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Me la suono e me la edito…

Se la suonano, e a volte se la cantano, anche. Soprattutto se la producono, la loro musica, su etichette create ad hoc. Ne incontriamo alcune. Scoprendo che battono sentieri spesso impervi e prediligono l’incisione live, le situazioni “senza rete”, il duetto e il quartetto.

 

In fondo si tratta di tre sole lettere, e il nostro titolo si trasforma nel fatidico “me la suono e me la canto”. Cioè: faccio tutto da me. Oggi ci occupiamo infatti (non è la prima volta) di etichette gestite direttamente dai musicisti, fenomeno, nel jazz, assai diffuso. La più nota fu la Debut di Mingus & Roach, mentre oggi la palma tocca senz’altro alla Tzadik di John Zorn, molto calata nell’universo ebraico, tra i musicisti sempre ben saldo (Caine, Feldman, Bernstein, Bergman, ecc.). Anche in Italia, tanto che il sax-clarinettista romano Gabriele Coen ha pubblicato su Tzadik il suo ultimo Cd, Awakening, col quintetto denominato (non a caso) Jewish Experience, dieci brani (per lo più di Coen) di chiaro referente ebraico, innervati da una palpabile danzabilità, pur con avventurose impennate nell’universo improvvisativo.

Passando in casa nostra, partiamo dalla friulana Setola di Maiale, che fa capo al flautista Massimo De Mattia (foto in alto), che può contare su preziosi collaboratori, a iniziare dal chitarrista Denis Biason. I due hanno realizzato di recente Duel 2, loro secondo tête-à-tête, in bilico fra astrazione (di fatto prevalente) e grumosità, sempre dall’alto di un acume architettonico e un interplay invidiabili. In quartetto (quello di De Mattia, completato da Bruno Cesselli al piano e dal notevole percussionista sloveno Zlatko Kaucic) è invece Atto di dolore, cinque brani anch’essi divisi fra momenti più cameristici, ora scuri ora quasi elegiaci, e aperture più nervose e vitali, a tratti persino turbinose. Ci sono poi gli artisti “ospiti”, tipo i quattro firmatari – MaryClare Brzytwa, voce e flauto, Nicola Guazzaloca, piano, Edoardo Marraffa, sax tenore e sopranino, Francesco Guerri, violoncello – dell’ottimo From the Tale of Pigling Bland, cd del tutto senza rete attraversato da uno sperimentalismo denso, spesso cacofonico, a tratti crudo, sempre sapiente. Una delle sorprese dell’anno. Improvvisazione totale anche in Seis episodios en busca de autor, live argentino del duo formato dal sopranista (lui pure argentino) Pablo Ledesma e dal chitarrista cremasco Enzo Rocco, la cui ideale quintessenza, con i suoi saliscendi emotivi e climatici, può esser colta nel conclusivo Bellas artes, di quasi un quarto d’ora. Tutti e quattro i dischi sono stati incisi fra dicembre 2008 e novembre 2009 e editi negli ultimi mesi.

Rocco e Guazzaloca c’introducono alla stazione seguente, in casa Amirani, il cui anfitrione è il pavese Gianni Mimmo, sopranista come quel Lol Coxhill – inglese, un’istituzione in materia – che appunto con Rocco firma Fine Tuning, breve live (un solo brano, poco più di mezz’ora) goriziano del novembre 2008 condotto nel segno di un dialogo serrato tra il suono sfrangiato, dinoccolato (ma così suggestivo) di Coxhill e le “ragnatele” chitarristiche. Buono a tratti. Notevolissimo, per parte sua, The Shoreditch Concert, live londinese dell’ottobre 2009 in cui Guazzaloca e Mimmo interagiscono con Leila Adu,voce neozelandese, e Hannah Marshall, cellista inglese. Di fatto gemello (non solo per organico) di “From the Tale…”, il Cd sfoggia un invidiabile nitore timbrico, un perfetto equilibrio tra le forze in campo, grande intelligenza nel gestire anche qui un situazione “senza rete”. Ottimo, su analoghi tracciati, anche Flatime dell’ElectroAcousticSilence, altro quartetto in cui spiccano la tromba di Mirio Cosottini, altro talento da tener d’occhio, e le doppie ance di Alessio Pisani.

