ultime notizie

Nuovo album per Roberta Giallo, anticipato ...

Quante volte aprendo un giornale, che sia cartaceo oppure online, veniamo travolti da notizie di attualità, cronaca dai toni negativi che ci predispongono a un senso di smarrimento e depressione ...

L'Asino che Vola - RM

Avincola

Enzo Carella e Pasquale Panella: attenti a quei due.
Anzi no, parliamone. Cantandoli

di Alex Ciarla

Ieri sera, primo marzo 2024, si è si è tenuto a Roma il concerto che (Simone) Avincola ha dedicato al cantante romano Enzo Carella la cui musica da alcuni anni rivive attraverso quella di artisti contemporanei, spesso inconsapevoli di tale eredità. L’idea di omaggiare un artista che non ha avuto la visibilità che meritava è già di per sé una operazione culturale e solo per questo ad Avincola va tutta la nostra ammirazione e gratitudine. Carella non è più tra noi dal febbraio del 2017, dieci anni dopo la pubblicazione del suo ultimo album (“Ahoh Ye Nànà”), ma è a cavallo degli anni Settanta e Ottanta che la sua carriera si è espressa ai suoi massimi livelli (qui nella foto di apertura).

 

All’epoca, il progetto nato dall’idea di Marco Luberti, di affiancare al giovane cantautore esordiente alcuni membri dei Goblin, introdusse nel cantautorato italiano un inedito impasto di Funk e di Rock con venature Prog, paragonabile solo alle produzioni di Lucio Battisti di quegli anni. Parliamo della sequenza 1976-79-81.

Ma ancora prima che per scelte stilistiche, l’eredità di Carella consiste nella sua «anima pagliacciona». Quello spirito di leggerezza misto all’intelligenza e all’intuito musicale che riemerge (o vorrebbe emergere) in tutte quelle produzioni post-duemila che si rifanno alle sonorità degli anni ’80. Un’ironia talmente assurda da risultare sofisticata e questo si deve in parte anche ai testi di Pasquale Panella, poiché è proprio con Enzo Carella che l’enigmatico librettista dell’ultimo Battisti ha mosso i primi passi nel mondo della canzone. Ciò ha contribuito a rendere Carella un autore di culto tra i battistiani amanti dei così detti dischi ‘bianchi’. Il binomio Carella-Panella pone infatti l’eterna domanda se la canzone possa esistere (o resistere) a prescindere dal proprio testo. È il problema irrisolvibile della canzonetta: «l’alchimia del verso cantato»; quel misterioso equilibrio tra musica e parole che l’istituzione Siae risolve con la ripartizione dei ventiquattresimi a favore del compositore rispetto all’autore.

Carella canta parole apparentemente insensate ma estremamente immaginifiche che gli consentono di dipingere con voce scenari assurdi difficilmente esprimibili altrimenti. La voce prende quindi il volo consentendo all’ascoltatore di fruire della purezza della melodia e dell’intenzione musicale del cantante. Ciò che lega “uno dei più bravi cantautori della scena contemporanea” (Morgan dixit) ad Enzo Carella non è solo una questione di stile e di timbro vocale ironico e confidenziale ma anche il fatto di aver recentemente composto una canzone su testo proprio di Pasquale Panella. Infatti, lo stesso Avincola da poco ex-giovane (classe 1987), può fregiarsi di una collaborazione con il sommo librettista della canzone italiana. A maggio del 2023 ha pubblicato il brano Barrì (qui in alto la copertina) musicando un poemetto di Pasquale Panella, a sua volta composto in risposta ironica ad un poema più lungo di Marco Castoldi (Morgan, altro panelliano convinto) apparsi entrambi in ‘Parole d’aMorgan’ (Baldini & Castoldi, 2022). Il titolo si riferisce evidentemente al passato remoto del verbo in uso per indicare potente verso emesso dall’elefante, ma fra connessioni musicali (spartiti e cablaggi) Panella fa il “verso” alla poesia di Morgan: la rovescia immaginando un fiorellino perenne (una dalia) che barrisce a un elefante il quale si fa a sua volta vegetale. Come spesso accadde con Battisti, Panella si prende gioco sia di lui (il cantante) che dell’ascoltatore (e quindi di noi) rievocando quasi la solennità del monologo pronunciato dal replicante di Blade Runner (“E ho visto cose, che solo a dirle…”). Il tema è quello tutto panelliano della follia d’amore, del non capire più niente perché finalmente si capisce tutto, ossia che lei (il “tu” di ogni canzone d’amore) è l’unico senso. Regalandoci un finale universale nel quale tutti quanti, grazie all’amore, dispongono un tempo infinito.

