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La nuda voce di Blasco

L’altra metà del cielo

Teatro alla Scala – Milano

31 marzo – 13 aprile 2012

 

Coreografie di Martha Clarke

Musica di Vasco Rossi

Orchestrazione di Celso Valli

Drammaturgia di Vasco Rossi

Assistente alla drammaturgia Stefano Salvati

Scene di Robert Israel

Costumi di Nanà Cecchi

Luci di Christopher Akerlind e Marco Filibeck

Video di Stefano Salvati

 

 

La scena è completamente stilizzata. L’altra metà del cielo è un balletto chiuso in una stanza del tutto riconoscibile, con pareti e porte che ne rappresentano i limiti spaziali; pochi oggetti, ben costruiti, richiamano un ambiente che i testi di Vasco Rossi, dal carattere alle volte metaforico, evocano nella mente di chi ascolta e guarda. Un divano e un lenzuolo steso a terra, infatti, sono sufficienti per indicare un viaggio e la direzione di un percorso. Tre personaggi, tre figure di donna diverse Albachiara, Silvia e Susanna, interpretate rispettivamente da Sabrina Brazzo, Stefania Ballone e Beatrice Carbone, vengono rappresentate in quattro momenti della loro vita: l’adolescenza, la maturità, la crescita e l’abbandono. Esse evocano solo con il gesto, secondo il metodo della coreografa e regista teatrale Martha Clarke, tutti i luoghi di un’azione che abita il Tempo, i quali, con grande rapidità, vengono letteralmente creati attorno alle tre protagoniste. Claudio (Andrea Volpintesta), Mario (Antonino Sutera) e Fabio (Matteo Gavazzi) sostengono con bravura i quattro momenti del racconto riuscendo a differenziare ciascuna parte in modo scenicamente convincente.

L’altra metà del cielo è un viaggio nell’universo femminile, ci dice Martha Clarke, lungo il filo tessuto da tredici canzoni di Vasco Rossi, che racconta con queste parole lo spettacolo in scena al Teatro alla Scala di Milano: «È onirico, i tre personaggi femminili vengono accompagnati in un percorso suggerito dalla musica, ma anche analitico, suggerito dalla forza della parola, emotivo e sentimentale. Ho voluto immaginare l’evoluzione interiore delle eroine storiche delle mie canzoni, da Albachiara, Silvia, Susanna a Gabri, Giulia, Jenny, Laura, Sally nel percorso della loro vita.  Le tre protagoniste all’inizio sono tre adolescenti, Albachiara romantica e sognatrice, Silvia curiosa e peperina e Susanna decisamente la più sfrontata e libera. Nel loro percorso di vita alla fine una rifiuterà la realtà e diventerà Jenny (“è pazza”), un’altra sceglierà la famiglia e sarà Laura (che “aspetta un figlio per Natale”) e l’ultima resterà indomita e sarà Sally. In mezzo ci sono Incredibile romantica, Anima fragile, Brava, Brava Giulia, Delusa, Gabri. È un racconto per immagini, lo spettacolo è composto da quadri espressionisti che lasciano molto spazio all’immaginazione. Come fanno le canzoni: per me hanno un significato, per te un altro.» 

La coreografa e il musicista hanno varcato, per la prima volta, il tempio della lirica e del balletto milanese senza essersi mai incontrati: «Non ci siamo mai visti – afferma la Clarke – è stato l’imprenditore Antonio Gnecchi Ruscone (uno dei più importanti produttori e distributori di danza a livello internazionale N.d.R.) a propormi, a New York, questa bella opportunità ma l’idea del progetto è di Rossi e del suo assistente Stefano Salvati». La Clarke ha accettato la proposta, pur senza conoscere Vasco Rossi e il suo mondo, seguendo semplicemente il suo indomabile desiderio di sperimentare. L’esordio scaligero le pare simile ad un’epifania; prima d’ora non aveva mai lavorato con una compagnia di balletto, non ha mai creato per dei ballerini accademici. Vasco Rossi ha smesso i panni di rockstar idealizzata e grandiosa, abbandonandosi come le sue tre protagoniste. La direzione orchestrale di Celso Valli ha proceduto ad una decostruzione e rivisitazione del corpus di brani scelti da Vasco Rossi mettendone in luce la sola struttura fatta di melodia e testo, provando a fonderli con le suggestioni dei grandi compositori del Novecento e della fine dell’Ottocento, quelli più vicini alla musica tonale e alle canzoni, utilizzando l’orchestra sinfonica nell’ampia varietà degli aspetti timbrici. 

Le diverse metodologie poste in gioco concordano nell’idea che la Bellezza si risolva nella perfezione di un gesto fine a se stesso, che si nutra di vuoto e di spazi bianchi, capaci di scandire ritmi e muovere significati nella poesia dei testi di Vasco Rossi. Bellezza che non è un’entità astratta, ma risplende nei movimenti classici, nella grazia e sensualità che trasmettono i corpi quando danzano, nei segni lasciati dal travaglio del diventare o nella caducità di un fiore o di una farfalla, immagini scelte da Stefano Salvati e proiettate al di là delle porte, che riecheggiano la nostra stessa fragilità. 