 



Passando oltre, eccoci a una doppia etichetta: la londinese Slam del sassofonista George Haslam e la Silta del bassista genovese Giorgio Dini. I quali hanno unito le forze, come performer e produttori, in Freedom¸ nuovo Cd del violinista Stefano Pastor (foto qui sopra), lui pure genovese, come del resto Claudio Lugo (sax soprano), che completa questo ennesimo quartetto. Sono sette movimenti, le cui iniziali formano il titolo della suite (FREEDOM, appunto), più un bonus track a sé (Freedom), in un ambito che potremmo definire camerismo post-free. La sola Silta produce poi altri due Cd, entrambi in duo. Il primo, Bows, vede ancora Pastor accanto a Kash Killion, violoncello e sarangi (cordofono indiano), in un clima virato verso l’etnico. Fra i quattro originals (più due riletture monkiane), spicca Shanti, in cui Pastor si sovrincide anche su flicorno e percussioni, generando un clima di grande dinamismo, suggestivo e speziato. L’altro Cd, Rainbow Inside, vede invece abbinate, in improvvisazione totale, la voce (e il piano) di Marilena Paradisi e la chitarra di Arturo Tallini. A ispirarli gli acquarelli di Alessandro Ferraro.

Passando a etichette a gestione collegiale, eccoci all’Improvvisatore Involontario, che fa capo all’omonimo collettivo, in particolare al batterista siculo-bolognese Francesco Cusa (foto sotto), che per esempio in Skinshout - Caribbean Songs duetta con Gaia Mattiuzzi, voce e live-electronics, con in più, in tre brani, un secondo percussionista, Dario Defilippo, mentre è alla testa di Skrunch in Jacques Lacan, A True Musical Story, sorta di LP post-litteram, con due sedicenti sides, la A in sestetto (acustico), la B in quartetto (molto elettronico), ancora con Defilippo e Mattiuzzi, oltre, fra gli altri, a Beppe Scardino e Paolo Bittolo Bon ai sassofoni e Paolo Sorge alla chitarra. Il risultato complessivo è ragguardevole, per una musica diretta (anche se di tono scuro, “urbano”, vien da dire), corporale, a tratti ruvida, vociferante. Ancora Sorge dirige in Tetraktys un singolare quartetto di sole chitarre, che si rincorrono e s’intersecano fitte quanto geometriche. Chiude il poker delle ultime uscite I.I. Torre Aquila, Dvd firmato da Emilio Galante per le musiche e Fabrizio Varesco per la parte video. Vi opera un nonetto squisitamente cameristico-contemporaneo, con Markus Stockhausen tromba solista, in una sorta di neo-Quattro Stagioni in cui  la musica affianca vedute degli affreschi del Castello del Buonconsiglio di Trento.

 



Sempre a Bologna agisce il Collettivo Bassesfere, con relativa label, che in Laiv documenta finalmente l’attività del notevole trio fra il pianista, siculo-bolognese come Cusa, Fabrizio Puglisi e gli olandesi Ernst Glerum, contrabbasso, e Han Bennink, autentico totem del jazz europeo, alla batteria. Il Cd, inciso (ovviamente live) a La Palma di Roma, è bellissimo: tra improvvisazioni e rivisitazioni da Monk (due), Ellington e Jimmy Rowles, i tre si muovono sempre sul filo di un rischio elevato quanto calibrato, con esiti coinvolgenti, densi, vitali. Un disco esemplare; così come esemplare – passando a un’etichetta non autogestita, ma da citare perché neonata (da una costola della Splasch), la Pus(h)in – è Una frase un rigo appena del trentacinquenne oboista e pianista ravennate Christian Ravaglioli, undici brani con organici tutti diversi (dal solo al settetto, con, fra gli altri, John De Leo e Achille Succi) dove la composizione gioca un ruolo nodale. Impianto e tono, in effetti, sono ben più contemporaneo-colti che jazzistici, con sorprese continue, timbriche preziose, grande intelligenza. Un nome da tenere senz’altro a mente, quello di Ravaglioli. Per il quale ha parole di plauso, nel booklet, proprio quel John Zorn con cui aprivamo l’ odierno “arcipelago”. Che ora, specularmente, chiudiamo.

 

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