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Blue Serge, nel nome di Chaloff

La sede a Padova, un fondatore/proprietario sardo e un inspiratore bostoniano: una pluralità di input che trova puntuale riscontro nella produzione di un’etichetta alquanto sui generis. Approfondiamo.

Grande e sfortunato baritonista, Serge Chaloff ha regalato al jazz, fra tutte, una celebre composizione, Blue Serge, che è poi anche il titolo del suo ultimo LP, che lui, morto neanche trentaquattro anni ormai ridotto su una sedia a rotelle da un tumore alla colonna vertebrale, non riuscì neppure a veder pubblicato. Da alcuni anni, Blue Serge è però anche il nome di un’etichetta discografica, dove tuttavia Serge dovrebbe stare piuttosto per Sergio Cossu, deus ex machina della coraggiosa label padovana, che noi abbiamo appena lambito parlando di un paio di album di Claudio Fasoli. Perché coraggiosa? Perché nella trentina abbondante di cd editi a partire dal 2003, troviamo jazz, musica classica, contemporanea, etnica, ecc.

Un posto di spicco ricopre per esempio il Paul Klee 4tet (foto sopra), presente fra l’altro all’ultimo Bergamo Jazz (dove appunto, con Cossu, ci siamo conosciuti), e titolare (o contitolare) di tre titoli del catalogo Blue Serge. Tutto per sé, l’ensemble veneto, nato nel 1996, ha intanto Philip Glass Quartets, cd del 2008 che riunisce i primi cinque quartetti d’archi (1966/91) del compositore americano, tra i quali si fanno preferire gli ultimi due, più vitali e articolati. A Milhaud e Messiaen è invece dedicato La Création, la Fin (2009), in cui agli archi si uniscono pianoforte e clarinetto, in particolare in Quatour pour la fin du temps di Messiaen, suite in otto tempi del 1941 che è la vetta del cd, specificatamente proprio per l’uso del clarinetto, che sembra qua e là preludere a certe cose di Stockhausen (Harlekin, per esempio). Il terzo cd è invece centrato su un autore molto meno noto, il veneziano Ugo Amendola (1917/95), di cui Works 1939-1987 offre quattro pagine, la prima (e più ampia) per quartetto d’archi, le altre in prevalenza pianistiche. La preziosità dell’operazione sta proprio nella (ri)scoperta di un compositore ignoto ai più, e invece meritevole di grande rispetto, grazie a una scrittura essenziale quanto ricca di pathos, rigorosa, poco incline al virtuosismo e all’orpello, su una linea che va dagli impressionisti francesi a Malipiero.

Ancora archi sugli scudi (e comunque corde, anche in prospettiva, come vedremo) in Bossa with Strings, cd del 2010 che riporta sotto i riflettori l’ultraottantenne Franco Cerri (foto sotto), decano di tutti i chitarristi jazz nostrani (e non solo). L’album riunisce il suo quartetto (con organo, basso e batteria) e il Time Piece, quartetto d’archi sempre nella formazione classica con due violini, viola e cello. Nel rispetto del titolo, abbondano i temi brasiliani (Jobim su tutti), sempre dall’alto di una classe cristallina, con un plauso particolare proprio per la prova degli archi (arrangiati da Cerri stesso con Oscar Del Barba), mentre un po’ cristallizzato appare per contro l’uso dell’organo Hammond.

Su sponda squisitamente etnica si muove poi uno degli album più suggestivi del catalogo Blue Serge, Mare Chiuso, pubblicato sempre nel 2010 dal sardo Mauro Palmas, liuto e voce, e dal padovano Maurizio Camardi, sassofoni soprano e sopranino (gli unici due dritti) e duduk (di tradizione armena). Episodi quieti e contemplativi si alternano ad altri più mossi e vitali, peraltro quasi sempre nel segno di quel circumnavigare terreni più o meno contigui che è uno dei caratteri primari del cd. Nel quale un autentica chicca è costituita dalla presenza, del tutto inattesa, di Storia d’amore di Celentano.

Sempre in tema di corde (per quanto qui decisamente “altre”), assai più numerose sono quelle della cordiera di un pianoforte, a cui passiamo senz’altro. Non prima di aver almeno citato un album che allo strumento-principe delle corde in quanto tali (sempre per numero), l’arpa, è interamente dedicato, cioè Trame (leggibile anche Tra Me) di Marcella Carboni, invero piuttosto all’acqua di rose (con spruzzate di elettronica), in cui, accanto a temi originali, compaiono pagine di diversi jazzisti nostrani e, in chiusura, Mi sono innamorato di te di Tenco.

Assolutamente pianistico, e anch’esso solitario, è invece uno degli ultimi titoli editi (quest’anno) da Blue Serge, Stilita del cremonese Roberto Cipelli, fedelissimo di Paolo Fresu, album di tratto per così dire jazzistico-colto, chiaroscurale, spesso descrittivo, mentre parte in solo e parte in trio si sviluppa Sturm und Drang (2010) del friulano Angelo Comisso, qua e là attraversato da una soffice danzabilità. Il più interessante lavoro di referente pianistico (ma in fondo di tutti quelli incontrati) è comunque Cor (del 2010, ma inciso, live, nel 2005), cofirmato dal portoghese João Paulo Esteves da Silva, appunto pianista, con gli svizzeri Claudio Puntin, multiclarinettista, e Samuel Rohrer, percussionista. Anche qui le inflessioni eurocolte (cameristiche, nello specifico) non mancano. Più in generale, vi si apprezzano il rigore, la concretezza vaporosa (non è un contrasto in termini), a tratti quasi solenne, la nitidezza timbrica, la costante non-ovvietà che alimentano un album veramente esemplare.

L’ultimo nato, fra i cd targati Blue Serge, è infine Diecistorie del tenorsassofonista (ma qui anzitutto compositore) vicentino Ettore Martin, che vi dirige un tentetto non di rado di umore a sua volta cameristico, però decisamente più virato verso climi jazzistici. Le cose migliori, sia quel che sia, arrivano proprio allorché ci si allontana maggiormente dal grande ceppo afroamericano, guadagnandone in originalità ed eleganza. Brani quali Girotondo, Jan, Azul Win stanno lì a testimoniarlo.          

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