Strade deserte stile americano, paesaggi che scorrono ai lati della tua vecchia automobile che, per ora, sembra ancora volerti accompagnare, mentre l’acceleratore continua a fare il suo lavoro senza disturbare la tua solitudine, il tuo pensare.

Ci sono album che fin dai primi brani ti fanno perdere la concezione di tempo e spazio, rimandandoti con la mente verso luoghi che magari non hai nemmeno mai visitato. Il più delle volte accade con dischi scritti e prodotti a migliaia di chilometri di distanza dalla tua cameretta; quando invece ti rendi conto che questo comincia a succedere con un album made in Italy di respiro internazionale, la cosa comincia a piacerti ancora di più.

Parliamo dei Divenere, che raccolgono undici brani e li mettono in valigia. The snow out of her apartment il secondo progetto discografico del gruppo dopo l’EP Your City Light On. La line-up definitiva del gruppo romano, nato nel 2005 e attivo con l’attuale formazione dal 2008, vede Danilo Loprete (voce e chitarra), Claudio Spagnuoli (chitarra e tastiere), Dario De Rosa (basso) e Stefano Aniceto (batteria).

Le influenze concentrate in questo disco sono molteplici e ruotano intorno alla scena post-rock alternative e new-wave, con un gusto personalissimo arricchito da suoni elettronici e dal sapiente (e mai invasivo) utilizzo di fiati, che in alcuni passaggi conferiscono vita e calore ai brani che compongono l’album. Padroni di casa sono comunque le chitarre e il basso che regalano un groove interessante, attraverso una batteria incessante che non trasmetta solo tecnica ma anche calore e colore.

Questa è musica on the road, quella che si sposerebbe a meraviglia con qualche bel film ambientato nella terra degli yankee. Il lavoro dei Divenere piace proprio perché riesce nell’intento (fondamentale durante l’ascolto di un album) di spedire i tuoi pensieri altrove, legandoli a filo doppio con immagini, scenari, oggetti e situazioni in cui sei tu stesso protagonista e regia. Musica che commenta e descrive qualcosa che non c’è, che non possiedi, qualcosa di cui sei alla ricerca ma che devi ancora scoprire, vivere e ascoltare da solo. Se poi proviamo ad immaginare l’indie come genere e non come contesto (con le enormi difficoltà del caso), si rimane spiazzati da You (know how to) love me quietly, brano che evolve verso sonorità che si discostano dal mood sonoro che domina l’intero lavoro, attraverso uno strumentale davvero ben costruito diretto dagli ottoni. Durante un viaggio accade sempre, prima o poi, qualcosa che non ti aspetti.

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