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Alberto Fortis

Che fine ha fatto Yude? La storia autobiografica di Alberto Fortis

“La storia autobiografica di Alberto Fortis, sottotitolo del libro Che fine ha fatto Yude? pone al lettore sin dall’inizio una domanda, evidente nel titolo stesso, ma più profonda: cosa c’è di più peculiare per l’esperienza umana della dimensione del racconto? Questa stessa domanda può essere un’ipotesi per comprendere chi è Yude. Alberto Fortis, durante la presentazione del libro a Domodossola, esordisce così:“E’ una conquista strepitosa tornare nella mia città natale e sentire armonia con tutti i periodi e i posti dove ho vissuto, precedentemente in conflitto e reclamatori di una scelta che doveva “decidere” dove e quando (…)”, ha spiegato che Yude è qualsiasi cosa il lettore possa comprendere, interpretare, rappresentarsi o più semplicemente immaginare intorno a questo personaggio che nel corso della lettura compare accanto ai diversi oggetti, personaggi, situazioni ed eventi del “suo” racconto, o anche come scrive nel suo sito di myspace: "YUZY YUZY BUZY , BELE BELE MELE, GUDA GUDA BUDA, NUDE NUDE YUDE......"


Il libro, corredato di un inserto fotografico e di un videofilm dal titolo È Forse Vita con due brani inediti, Bettyno Potycino e Buonumore, è una forma di autobiografia particolare, quella di un “diario di viaggio” registrato durante conversazioni con i suoi collaboratori Rossana Lozzio e Maurizio Parietti, per certi aspetti il “quaderno di appunti” del desktop del suo PC, di un viandante o erratico testimone che è la trascrizione metaforica di un concetto di “estraneità” o non-istituzionalità del suo essere Artista, quel definirsi un “libero battitore” tratto essenziale della sua personalità. La conoscenza dell’impegno fisico, intellettuale e morale che l’autobiografia racconta, ci predispone ad ascoltare con maggiore attenzione i suoi dischi, ultimamente più articolati nella ricerca stilistico-musicale, e ci aiuta a comprendere perché Fortis non può essere uno di quegli Artisti atmosferici la cui Arte si può facilmente captare per osmosi.


Paul Ricoeur sostiene che tra tempo e racconto esiste una sorta di proficua circolarità: il tempo diventa “tempo umano” solo quando si articola in racconto e, a sua volta, il racconto è un elemento costitutivo del senso che l’uomo ha del tempo. Si tratta di un genere di circolarità del tutto usuale per gli studiosi di ermeneutica che non crea paradossi, ma è dotato anzi di un profondo valore esplicativo e Sant’Agostino nelle Confessioni si chiede: “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno m’interroga lo so, se volessi spiegarlo a chi m’interroga non lo so.”. Il nodo dell’esigenza di scrittura di questo libro da parte dell’autore crediamo stia proprio in questa domanda.


