Questo Stupor Mundi di Pierluigi Balducci è un album davvero particolare, si potrebbe definire “strano”, se il termine non lasciasse troppo vaga l’idea che ci si può fare ascoltandolo. Apparentemente si tratta di una interessante commistione tra jazz, fusion, musica folk e “forma canzone”, ma ciò solamente se lo si ascolta “brano per brano”. Riascoltato nel suo insieme, in realtà ci si accorge di essere di fronte ad una sorta di suite, un continuum melodico in cui voci e strumenti si incaricano di riprendere le sonorità e di rilanciarle secondo le proprie caratteristiche peculiari; un gioco di richiami, un rincorrersi musicale che ripercorre le caratteristiche più interessanti degli stili che lo compongono: lo swing ed il ritmo del jazz, con basso ed accordion in prima fila; la tecnica e le armonizzazioni della fusion, di cui sono protagoniste le chitarre; la gioiosa energia della musica folk, intesa come musica “del popolo”, capace di stimolare il ballo, l’aggregazione e la propensione alla festa; la complessità della canzone, si badi, non della canzonetta popolare, con la sua liricità e la sua capacità di “dipingere” luoghi ed atmosfere. Punto fermo, sicuramente, la fisarmonica (o accordion), protagonista indiscussa, a tratti spregiudicata e “sfacciata”, una sorta di “filo di Arianna”, che indica la strada, la percorre, la riprende, mentre la chitarra dell’autore si ritaglia spazi particolari, più intimi, meno evidenti ed appariscenti. Il brano Del cavaliere errante su campi dorati è una sorta di sintesi delle due anime che si confrontano e si scontrano ma che in fondo sono solo le due differenti facce della stessa medaglia di un album arioso ed appassionato, che vive di contrasti e sinergie, un lavoro energico e delicato nel contempo, segno di maturità e grande sensibilità.

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