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Pippo Pollina

Una sinfonia lunga 25 ann

La storia di Pippo Pollina non conosce percorsi prestabiliti. Perennemente in viaggio, sia come uomo che come artista, ha raggiunto all’estero una credibilità che in Italia, probabilmente, nessuno gli avrebbe mai riconosciuto, un po’ per la cecità dei molti addetti ai lavori che popolano lo Stivale, ma anche per un carattere talmente semplice e spontaneo da risultare non idoneo al ruolo di pop-star. Ma il palermitano di stoffa ne ha da vendere, e lo dimostra per l’ennesima volta nel suo nuovo lavoro, il live con l’Orchestra Sinfonica del Conservatorio di Zurigo intitolato “Fra due isole” pronto a celebrare i primi 25 anni di carriera. Lo abbiamo intercettato in una breve pausa del tour italiano, giusto il tempo per fermarsi a riflettere sul passato, gustarsi il presente, e darci qualche buona notizia per il futuro.


Fra due Isole è una sorta di “best of” registrato dal vivo. Prima del concerto avevi già in mente di farne un disco?

Sì, anche se l’idea non è nata molto in anticipo, ma un paio di settimane prima della registrazione. Ho pensato che documentare questo spettacolo, e nello specifico la serata magica di Zurigo, era un’occasione irripetibile.

Nel realizzare queste tue canzoni con il supporto dell’orchestra, qual è stato l’elemento che ti ha più sorpreso?

È stato quello di capire che i brani, nonostante fossero stati modificati e arricchiti musicalmente da tantissimi musicisti e da un’orchestrazione studiata veramente in maniera magistrale dal direttore Massimiliano Matesic, non hanno perso la loro intensità in quanto canzoni, mantenendo intatta la loro centralità di testo e melodia, senza perdere la forma con cui sono stati concepiti.

Matesic ha giocato un ruolo fondamentale. Come avete interagito per arrivare a un risultato così ben equilibrato tra sfondi classici e primi piani cantautorali?

Ci siamo arrivati perché Matesic non aveva mai lavorato con un cantautore e mai fatto musica al di fuori del contesto classico, ed era proprio quello che interessava a me: cimentarmi in questa operazione con qualcuno che non si lasciasse influenzare da altri generi musicali. La nostra idea è stata quella di trovarci al centro di questo cammino, ognuno seguendo la sua direzione. Spesso le orchestre sinfoniche al servizio della musica pop producono un impasto mieloso di armonie che diventano molto kitch. Gli ho chiesto di rimanere rigoroso nell’orchestrazione dei brani cercando di trasporre queste composizioni come se fossero dei componimenti classici.

Dalla registrazione si evince una grande partecipazione da parte del pubblico, che risponde in maniera entusiasta. Ci racconti le sensazioni che hai vissuto sul palco?

Una meraviglia. Anche perché questo concerto è stato pubblicizzato da una mia newsletter del mese di febbraio di quest’anno (il concerto si è tenuto il 5 settembre, ndr), e dopo dieci giorni avevo venduto tutti i 1285 biglietti disponibili per il teatro. Quindi non è stata fatta né pubblicità, né promozione. Il mio pubblico ha capito che si trattava di un evento, tanto è che dei presenti 450 venivano dall’estero, 450 da Zurigo e 400 da altri cantoni della Svizzera; è stata una corsa al biglietto, e 450 persone venute dall’estero è un dato significativo. Il mio pubblico ha un rapporto particolare con la mia musica e le mie canzoni. Questo mi onora e mi inorgoglisce, ed è l’elemento che mi ha reso più felice.

Scorrendo la scaletta vengono fuori delle situazioni stimolanti e si percorre una specie di viaggio emozionale: dalla commozione di un brano come “Leo” fino agli slanci istintivi di “Tammurra e vuci”. È in questi contrasti che va ricercata la chiave di lettura di Pippo Pollina come artista e come uomo?

Penso di sì. Faccio mio il postulato secondo il quale “solo chi cambia rimane fedele a se stesso”, nel senso che amo la vita in tutte le sue sfaccettature, quindi possono benissimo coesistere degli slanci popolari, come sono quelli legati a “Tammurra e vuci”, insieme al tango argentino, piuttosto che alla chanson francese o ai ritmi jazz. Tutta la musica può convergere verso un centro, che siamo noi; e noi dobbiamo riuscire a essere una sorta di rosa dei venti, abbiamo il dovere di riuscire a esprimere attraverso la musica tutte quelle anime che ci popolano, che ci abitano. Chiaramente trovando una coerenza interna.

Non sei mai stato un autore molto in vista, soprattutto in Italia, ma malgrado ciò la gente ti vuole molto bene e ti dimostra grande stima. Come te lo spieghi?

Me lo spiego per il fatto che la gente sa distinguere. Non voglio essere presuntuoso, ma voglio dire che il rapporto che ho con il mio pubblico è particolare. Perché, pur non essendo io un musicista popolare, conosciuto dalle grandi masse o recensito dai giornali nazional popolari, ho un pubblico che altri colleghi più in vista non hanno. Penso che il tipo di relazione che il pubblico ha con la mia musica è di altissimo livello, e questo la dice lunga, perché vuol dire che l’intensità con cui avviene questo tipo di relazione è alta. E fa capire quanto la parola “qualità” sia più importante rispetto alla parola “quantità”.