Alberto Fortis ha all’attivo già tre libri di poesie Tributo giapponese (1988), Dentro il giardino (1994), A meno che… (2008) e il libro-fumetto Berty (2002), realizzato in collaborazione con il pittore PinoPece e il disegnatore Tiziano Riverso; questi libri, nel loro insieme, sono come i cerchi concentrici che si formano nell’acqua dopo avervi gettato un sasso. Ognuno nel tempo si chiude aprendosi all’altro con, di volta in volta, un’esigenza diversa che ne giustifica l’ampliamento. In un’intervista Fortis ha affermato: “Tributo giapponese” raccoglieva scritti non solo del periodo di “El nino” (Disco del 1984 N.d.R.) ma anche precedenti; è stata la volontà di comunicare un mondo, di un’Artista e di una persona, a trecentosessanta gradi, elaborando anche uno spettacolo con Mario Giusti. Il tutto fa parte, in maniera più istintuale, del modo in cui scrivo. Unire “Tributo giapponese” alle liriche di “Dentro il giardino” è stato anche dimostrare che c’è un periodo di creatività in cui alcune liriche saranno codificate in una metrica e testo di una canzona e altre vivono più squisitamente un linguaggio libero e poetico; hanno una vita diversa. Questa è una forma di riconoscimento quasi dettata, come diceva Bob Dylan, dalla creatura stessa e non dal creatore. Ho realizzato una pubblicazione, per ora estemporanea, di un terzo libro che racchiude i due precedenti con altri elementi anche eterogenei tra loro, per addentrarsi nel mondo dell’Artista di là dall’ “ufficialità”, nel laboratorio mentale suo. Il titolo del libro è “A meno che…” ” (CorusCafé, nr 11-2008) Nello stesso modo procede la sua produzione musicale. Ogni suo disco è uno s-chiudersi; la metafora del “giardino” ci dice che, un giardino in quanto tale, non sarà mai riproducibile con delle fotografie. Un giardino è fatto di suoni, di odori che cambiano, di luci, del paesaggio che gli sta intorno. Di ricordi (Settembre, Fragole infinite). Un giardino è fatto di errori, ripensamenti che arrovellano la mente, è fatto di piante che stanno benissimo qui, e malissimo a pochi metri di distanza. E’ fatto di piante di cui perdi le tracce in una stagione, mentre altre diventano esuberanti.


Ad Alberto Fortis si potrebbe applicare l’osservazione che Marcel Duchamp fece a proposito dell’Arte di Paul Klee, per cui l’immensa fecondità dell’Artista svizzero si rivelava nella sua tendenza a ripetersi. Quello di Fortis è un mondo profondamente privato, dove perfino il vocabolario è inconfondibilmente diverso. Fin dalla prima infanzia Fortis ha cominciato a crearsi un cosmo proprio, tracciato musicalmente con incredibile abilità e percezione ed è rimasto un’Artista alla ricerca di una realtà di là dell’ordinario e del quotidiano, che la sua Musica intende scuotere. La canzone Milano e Vincenzo che Alberto Fortis dedicò al suo produttore discografico Vincenzo Micocci: "Vincenzo io ti ammazzerò/sei troppo stupido per vivere/perché non sai decidere" esplicitava confidenza, gioco e gratitudine ma anche la parte conflittuale insita in ogni rapporto di reciproca dipendenza. Di là dei suoi significati, la canzone era un happening, testimoniava la vitalità dell'evento come forma d'Arte o piuttosto come tecnica da scegliere al pari di pittura, scultura, videoproiezione eccetera. Una nota particolare la richiede la foto di copertina del libro e quella del disco del 1981, “La grande grotta” che era lo zoom di una foto da teleobiettivo”, scattata nei Canyon losangelini. Il volto, non la faccia, secondo Franco Marineo, è lo “specifico cinematografico”: un volto in primo piano si apre all’irruzione prepotente del tempo, mette in oblio ogni percezione spaziale ed evidenzia, nelle pieghe delle sue espressioni, le rughe, la lingua! il divenire incessante della storia. Un volto non è la finitezza dei suoi tratti, ma il divenire delle sue espressioni: per questo suo aspetto fuggevole, per la sua avversità alla fissità, per la sua apertura ad infinite possibilità espressive, il volto traccia sempre l’oltre della storia, apre il racconto alle sue innumerevoli variazioni.


Ma l’aspetto più indicativo che emerge dall’autobiografia è probabilmente un altro, biografico appunto, esistenziale, ed è in quella specie di freschezza che Fortis è riuscito a mantenere nonostante negli anni abbia moderato la sua intolleranza, operato scelte come quella di trasferirsi temporaneamente negli USA, condotto battaglie in difesa dei diritti umani, accettato contraddizioni come la partecipazione all’edizione del 2006 di “Music Farm”. Una forma d’intelligenza in qualche modo candida, benché ormai smaliziata, come di chi assiste a certi fenomeni per la prima volta, senza dare nulla per scontato, che è sempre rimasta una caratteristica del suo lavoro, e che ne fa uno dei pochi Artisti con cui sia interessante confrontarsi.

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In dettaglio

  • Artista: Alberto Fortis
  • Editore: Aliberti Editore
  • Anno: 0

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