Avincola declama i versi scandendoli, riorganizzandoli nello spazio e nel tempo su una melodia quasi monotonale che mantiene la tensione fino a quando una minima variazione tonale appare come liberatoria. Una canzone leggera che è pura canzonatura e quindi geniale sia nel testo che nella sua interpretazione. Perché Simone è una artista serio, uno che mette le mani in pasta e se le sporca. Due volte finalista di Sanremo (per quanto questo possa significare), vincitore di svariati premi di qualità e con almeno quattro album alle spalle. Uno in grado di passare dai grandi temi degli ideali (sull’esempio dei cantautori impegnati degli anni gloriosi) alle piccole cose della quotidianità. Infatti, Simone non ha rispettato l’obbiettivo dichiarato nel primo album del 2014 (contenente la bellissima e impegnatissima Lettera da Sant'Anna di Stazzema) il cui titolo è, ironia della sorte: “Così canterò tra vent'anni”.

 

Invece Avincola è uno che non ha paura di reinventarsi rimanendo sempre contemporaneo adattandosi ai mutamenti. Perché ogni epoca ha la sua poetica. Dopo una pausa di riflessione egli sembra aver deciso di sfruttare la sua voce naturalmente minuta, in continuo contrasto con la sensualità funkeggiante delle sue composizioni, per lottare contro la disillusione. Parlare dell’universale attraverso il particolare scegliendo come appiglio poetico gli oggetti della quotidianità. In Miami a Fregene del 2021 vi è, ad esempio, il tentativo evidente di trascendere la banalità quotidiana attraverso l’esperienza straordinaria dello stare insieme (“Miami Fregene è quasi lo stesso con te”).

Simone fa parte forse dell’ultima generazione cresciuta con la TV e sembra essersi dato il compito di reinventare un immaginario poetico per le generazioni successive. In Goal (sempre dall’album “Turisti” del 2021) il verso “che ne sai, che ne sai, magari faccio gol e vinciamo la partita” rimanda abbastanza facilmente al “ Vedrai, vedrai che magari cambierà…” di Luigi Tenco (1965) ma è cambiata l’intenzione. Tra modernità e post-modernità si è passati dalla disperazione ‘esistenzialista’ al tentativo ironico di sovvertire un destino apparentemente avverso. La poetica canzonettistica contemporanea sembra essere segnata da una accettazione del reale ma Avincola non si arrende e (come sempre ha fatto l’arte) continua a ricercare una via di fuga attraverso l’amore e il sogno. Come per Carella la sua cifra sono l’ironia e l’intimità. La fragilità del timbro della sua ‘voce fina’ (che poi non è fragile manco per niente: dal vivo è intonatissimo!) lo rende capace di esprimersi per contrasto garantendogli una efficacia inaspettata.

Ma veniamo ora al concerto con cui Avincola ha voluto omaggiare Carella che si è tenuto a Roma presso L’Asino che Vola, in via Antonio Coppi alla Caffarella (meraviglioso parco archeologico romano): un club che da ormai quindici anni è diventando un punto di riferimento per il cantautorato italiano di qualità. Non solo di quello, certo, ma di sicuro in quell’alveo L’Asino che Vola ricopre un ruolo di assoluta preminenza nella capitale.

 

Una ora e mezza ora di vera musica, locale sold-out (si stimano almeno 250 persone) per «un concerto prezioso, eseguito magistralmente» (parole di Maccio Capatonda, anche lui presente sul palco a fine serata per raccontare la propria passione carelliana). Quattordici brani, più un bis (ovviamente Malamore, primo singolo che ottenne un buon successo, uscito nel 1977) eseguiti in ordine cronologico pescando da ogni album. Eccetto stranamente uno. I maniaci avranno infatti notato la mancanza di un riferimento all’album del 1992 “Carella de Carellis” che riporta almeno un brano straordinario: Aspetta e S.p.a.”.

Dopo un breve filmato introduttivo che mostra Enzo Carella nella sua prima apparizione televisiva, iniziamo con Fosse vero, brano d’esordio uscito nel 1976 ed eseguito con sorprendente precisione, che prepara all’ascolto di una inedita versione reggae di Malamore e di una Carmè con l’aggiunta di una strepitosa coda in stile semi-jazz. Poi dall’album successivo del 1979, “Foto” (con assolo di batteria alla Vinnie Colaiuta eseguito da Luca Monaldi e una straordinaria quanto inaspettata ripresa dell’inciso alla fine) seguita dal brano preferito da Maccio Capatonda, Amara nel quale Avincola con ottimo tempismo accenna un assolo di chitarra. La straordinaria Parigi per la quale sale sul palco Maurizio Guarini - all’epoca tastierista e arrangiatore dei primi due dischi di Carella:  “Vocazione” (1977) e “Barbara e altri Carella” (1979) - risulta essere forse il brano più amato dai seguaci carelliani (qui Guarini e Avincola in una foto di repertorio). Chiude la sequenza di questo primo blocco la mitica Barbara con la quale un assurdo Carella si presentò a Sanremo ’79. Parliamo di musica suonata all’epoca da giovani di appena 24 anni: Enzo Carella voce e chitarra, Fabio Pignatelli al basso e Agostino Marangolo alla batteria e 22 per Guarini.

