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Foxy Lady Ascolta arriva a Milano

Quando si dice che qualcosa nasce dal “basso”, possiamo pensare subito a due cose. La prima è che dalle quattro corde del basso, dalla ritmica, può nascere una canzone (e gli ...

Corde e dintorni

È questo il filo conduttore della nostra puntata odierna. Ovviamente con i consueti “deragliamenti” dall’asse portante…

Oggi parliamo di corde (non pensate male…), archi in particolare, almeno in avvio, per poi svariare anche molto, secondo una peculiarità di questa rubrica. Ma decolliamo subito, con un album di violino solo, peraltro con ampi spazi elettronici. Ci riferiamo a Tra due mondi (autoproduzione) di Rino Adamo, il cui discorso creativo si fa sempre più individuale, in questo caso appunto in una dimensione che il massiccio ricorso all’elettronica amplia come prospettive, sonore ma non solo. Un’elucubrazione entro la quale l’ascoltatore deve avere la capacità di calarsi con un pizzico di complicità.

Questo nostro inizio non strettamente jazzistico prosegue (ma da quanto diversa ottica!) con un altro cd piuttosto monolitico, I Clown (Da Vinci) di Tiziano ed Enrico Guerzoni, alias GuerzonCellos, duo appunto tutto violoncellistico composto rispettivamente da padre e figlio (della serie giovani talenti crescono, ma anche i senior non sono male) in cui vengono tritati insieme brani dei due firmatari con Brubeck, Corea, Bill Evans, Metheny, Jobim, Zawinul, ecc., il tutto nel segno di un’effervescenza tecnico-interpretativa per più versi antitetico – appunto – rispetto al tono del cd precedente, per un ascolto spumeggiante e magari solo un po’ epidermico.

Ancora soli archi (tanti) nel nuovo lavoro di Federico Bagnasco, contrabbassista (fra gli altri) di Max Manfredi, che non a caso è coautore d metà dei diciotto brani che compongono il cd, Consort Music (NBB Records), che di fatto riduce a poco più di tre quarti d’ora le quattro ore di musica che sonorizzavano inizialmente l’audiolibro appunto di Max Trita provincia. Qui l’organico allargato, preziosissimo, offre grandi opportunità di scrittura, che peraltro si risolve in un’opera di estrema omogeneità, finemente cameristica, grande prova di raggiunta maturità.

Venendo alla formula degli archi plus, eccoci a Thinking Sketches (Caligola) del chitarrista bergamasco Alberto Zanini, lavoro in quintetto con viola, cello, clarinetto e batteria dalle geometrie ottimamente oliate e dai raffinati impasti timbrici, non senza qualche opportuna zampata, chitarristica e non. Arriva da appena più in là (Brescia) Francesco Baiguera, lui pure chitarrista, che in Post Jazz Chamber Music (Aut) dalla porta cameristica rientra nel grande alveo jazzistico (come già Zanini, del resto, però con una maggiore corporeità, peraltro sempre calibrata), in quartetto con violino, sax e contrabbasso (e senza batteria). Ottimo intreccio fra scrittura e gesto contemporaneo (sempre piuttosto sorvegliato) per un disco di grande pregio.

Il trio Saetta Francesca Bolognini, alias Triapology, recupera per parte sua in Iridescent (Tuk) la batteria, abbinandola a sax alto e – ancora – chitarra, più effetti vari. Il risultato è un disco fresco, al passo coi tempi, non esente da inflessioni funky, ponte ideale per un altro trio (quello classico, almeno nelle geometrie, chitarra/basso/batteria) guidato, sempre su Aut, dal modenese Luca Perciballi in Approximately Grids with a Plan, presentato in anteprima all’ultimo ParmaFrontiere (foto in alto). Tutti del chitarrista e leader i sette pezzi, peraltro frutto dell’ideale interplay con i suoi due Andrea-partners, Grossi e Grillini, per un disco vitale, mai prostrato dinnanzi a una formula pur molto trafficata, creativo e concettuale il giusto.

