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"Fare la musica" - Mauro Pagani

Il mondo della Musica vive oggi una stagione difficile come mai, in cui tutti i sentieri e le mansioni, i supporti e le possibilità sono messi a dura prova. Nella scossa incertezza generale, seduti sulla conca bassa dell’onda lunga in atto, in questa nuova rubrica proviamo ad analizzare la situazione con chi sta dietro le quinte, con chi cioé la Musica la fa, ne scrive, la comunica, la pubblica: un musicista, un giornalista, un discografico, un ufficio stampa, un manager, un editore, un promoter e via così. Riflessioni, interviste e rifrazioni a cura di Giorgia Fazzini.



«Il mestiere del musicista è in via d’estinzione». Questa è la verità, proprio ora che invece l’abbaglio è più forte. Da un paio d’anni la musica pare esser tornata sulla cresta, sbuca in tutti i loghi e slogan... qualcuno dev’essersi ricordato, complice Ipod&Co., che la gente, specie la pregiata categoria del “consumatore giovane”, passa la sua giornata immersa nelle note. E nel cuor suo sogna di fare il cantante o mal che vada di starci assieme. Ma in tutto questo rimpallarsi di abbigliamenti, tecnologie, concorsi, trasmissioni, social-network dedicati agli esordienti, meglio ancora se giovanissimi, per nulla formati e senza contratto (ma guardampo’..!), mentre si sparano fuochi d’artificio che promettono successo ricchi premi e cotillon, il mestiere che dovrebbe seguire questi primi – pare  interessantissimi – passi, il percorso professionale cui dedicare la propria vita e relativi sforzi, invece, non se lo fila nessuno. «Ci estingueremo come i panda, se non succede qualcosa di importante a breve, a cominciare dall’insegnamento della musica obbligatorio nelle scuole».


Altrimenti, vista la slavina? «Tornare ad un aureo dilettantismo: meno devi mangiare e meno sei ricattabile. Questa è una professione che uno deve fare solo se davvero non ha scampo, perché devi avere la forza di sopportare la condizione del cane non tutelato da nessuno, senza una categoria di lavoratori riconosciuta. Non è un mestiere da intraprendere per svoltare e se sei bravo vieni fuori lo stesso. E “bravo” non è solo saper suonare, ma avere e usare la testa, la capacità di mediare». Un po’ come nella vita: bisogna saper stare al mondo. E con la messa in vendita come la mettiamo? «Abbiamo sicuramente lasciato ogni tutela nelle mani del mercato – che non sarebbe nemmeno male, se non fosse che occuparsi di musica è una professione che richiede una conoscenza; e invece si ha a che fare quasi sempre con gente che, siccome ha ascoltato un disco in vita sua, pensa di capirci di musica. E questo a cominciare dai discografici».

Inevitabile finire sulla famosa “crisi del disco”. Quando forse, più che continuare a prendersela col disco in sé, varrebbe magari la pena ridargli dignità e senso distinguendolo dal supporto con cui le varie stagioni lo divulgano, e piuttosto concentrarsi sul rapporto perverso con la discografia, a cui tutta la filiera dei lavoratori musicali (musicisti, manager, giornalisti, organizzatori...) si è sempre appesa, prima quando andava bene così come ora, che invece va a fondo. Con lei sempre tutti appresso, tutti che la prendono a calci restando però, terrorizzati dalla fine, aggrappati ai suoi fianchi in dismissione. «L’intero sistema è stato costruito a piramide sul fare un disco ogni due anni, e nel frattempo l’oggetto disco ha perso il rispetto degli acquirenti come di chi li fa. Un gioco al ribasso sulla qualità che porta la gente a pensare che non stiamo lavorando, e questo perché tutti abbiamo lavorato male».

E l’altrettanto famosa esplosione delle etichette indipendenti, se i ragionamenti restano i medesimi, non cambia lo stato dell’arte. «Oggi chiunque fa un disco, i ragazzi si esprimono utilizzando tecnologie a basso costo e le etichette spesso diventano appendici dei musicisti, ma comunque senza distribuzione né promozione. Anch’io ne ho aperta una, ma mi serve per tutelare il mio materiale: è un’etichetta difensiva, sto sul Piave». La tecnologia aiuta eppure al contempo ha l’effetto di un’esondazione incontrollata di gente chiusa nel suo studiolo casalingo fra convinzioni limiti e paure, mentre le grandi botteghe del mestiere chiudono... «Gli studi di registrazione professionale al momento sopravvivono, e sono felice che sia così, perché ci vuole maestria, si può imparare solo con chi ne sa più di te». Come s’impara sul palco, e qui sta la seconda, e più grave quanto ignorata, crisi in atto: non si riesce a suonare più, figuriamoci se non ti conosce nessuno. «Non a caso siamo il Paese più conservatore d’Europa. Il problema della scomparsa dei locali in cui farsi le ossa è grave: non serve solo a farsi conoscere e a guadagnare quel poco, il musicista si fa sul palco, lì si provano e sistemano velocità, ruoli, abilità».

Di occasioni per crescere ce ne sono anche altre, più sommerse. «Io prendo i lavori quando sono occasioni per imparare e approfondire qualcosa, sono un ladro curioso. Così mi occupo delle direzioni dei festival e ho fatto il produttore, che ora accetto solo se ne vale veramente la pena, perché non ho più cuore per confezionare prodotti. Ma è un discorso che vale anche per la pubblicità, che nel darti da mangiare ti insegna nel giro di pochi secondi ad essere sintetico e cosa funziona e cosa no. E questo poi ad esempio ti serve nelle colonne sonore, in cui il pezzo è meno importante della sua funzione». Cambiano le situazioni e i risultati, insomma, ma resta... «...che fondamentalmente sono solo un musicista che ha cercato di capire quello che faceva. E che suonare è l’unica cosa che mi mantiene vivo».



Mauro Pagani, motorino infaticabile, marchio di qualità e nume tutelare della musica italiana trasversale a generi e generazioni, è musicista, produttore, compositore, direttore di festival, autore di spot e colonne sonore, nonché proprietario delle Officine Meccaniche di Milano, uno dei più importanti studi di registrazione del nostro Paese. Fra le esperienze: PFM e “Creuza de Ma” e “Le Nuvole” con Fabrizio De Andrè. A breve sarà in libreria con un romanzo.


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