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“Radiotrasmettere la musica” – Claudio Agostoni

Il mondo della Musica vive oggi una stagione difficile come mai, in cui tutti i sentieri e le mansioni, i supporti e le possibilità sono messi a dura prova. Nella scossa incertezza generale, seduti sulla conca bassa dell’onda lunga in atto, ad un anno quasi dalla partenza di questa rubrica (siamo alla decima puntata), proviamo a rifare il punto con Claudio Agostoni di Radio Popolare.           

Foto di Bossanostra

 

 

“Probabilmente la crisi nella musica è arrivata prima, sganciata da quella che avvolge tutta la società e legata alla crisi dell’industria discografica, imputabile come sappiamo all’incapacità di governare i tempi che stavano avanzando. In radio, per una realtà come Popolare Network, ha portato ad un quasi annullamento dei rapporti con la discografia. Resistono relativamente alla nostra attività live nell’Auditorium Demetrio Stratos: se c’è qualche gruppo da promuovere, c’è ancora la possibilità di veicolarlo. Ma il taglio dei budget riguarda anche le multinazionali del disco, che si sono concentrate su poche grosse realtà; noi che siamo in una posizione intermedia abbiamo quindi perso l’accesso ad un certo tipo di artisti, fatta eccezione per quelli che hanno sempre avuto rapporti interpersonali con Popolare Network”. Eppure, accollando tutta la colpa alla discografia, si rischia di sprecare l’insegnamento che una crisi può dare nel suo aprire gli occhi sulle diverse cause in causa. “Il discorso è legato alla mancanza di coraggio, un po’ su tutti i fronti, ognuno si prenda la sua parte di responsabilità. E per una volta partirei da quelli che suonano. Noi ad esempio abbiamo la trasmissione “Liberi Gruppi” che tutti gli anni seleziona nuove band da far suonare in vari festival. È sconvolgente - non trovo altre parole, con tutto il rispetto - che giovani che non abbiano ancora prodotto un disco si atteggino a “Parla con il nostro responsabile della comunicazione”. Io penso che un percorso sia invece una strada che va anche sudata, guadagnata, e goduta! Se uno si perde la gioia di andare a suonare davanti a duemila persone con una giuria di addetti ai lavori influenti, se non arriva neanche a capire cosa significa... Partirei da qui: la mancanza di entusiasmo; i lustrini che brillano all’interno di questa società hanno costruito un meccanismo perverso anche a livello di base”.

Responsabilità e meccaniche da condividere, da chi suona a chi fa suonare. Perché se non si crea esperienza, non si crea il futuro cioè il prossimo presente.

“A Milano, quando cerchiamo un luogo dove fare iniziative, la carenza di strutture è innegabile. Mancano le palestre in cui i musicisti si possano formare avendo un’interfaccia col pubblico. Sono fondamentali dieci-cento-mille locali come Spaziomusica di Pavia, che è un caso esemplare: posti anche decentrati, fuori dal cuore della grande città, dove però c’è spazio per suonare da Mauro Pagani in giù. Senza di questi non cresce né il musicista né il pubblico. I nomi su cui punta l’industria discografica sono invece sempre più vincolati al business televisivo, ed essendoci una dissonanza con quello che funziona in una piazza o in una cantina, purtroppo il cortocircuito è presto detto e fatto: un insieme di situazioni che si tagliano le gambe a vicenda”.

E nel cortocircuito s’apre la forbice, tenendo le estremità delle star che si mangiano gli unici soldi a disposizione e degli emergenti che nulla ancora costano, e lasciando così fuori i nomi medio-piccoli, ovvero la maggior parte dei musicisti.

“Col budget decurtato viene tagliata la fascia intermedia, quelli che sono usciti dall’anonimato ma che non sono ancora arrivati ad essere dei numeri uno, e che con quest’andazzo non lo diventeranno mai perché non ne hanno fisicamente la possibilità. Ora sarebbe ad esempio molto più difficile per un gruppo come gli Afterhours, che si sono costruiti per strada la loro carriera”. Le nuove tecnologie e internet a capo di tutto: se gli mp3 hanno sconvolto la discografia, le webradio possono arrivare a scompaginare il mondo delle radio tradizionali? “La radio è uno strumento che ascolti in macchina e in bagno, semmai in cucina. Quando avremo un’autovettura di serie con montata un’autoradio che ti consente di ascoltare anche le radio che arrivano dal web, allora se ne potrà riparlare. In una situazione ideale le webradio potrebbero avere il ruolo che le fanzine hanno svolto in passato: di stimolo e apertura di nuovi universi. In una situazione malata come la nostra, le ultime novità radiofoniche sono una più o meno piacevole colonna sonora, perché assolutamente carenti dal punto di vista dell’informazione. Finché, scanalando sull’autoradio, si sentirà la stessa sfilza di canzoni a prescindere dall’emittente che la manda in onda, non si farà molta strada. L’aria è grama quando l’unica radio che non si confonde con la precedente è Radio Maria perché lì fanno il rosario”.

Emittenti che si limitano a giustapporre brani, senza spesso nemmeno dirne il titolo e l’autore, e prive di contenuti. Suona un’eresia se si pensa a come la nascita delle radio indipendenti, e la musica da sempre, siano state veicolo speciale della realtà contingente e cangiante. Ma la crisi è il momento migliore e più utile per pensare ad futuro diverso. Nella musica il cambiamento deve arrivare dall’alto, a cominciare dall’istruzione e dall’iva (che ora, al 20%, equipara un disco ad un bene di lusso come un profumo), oppure deve salire dal basso, ripresa e ricostruita cioè dai primi che tocca?

“Dev’essere un mix delle due cose. È fondamentale portarci al livello dei paesi che ci stanno intorno, ritoccando l’iva e creando strutture ministeriali a sostegno e valorizzazione dei prodotti più brillanti. Detto ciò, se dovessi investire, io punterei ad una rinascita dal basso”.

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