 

La band che accompagna Avincola non solo si è dimostrata all’altezza di questi mostri sacri ma in alcuni casi, specialmente per la produzione degli anni Novanta e Duemila, il confronto si è sbilanciato a suo favore. Meritano quindi di essere menzionati i musicisti presenti sul palco: Toto Giornelli al basso, Edoardo Petretti alle tastiere e il già citato Luca Monaldi alla batteria.

La serata è proseguita con l’album del 1981 prodotto per la RCA italiana dal grande Elio d’Anna (Fondatore degli Osanna). Da questo disco strepitoso viene scelta solamente una traccia minore Lei no. Unica nota un po’ stonata della serata che verrà poi disintegrata dalla esecuzione solo voce e chitarra di Mare sopra e sotto nella quale Avincola si dimostra capace di far venire la pelle d’oca anche ai cuori più insensibili (come quello di chi scrive). Questo sarà infatti l’ultimo pezzo della scaletta prima dell’unico bis, ma prima avremo diritto a una rassegna di brani dagli album meno di successo, quelli degli anni Novanta e Duemila per intenderci: My baby is back, Partire (televisori viaggiatori) (questa quasi in versione Blue beat/Ska), Banalità, la sensazionale Oggi non è domani (quasi un testamento panello-carelliano) e infine Lavorare no rispettivamente tratte da “Se non cantassi sarei nessuno…” del 1995 e “Ahoh Ye Nànà” del 2007 (in riferimento probabilmente al verso dei cantanti che si atteggiano ad inglesi).

 

Rimane solamente da menzionare gli ospiti d’eccezione: quella assurda creatura panelliana di Maccio Capatonda; la giornalista di Radio Rai che intervistò per l’ultima volta Enzo nel 2009, la bravissima Timisoara Pinto; il cantattore Ivan Talarico (qui nella foto) che a metà evento ha declamato un intervento di Panella apparentemente composto in ricordo della sua avventura Carelliana; e infine presente tra il pubblico l’enorme Marco Luberti (di cinque anni più giovane di Mogol) e autore di testi eterni come Margherita e Bella senz’anima, e che per primo intuì il potenziale e la «modernità» del binomio Panella-Carella (dichiarazione ottenuta alla fine del concerto).

In conclusione è stato un concerto bellissimo (aggettivo che uso di rado ma che in questo caso mi sento di farlo) dal ritmo intenso, sapientemente orchestrato con la regia di Avincola, che non è un semplice epigone ma un artista che sa riconoscere le proprie influenze e rielaborarle in uno tributo sicuramente riuscito.

 

Ci sarebbe da chiedersi quanto i giovani abbiano apprezzato questo esperimento. L’unica certezza è che fino all’ultimo istante la sala è rimasta piena, e anche a luci accese la folla stentava a diradarsi. Una platea mista, in maggioranza venticinquenni e trentenni ma anche, come era prevedibile, parecchie teste argentate che coesistono in maniera naturale.

Rimangono impresse nella mente la delicatezza e l’efficacia di Avincola che galleggia sul palco leggero, generoso con il pubblico e con i suoi musicisti. Il look un po’ da pescatore (con in testa un berrettino alla Lucio Dalla e un giaccone troppo largo di colore rosso fuoco in stile anni Ottanta ormai diventati un po’ una sua coperta di Linus) forse scelto appositamente per narrare il disagio di un artista che non si è mai sentito a suo agio nel mondo dei cantanti, come fosse un pesce fuor d’acqua, ma con una gran voglia di nuotare in mare aperto.

Con la speranza che ne nasca un ampio tour per l’Italia, menzioniamo le uniche date per ora previste: 10 aprile a Pesaro (Spazio Webo); 11 aprile a Milano (Apollo) e il 12 aprile a Torino (Cap 10100).
Per info e biglietti: https://www.avincola.it/enzocarella/

 

di Alex Ciarla
servizio fotografico live di Gabriella Vaghini

 

Share |

0 commenti


Iscriviti al sito o accedi per inserire un commento


In dettaglio

  • Data: 2024-03-01
  • Luogo: L'Asino che Vola - RM
  • Artista: Avincola

Altri articoli su Avincola

Altri articoli di Redazione Isola