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Un soffio di corde

Ancora una volta corde e ance a intersecarsi lungo un percorso frastagliato per tipo di organico (dal duo al quartetto), coordinate stilistiche, provenienza geografica, eccetera. Il tutto in quattordici tappe.

Non è una novità: già diverse volte abbiamo intersecato corde e ance per definire il percorso di questa rubrica (del resto ormai in piedi da quasi quattro anni). Lo facciamo anche oggi, evidentemente perché l’intersezione ci aggrada, e poi perché avremo così modo di passare in rassegna un bel po’ di album degni di nota (ben quattordici).

Partiamo con quella che è un po’ la regina delle corde, la chitarra, attraverso un lavoro che ne affianca ben due, senza accompagnamento alcuno. Ci riferiamo a Tandem Desàrpa (Fingerpicking) del duo Maurizio Brunod/Giovanni Palombo (foto in alto, da destra a sinistra). Ci sono larghe fragranze, un’assoluta propensione a far cantare lo strumento, attraverso composizioni equamente divise. E lo stesso Brunod torna come ospite in Kandinsky (Splasch), a firma di un altro duo, stavolta composto dall’arpista (corde a gogò!) Marcella Carboni e dal batterista/percussionista Massimo Barbiero. Anche qui prevale un dialogo docile e sorvegliato, che proprio la chitarra (per lo più elettrica) di Brunod, presente con generosità, contribuisce a increspare.

Un duo ancora tutto a corde, col violoncello di Redi Hasa, albanese, abbinato alla chitarra (rigorosamente acustica, qui) di Valerio Daniele, è al centro di Stagioni (Slam), album di palpabile ascendente classico (ma non per questo estraneo al jazz, s’intende) il cui pendant/allargamento può esser colto in Quiet Journey (Parco della Musica) del chitarrista Antonio Jasevoli (Chamber Project, non a caso), con Paolo Damiani al cello, più Fulvio Maras alle percussioni, aromatiche e timbriche almeno come in Kandinsky, e in alcuni brani le ance (eccole, ma è solo un assaggio) di Gianluigi Trovesi. Qui lo spettro espressivo è più largo, ma la preziosità di tratto tende comunque a prevalere.

Tale elemento caratterizza ancor più massicciamente – peraltro su un versante più avanzato, sperimentale – The Edge of Becoming (No Flight), notevole cd di un trio in cui sopravvive la chitarra (ma ben più effettata: Andrea Massaria), il cello lascia il posto alla viola di Mat Maneri, e c’è, per la prima volta, un pianista, Arrigo Cappelletti, cui si devono quattro dei sei brani in scaletta. Altrettanto notevole, sempre in un ambito squisitamente di ricerca, è Again – Live in Bruxelles (Amirani/Teryiaki) del Shoreditch Trio, vale a dire ancora piano e di nuovo cello (rispettivamente Nicola Guazzaloca e la londinese Hannah Marshall), più il sax soprano di Gianni Mimmo. Grande interplay e grande finezza. Concettuale senza essere mai ostico.

Sceso in campo il sassofono, eccoci ad aprire una sorta di secondo atto della nostra odierna pièce, da cui il principe delle ance non uscirà più. Ripartendo da un album in duo, Aire Libre (Crocevia di Suoni), in cui una corda, la chitarra classica dell’argentino Javier Pérez Forte, e un’ancia, i sassofoni (soprano e tenore) e il clarinetto di Felice Clemente, si fronteggiano in un tête-à-tête che, per inappuntabilità formale, rimanda in qualche modo a “Stagioni”, tanto quanto, al contrario, Spaghetti Jazz (CD Baby), di identica composizione strumentale (un chitarrista, Enzo Rocco, e un sassofonista, Rodrigo Dominguez, a sua volta argentino), però con in più una batteria (Hernàn Mandelman, pure argentino), è lavoro godibilmente ben poco tornito, a tratti quasi grezzo, con un serpeggiante, dinoccolato gusto popolaresco. E una certa grumosità, pur su un versante più downtown, para-rock, segna anche Swedish Mobilia (Leo), opera di un altro trio in cui il sax è però rimpiazzato da un basso (Dario Miranda), a comporre il classico (nella forma, almeno) triangolo con chitarra (Andrea Bolzoni) e batteria (Daniele Frati). Ancor più che in Spaghetti Jazz, non mancano le pennellate elettroniche.

Di nuovo sax (al posto della chitarra) per il più battuto fra i trii non pianistici (ovviamente, anche qui, con basso e batteria), protagonista di due album. Il primo è aljazZeera(Jazz Engine), dell’omonimo trio (foto sopra), album pieno e rotondo attraversato da umori variegati, come del resto il nome stesso del gruppo suggerisce. Il secondo è invece Tricycles (Parco della Musica), con Maurizio Giammarco (anche al flauto, più piano ed elettronica), Dario Deidda e il batterista americano John Arnold, disco a sua volta aperto a input diversi, dal funky al jazz più ortodosso. Fin troppo spinto su quest’ultimo filone, sino ad apparire anche un po’ stucchevole, è un altro cd targato Parco della Musica, Passport, dove i sassofoni (tenore e soprano) sono nelle mani di Pietro Tonolo, con prestigiosa ritmica internazionale in cui fanno capolino anche pianoforte e vibrafono, suonati a turno dai due batteristi, Jorge Rossy e Joe Chambers, con al basso Arnie Somogyi.

Un altro quartetto, però a doppia ancia (il firmatario del cd, Andrea Buffa, e il veterano Carlo Actis Datto, nella foto qui sopra al clarinetto basso), è protagonista dell’ottimo, per più versi sorprendente, 30 Years Island (Leo), album rigoglioso quanto calibrato, ricco ma mai sovrabbondante. E un altro cd targato Leo, Ulysses, rappresenta l’ideale approdo del nostro itinerario, visto che vede all’opera un altro quartetto (Mangia / Ladisa / La Volpe / Urso), decisamente multistrumentale, con – complessivamente – sax alto, violino, chitarra, banjo, contrabbasso, harmonium, voce, strumenti-giocattolo e altro ancora. L’insieme ha momenti più convincenti e altri magari un po’ tirati per i capelli, ma denota comunque una sete di ricerca che vorremmo trovare sempre in ciò che ascoltiamo. Meglio un disco imperfetto (e questo è comunque per larghi tratti ottimo) che inutile. Sempre.             

 

Foto di Alberto Bazzurro

 

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