La relazione tra parole e musica ultimamente non può non aver posto delle domande al Nostro cantautore, anche alla luce delle motivazioni per i diversi riconoscimenti ricevuti nel corso degli ultimi dieci anni circa della sua carriera. Consacrato “poeta del rock”, secondo le parole di Fernanda Pivano, la cui musica è caratterizzata da “uno stile espressivo, unico e insuperato” (dalla motivazione alla laurea Honoris causa in Scienze della comunicazione dell’Università IULM di Milano, ricevuta nel maggio del 2005), progressivamente si è assistito ad una sorta di formalizzazione della sua produzione artistica, diventando, per così dire, quasi di maniera e “plastificata”. La sua musica riorchestrata con un suono classico, la drammaturgia dell’opera da lui scritta e la coreografia della Clarke che, una volta superata l’esperienza dei Pilobolus, il famoso gruppo nato dall’estro di Moses Pendleton e Jonathan Wolken, si è sempre fatta largo nel non facile mondo del teatro americano, perseguendo una linea raffinata e di ricerca, sempre in bilico tra danza e parola, azione e movimento, testo e indicibile gestualità, ha rotto quell’involucro soffocante. L’esperienza vissuta e quanto il pubblico può farne propria in Teatro, sono l’espressione di una necessità di ritrovare nuove forme in cui quelle stesse canzoni e visioni, facciano risentire il loro valore, la loro energia e cogliere nuovi significati.

In discussione è anche la scena sulla quale fino ad oggi Blasco ha regnato, la sua stessa presenza sui palchi degli stadio quasi fosse un magnete potentissimo. Questa volta la scena riguarda la sua “anima fragile”. L’Io cantante diventa Io narrante; Vasco Rossi è presente sul palco del Teatro nella sua assenza fisica. La sua nuda voce, senza l’appoggio di alcuno strumento, introduce la seconda parte del balletto: «E tu/ chissà dove sei/ anima fragile/ che mi ascoltavi immobile/ ma senza ridere» (Anima fragile). Il filosofo contemporaneo Jean-Luc Nancy sostiene che “l’uomo è l’animale che conosce la nudità” anche se non è mai del tutto spoglio; “è essenzialmente nudo, vale a dire svestito ed esposto”. Questo non significa solo affermare che l’uomo è in questo senso “fragile, vulnerabile, bensì è dire che la sua esposizione, la sua maniera d’essere messo allo scoperto è costitutiva del suo essere. La nudità non è altra cosa che l’espressione dell’eterogeneità. Ben lontana dal costituire una riduzione alla comune condizione, essa toglie i mezzi del rapporto per mettere a nudo i termini del rapporto”.

Paradossalmente la nudità non implica che, con il cadere delle barriere fisiche, dei segni che l’uomo indossa, così come delle parole, il rapporto con l’altro si fa più diretto, intimo, al contrario il corpo nudo si ritira dal rapporto. Questo è proprio il caso del corpo inteso come oggetto di desiderio e del suo toccare “vale a dire di questo senso e di questo atto che avvolgono i più costanti interdetti di tutte le culture”. Non si è mai del tutto nudi se la nudità è intesa come un “aprire su una successione indefinita di denudamenti, così come nel senso in cui c’è sempre un’altra nudità sotto quella che si presenta, come pure nel senso in cui il corpo, una volta che è denudato o lasciato denudare, chiede di nuovo la nudità e la sua eccitazione[1]” che è strettamente legata all’essenza della vita. 

La scelta di Vasco Rossi di abbandonarsi alla danza per esprimere il concetto di una canzone, colpisce per la sua appropriatezza. L’altra metà del cielo è un viaggio nella psiche prima di tutto dell’autore stesso e, come tale, è un’operazione artisticamente coraggiosa di svelamento di sé.

Martha Clarke sembra fare sua anche la filosofia della danza di Kazuo Ohno (maestro del teatro giapponese post atomico del Butoh, letteralmente “battere i piedi per terra”) che ritiene che la danza sia forma dell’anima, oblio della propria identità: “Piuttosto che pensare, prova a farti trasportare”, e riesce a rappresentare in modo suggestivo con i corpi in movimento l’estrema vulnerabilità del teatro interiore dei nostri vissuti “in equilibrio sopra la follia” (Sally) e di quella “voglia” di vivere che se non ha un senso, certo ha un “bel rumore” e spira come un “bel vento[2](Un senso). 

 

 


[1] Jean-Luc Nancy, dalla Lectio magistralis tenutasi il 17 settembre 2011 nella Chiesa di San Carlo a Modena

[2] Le frasi dai testi delle canzoni sono state tratte dal sito ufficiale di Vasco Rossi, www.vascorossi.net

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