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Quasi come Totò

Attraverso e intorno alla riapertura del Jazz Club Cuneo, compiamo un’immersione nella realtà artistico-culturale della città, che non è fatta di solo jazz, né ovviamente di sola musica. Anche questa è la nostra idea di “arcipelago”… 


Il rimando del titolo odierno è duplice. E concatenato: parte dall’album con cui nell’88 Guccini intese riproporre certa sua produzione sessantottina, intitolandolo, visto che nel frattempo erano passati vent’anni, “Quasi come Dumas”. Anche noi, oggi, parliamo di anni, oltre che del Totò del titolo, una delle cui battute più famigerate è certo quella della celebre scena del vagone-letto (“Totò a colori”) in cui, rivolgendosi all’altrettanto famigerato onorevole Trombetta (in Bocca, ça va sans dire), il De Curtis chiosa “Ma andiamo, io sono un uomo di mondo! Ho fatto tre anni di militare a Cuneo!”.

Anche il vostro rubrichista, per l’attività che gli garantisce la fatidica pagnotta (non è lo scrivere di musica, no…), magari non di militare, ma un periodo analogo in quel di Cuneo se lo sta sciroppando. E in tal guisa gli è capitato di entrare in contatto con la vita artistico-culturale di una città peraltro già ampiamente masticata, imbattendosi, per esempio, nella riapertura del Jazz Club cittadino (via Santa Croce, città vecchia) e con esso in tutta la colorata fauna che gli gravita attorno.

La serata inaugurale, a fine settembre, era per cominciare dedicata alla gloria jazzistica locale, quell’Attilio Donadio di cui ricorreva il decennale della morte. Donadio, classe 1925, è stato uno dei sassofonisti storici del jazz italiano, uno di coloro che, la pagnotta, se la guadagnavano in primis “soffiando” nella sezione-sax (nel suo caso contralto) dell’Orchestra RAI. Accanto, magari, a Glauco Masetti, Gianni Basso (ancor più eminente gloria del jazz piemontese – nello specifico astigiano – mancato non più tardi di tre mesi fa) ed Eraldo Volonté (li vedete appunto in quest’ordine, da destra a sinistra, nella foto in alto). Donadio ha suonato fra gli altri con Gorni Kramer, Nini Rosso, Carosone, Trovaioli, ma nel corso delle non infrequenti puntate italiane dei mostri sacri del jazz anche con gente del calibro di Armstrong, Ellington, Benny Goodman, Gerry Mulligan, Chet Baker… Non va dimenticato.


Tornando al Jazz Club Cuneo, al mercoledì sera vi si svolgono più o meno infuocate jam sessions (vedi foto qui sopra) fra più o meno volenterosi strumentisti-improvvisatori (per il 3 dicembre è però previsto un nome di rilievo, il pianista genovese Riccardo Zegna), ma – soprattutto, verrebbe da dire – il locale è punto d’incontro di alcune delle più fertili personalità artistiche cittadine, anche fuori dall’ambito musicale. Regolari sono per esempio le mostre che fanno da scenario ai concerti. A gestirle è Guido Vigna, ceramista di forte tempra pittorica (su di lui ha realizzato un bel DVD Matteo Testa, figlio di Gianmaria, come noto a sua volta cuneese), nonché jazzfan di consolidata militanza. In verità, Vigna, è partito dal rock, passando poi al blues e quindi al jazz. Ex chitarrista ed ex sassofonista, non manca di lavorare ascoltando musica, svariando fra le “coperte di Linus” della gioventù e quelle nuove scoperte che ama sempre fare. Come ceramista, fra le sue specialità c’è il raku, antica tecnica orientale di ispirazione zen legata al rito del tè, il cui principale elemento è la tazza, simbolo di condivisione, nel suo passare di mano in mano. Tale pratica prevede che l'oggetto venga estratto incandescente dal forno, con un conseguente forte shock termico, e possibili mutamenti “in corso d’opera” (cromatici di sicuro), venendo in qualche modo a lambire la stessa estetica jazzistica, vista la sua componente di aleatorietà.

Parlando di cromatismi, Vigna è certo un maestro. Non a caso chiama i suoi pannelli in ceramica “quadri”. Produce ovviamente anche bassorilievi e sculture vere e proprie, ma è in effetti sotto il profilo cromatico-immaginifico che si esprime in toto, passando con disinvoltura dal figurativo all’informale (nella foto qui sotto vediamo l’opera Incontri). E bazzicando la sua casa-atelier, può accadere d’imbattersi in personaggi come Giovanni Gagino, pittore e scultore a sua volta di forte impatto cromatico (e materico), che con le sue ottantacinque primavere è un po’ il capostipite degli artisti cuneesi. Andrà sottolineato come anche lui, trasferitosi da qualche anno a Livorno, sia a sua volta jazzfan di lunga navigazione.


All’inaugurazione del Jazz Club Cuneo, Guido Vigna divideva comunque le pareti con suo cugino, Claudio Vigna, acquarellista di solidissima scuola grafica, una gran bella mano (evidente, fra l’altro, in lussureggianti tavole a fumetto) oggi indirizzata verso una produzione solcata per lo più da forme morbide, ondivaghe, di estrema eleganza. Sarà appena il caso di notare come anche lui sia un grande appassionato di musica, e di jazz in particolare.

A cavallo fra ottobre e novembre, il cartellone di Jazz Club Arte ha poi ospitato la mostra Città future della coppia formata da Aldo Galliano e da sua moglie Bruna Aimaretto, oggetti-totem del nostro tempo (lampade, aerei in miniatura, addirittura un lettore per CD…) sovrapposti a superfici pittoriche assolutamente inusuali, con esiti di notevole impatto. A partire dal 5 (e fino al 25) novembre, è ora la volta di Paola Rattazzi, pittrice-disegnatrice di spiccata impronta onirico-favolistica. E per il futuro, ne siamo certi, il Jazz Club cuneese ci riserverà altre sorprese. A cui, nel caso, non mancheremo di dar voce da questo pulpito.

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