicisti che lo assecondano in tutti gli stili proposti, con il violino di Angapiemage Galiano Persico (qui sotto nella foto) sempre pronto a dare esattamente il colore giusto alle atmosfere che quel brano richiede. Spazio adeguato anche alla fisarmonica, volta a ri-unire differenti componenti del patchwork sonoro, dove la sezione fiati e il sax salgono sugli scudi in più di un’occasione, così come vincente per gli arrangiamenti sono le incursioni del pianoforte. Ma oltre a questi, troviamo un “mare” di strumenti e strumentisti che concorrono da protagonisti a creare un’atmosfera vincente nella costruzione finale dell’album.

 

Un plauso infine va alla produzione dei vari brani, che questa volta Van De Sfroos ha deciso di affidare a più soggetti, tra cui ricordiamo Taketo Gohara (cresciuto alla scuola delle Officine Meccaniche di Mauro Pagani), Paolo Costola (polistrumentista, già operativo con Davide per Yanez oltre che riferimento per lo MacWaveStudios, luogo che ha visto passare artisti di spessore sia italiani che internazionali), Daniele Caldarini (stimato arrangiatore/produttore, reduce dal Premio Tenco, dove ha contribuito alla vittoria di Peppe Voltarelli per la Targa come Migliore interprete con il disco “Planetario”) e Angapiemage Galiano Persico, musicista e violinista che da “qualche” decennio è a fianco di Davide, in una simbiosi d’intenti che trova pochi esempi così rappresentativi per durata e intensità.



 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Taketo Gohara per le tracce 3, 5, 7, 11, 12, 13; Paolo Costola e Angapiemage Galiano Persico # 1 e 4; Paolo Costola # 2 e 14; Daniele Caldarini # 9; Daniele Caldarini e Angapiemage Galiano Persico # 8 e 15; Angapiemage Galiano Persico # 6; Daniele Caldarini e Paolo Costola # 10 Supervisione alla produzione artistica Davide Bernasconi e Angapiemage Galiano Persico
  • Anno: 2021
  • Durata: 58:41
  • Etichetta: BMG

Elenco delle tracce

01. Fiaada

02. Nel nomm

03. Goccia di onda

04. L’isola

05. Gli spaesati

06. El vagabuund

07. Guanto bianco

08. Agata

09. Il mitico Thor

10. Stella bugiarda

11. Hemm imparaa

12. Oh Lord, vaarda gio

13. Reverse

14. Tramonto a Sud

15. La vall (il vento e i fiammiferi)

Brani migliori

Musicisti

Davide Van De Sfroos: voce, chitarra acustica  -  Zucchero “Sugar” Fornaciari: voce in #12  -  Angapiemage Galiano Persico: violino, mandolino, tamburello salentino, acklung  -  Taketo Ghoara: percussioni, clavicembalo, piano giocattolo, programmazione  -  Paolo Costola: chitarra elettrica, banjo, chitarra acustica, chitarra baritona, dulcimer, cori  -  Daniele Caldarini: organo Hammond, pianoforte  -  Paolo Cazzaniga: chitarre, cori  -  Silvio Centamore: percussioni  -  Niccolò Fornabaio: batteria, bongo, conga, percussioni, xilofono basso, marranzana grancassa, rullante, pocket piano  -  Lorenzo Marra: fisarmonica, cori  -  Attilio Zanchi: contrabbasso  -  Fabrizio Barale: chitarra elettrica  -  Fabrizio Carletto: contrabbasso  -  Andrea Verga: banjo  -  Alberto Pavesi: batteria  -  Paola Colombo: violoncello  -  Riccardo Luppi: sax tenore, sax soprano, flauto traverso  -  Paolo Malacarne: tromba  -  Mauro Ottolini: trombone, tromba bassa, sousaphone, arrangiamenti fiati, conchiglie  -  Corrado Terzi: sax, clarinetto  -  Alessandro “Asso” Stefana: banjo, omnichord, mandolino, chitarra elettrica, philcorda, chitarra acustica, chitarra acustica 12 corde, pianoforte, Vox Continental, bass VI, pad, bouzuki, armonio, vibrafono, basso, quadro  -  Alessandro De Simoni: fisarmonica  -  Andrea Cusmano: flauto dolce  -  Loredana Langella: oboe  -  Elena Spotti: arpa  -  Paolo Xeres: bodran, cassa, tapan  -  Anchise Bolchi: violino, pedal steel, mandolino  -  Lorenzo Zanini: pianoforte  -  Corrado Terzi: sax, clarinetto  -  Giuseppe Roberto Mazzoni: viola  -  Valerio Gaffurini, Stefano Bigoni, Lorenzo Bonfanti, Andrea Verga, Daniele Caldarini, Stephanie Ocean Ghizzoni: cori