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Il volo di Colin

Sognatore sveglio

Il gruppo nominato Il volo di Colin non vorrebbe far musica! O almeno non gradirebbe scriverne: preferirebbe essere come Henry, un Sognatore sveglio concentrato sui suoi ricordi e sul suo futuro, mentre nel presente leopardiano guarda la luna prima di tirare un’altra boccata alla sua sigaretta, emozionato di fronte al sublime del tempo. Ripensa ai suoi concerti e all’emozione del pubblico.

Ma qualcosa si è guastato nel suo animo ora, o potrebbe essere solo la dolcezza del ricordo a dare l’illusione di una diversità: adesso il pubblico è distratto e lui proietta la sua vita su un orizzonte lontano, in un iperuranio che ha poco a che fare con la realtà, la realtà crudele che lo ha pugnalato alle spalle.

Qualcosa è cambiato da quando si è spezzato un equilibrio che lo teneva sospeso sul baratro della perdizione. Qualcuno ha deciso di toccarlo, di punzecchiarlo, di fargli perdere tutto ciò che aveva costruito. È bastato lo sguardo di qualcuna/o che come una marea si è abbattuto sulla sua vita a rendere il mondo quel posto crudele e ruvido che lo trascina fuori di sé.

Strappato alla tranquillità di un sogno che lo terrebbe ancorato alla musica mainstream, lo stile del Volo di Colin si adagia con tutta la sua calma prorompente di musica fuori dal tempo, fuori da uno spazio sonoro ben identificato, capace di calibrare l’arte del rock in una dimensione del tutto personale. Quando in Cammino in equilibrio prorompe il ritornello su una strofa fatta di versi difficili da determinare, l’incastro dei ritmi tra voce, chitarra e batteria, riesce a condensare il fastidio sonoro provato dal funambolo spintonato. Si tengono in equilibrio certamente, e in questo la grana della voce di Max Arigoni, unica nella timbrica e nell’intonazione, mantiene saldo il compatto lavoro strumentale. E proprio l’uso di diversi effetti vocali sembra ancor di più simboleggiare lo scostamento dell’io narrante, forse quell’Henry che si rivede in un reprise appunto strumentale, ennesimo espediente di un’Eco che non vuole più ripetere il male del mondo di cui è vittima, ma anche carnefice. Non a caso la canzone intitolata Il canto si guarda bene dal decretare un’arte salvifica per l’umanità: se la voce che intona le note è sintomatica dell’uomo, ecco che riesce a prendere tutte le forme, malvagie e benefiche, noiose e confortanti dell’esistenza. Un circolo vizioso che esprimono magnificamente i versi (che mi permetto di punteggiare in modo diverso rispetto al testo del libretto): “Non è una novità: il drago si morde la coda all’infinità, si morde la coda nell’oscurità; e la linea che muta nel cerchio si rigenera”. 

Cerca di sfuggire l’io in Prova a prendermi e nelle tracce strumentali dell’album. E finalmente approda all’Isola, un rifugio per se stessi e in se stessi. Quindi un finale da isolamento alla Pink Floyd, di cui non a caso l’album contiene molte citazioni tra orologi, follia capovolta alla Brian damage e appunto l’isolamento finale di The wall. E a proposito di libretto: è un’opera degna di essere comprata come oggetto grazie alle splendide illustrazioni di Valentin Gubarev, il quale riesce a suggerirci senza volerlo l’idea di un aggettivo che può racchiudere questa splendida opera: metafisica.

 

 

 

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In dettaglio

  • Produzione artistica: Simone Mammucari    
  • Anno: 2018
  • Durata: 51:35
  • Etichetta: Samo Records

Elenco delle tracce

01. Intro metropolitano
02. Henry
03. Cammino in equilibrio
04. Il tuo sguardo
05. La voce del mare
06. Come una marea
07. Boom!
08. Prometeo
09. Il più normale
10. Il canto
11. Henry reprise
12.Prova a prendermi
13. Isola

 

 

Brani migliori

  1. Henry
  2. Come una marea
  3. Il canto