 

Più fosco nelle tinte, e magari un po’ più dispersivo nel procedere, ci appare il pur originale Le quattro verità (Dodicilune) del quartetto, molto a corde (tre, più batteria ed effettistica varia), Crispino-Gallo-Pighi-Zorzi, incline ad atmosfere melmose, scure, destabilizzanti, fascinose quanto fin troppo univoche, ciò che in fondo riguarda, sempre su Dodicilune, però saltando decisamente in altro contesto e con tutt’altre valenze, anche Monkish, primo di tre cd dedicati ad altrettanti pianisti di cui ci occupiamo ora (qui, ovviamente, Thelonious Monk), nello specifico a firma dell’Armaroli-Schiaffini 4tet, solo un cordofono (il contrabbasso di Giovanni Maier) e per il resto vibrafono, trombone (i due leader) e batteria. Disco bellissimo, molto gratificante, vuoi per il peso specifico dei temi, vuoi per come i quattro sanno cavalcare queste autentiche icone del songbook jazzistico. Salutare, persino terapeutico.

Il secondo pianista oggetto di tributo è Mal Waldron, storico sodale, su tutti, di Billie Holiday e Steve Lacy, cui un sestetto con Cristina Mazza, Sean Bergin, Daniele D’Agaro e Bruno Marini alle ance, più J.J.Avenel e Sangoma Everett a basso e batteria (diversi di loro hanno incrociato lo strumento col dedicatario) rese omaggio nel 2007, omaggio che trova oggi posto in Celebrating the Music of Mal Waldron (Caligola), vitale e disinibito viaggio attraverso nove temi del grande pianista, scomparso nel 2002. Una ripassata quanto mai opportuna attorno a un musicista forse non ricordato quanto meriterebbe.

A Cecil Taylor, volato via poco meno di quattro anni fa, è infine dedicato 2 Blues for Cecil (Tum), firmato congiuntamente dal nostro Enrico Rava (foto sopra) con Andrew Cyrille e William Parker, storici men tayloriani. Qui il processo è però diverso: Taylor fu soprattutto performer, uomo-musica di testa e di corpo, ma soprattutto di presenza, e i tre musicisti gli dedicano un lavoro lontano dalla sua musica, con temi propri (di Rava due) più un gruppo di improvvisazioni collettive, però molto educate, composte (almeno nella maggior parte dei casi), e ciò nonostante efficace, musicalmente ricco.

Un altro pianista – perché è per questa via che ci siamo ormai diretti – il nostro Fabrizio Puglisi, duetta a sua volta con un guru dell’avant-jazz, il batterista tedesco Günter Baby Sommer, in Elements (Aut), una manciata di brani incisi fra 2013 e 2016 (fra cui una medley monkiana e per il resto soprattutto libere improvvisazioni a quattro mani), con una sorta di reciproco pudore che, pur entro un certo gusto per il divertissement, li accompagna per quasi un’ora di musica tirata e – verrebbe da dire – cordiale.  

Sempre in duo, entrambi più per bene, prudenti, e sempre attorno a un pianoforte (nonché su etichetta Da Vinci), si svolgono i successivi due album di cui ci occupiamo. Il primo ci dice fin dal titolo, Hands & Mallets, che il secondo strumento è un vibrafono (più marimba: Marco Pacassoni, con al piano Enzo Bocciero), lungo itinerari ottimamente costruiti, anche se a volte lievemente ingessati, e comunque formalmente ineccepibili, ricercati e del tutto credibili, come del resto nel secondo cd, Bordo fiume, con Daniele Labelli al piano e Alessandro Turchet al contrabbasso, cd appunto speculare, per aplomb formale e puntuale ricerca sulle strutture. Nessun volo magico ma buon gusto da vendere.

 

Turchet ritorna in Orfani (Caligola) del pianista friulano (ci si muove tutti lì intorno) Claudio Cojaniz, in quartetto con raddoppio percussivo, album solido, ottimamente confezionato, scorrevole quanto corposo, sempre vigile, che c’introduce all’ultimo titolo in scaletta, Different Traditions (Da Vinci), album parecchio fuori dagli schemi firmato da Dissòi Lògoi, trio di famelici polistrumentisti – Alberto Morelli, attorno alle tastiere, Franco Parravicini, alle corde, e Federico Sanesi (foto sopra), alle percussioni – rimpolpati da una moltitudine di ospiti (fra cui Mario Arcari, Eloisa Manera e Paolo Fresu) lungo brani (dieci) e spezie della più varia matrice, a volte persino con un pizzico di dispersività, ma sempre avvincenti, spesso sorprendenti, imprevedibili. Insomma col pepe che rende viva la musica. Nonché l’arte tutta.  

Foto di Alberto Bazzurro.

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