Il tuo cammino è fatto di tanti piccoli episodi. Arrivato a questo punto consideri la tua carriera come una grande storia?

Tutte le nostre storie individuali e personali sono grandi. Non so, la mia non la considero più grande di altre. Ogni cosa ha l’importanza che ha, né più né meno. Anche questa vicenda con l’orchestra sinfonica di per sé è una storia grande, perché implica il movimento di novanta persone e perché è un’esperienza che non tutti possono fare o e io stesso non so se sarà possibile rifarla. Tuttavia questa esperienza, anche nella sua grandezza, ha dei limiti.


C’è stato un solo momento, in tutti questi anni, dove hai avvertito la sensazione di non farcela?

Assolutamente no. Mai e poi mai. Questo dipende anche da quali sono le mire di ognuno di noi. Se le tue mire, come nel mio caso, sono quelle di fare le cose in cui credi, le cose di qualità, allora posso dirti che non ho avuto mai un attimo di esitazione, di dubbio. Certo, se poi ti aspetti di arrivare al primo posto della hit parade allora dico no, non posso farcela, ma questo perché sono situazioni anche legate alla società e al contesto in cui viviamo e a cosa è il mondo oggi.

Negli ultimi venti anni la scena cantautorale italiana è cambiata notevolmente. Tu che idea hai a riguardo?

È totalmente diventata un’altra cosa. La canzone d’autore non è più una canzone popolare. Non è più un oggetto di largo consumo da parte della popolazione italiana. Prima, quando me ne sono andato dall’Italia all’inizio degli anni ’80, c’era una corrispondenza totale tra chi faceva canzone d’autore e le vendite dei dischi: i vari Edoardo Bennato, Antonello Venditti, Francesco De Gregori e tutti quelli che facevano questo mestiere erano sostenuti dal fatto che c’era una cultura popolare corrispondente. Oggi chi fa canzone d’autore è un dinosauro. C’è poco da discutere, la società è cambiata e sono passati tanti anni dove sono stati comunicati altri modi di ascoltare la musica e la canzone d’autore italiana è diventata un’operazione datata. Ci sono tantissimi colleghi molto bravi che la fanno e che hanno un seguito di nicchia, intendo i più fortunati.

In un’intervista, riguardo ai motivi che ti hanno spinto a lasciare l’Italia, hai dichiarato: «Nel 1985 l’Italia era un paese corrotto». Cosa pensi dell’attuale situazione politica e sociale?

Diciamo che i motivi per i quali nel 1985 decisi di andare via dall’Italia, erano quelli che oggi vediamo sotto i nostri occhi, e debbo amaramente dire che queste situazioni le avevo largamente previste; l’avevo pensato, si vedeva, si capiva. Io ero giovane, avevo l’età e l’incoscienza per farlo e ho detto: “io qua non ci voglio stare, perché ho capito che le cose non le posso cambiare e siccome non mi piacciono, tanto vale andarsene. Se riesco a sbarcare il lunario tanto meglio, altrimenti si vedrà”. E devo dire che purtroppo ci avevo visto bene, il disegno era abbastanza chiaro. La strategia di abbassare il livello culturale e intellettuale di un popolo, quello italiano, per poterne poi fare quello che si vuole, oggi ha trovato compimento. Non c’è dubbio che oggi c’è una società che legge meno, che interpreta meno, che ha in mano meno mezzi per interpretare la realtà, e quindi è più manipolabile rispetto al passato. Non dico che prima non lo fosse, ma oggi lo è molto di più. Ecco, questo è il tipo di società che immaginavo potesse prendere piede in base a ciò che cominciava a succedere in quel periodo. Quelle sensazioni hanno trovato forma e compimento, quindi c’è da rimboccarsi le maniche, perché questa situazione un giorno cambierà, ne sono convinto, perché tutto è ciclico e anche questa situazione un giorno non ci sarà più. Bisogna capire quando e soprattutto capire come.

Sei fiducioso quindi.

Vista com’è la realtà oggi non posso che esserlo. Cosa c’è di peggio? A parte la povertà e la guerra?

Cosa ci dobbiamo attendere per i tuoi secondi 25 anni di carriera?

Quello che ho sempre fatto. Questi svolazzi nella musica, cercando di continuare a mettere un po’ di passione in questo mestiere, la passione che mi ha sempre animato sia nell’incidere i dischi che nell’andare in tournée. Aspettatevi che sempre di più verrò in Italia, perché una delle mie intenzioni per gli anni futuri è quella di incidere sempre di più nella nostra realtà musicale. Se prima mi permettevo di venire un mese all’anno perché non avevo tempo, adesso questo tempo me lo voglio prendere. Perché sento che si sarà un forte cambiamento, e quando questo avverrà io voglio esserci.

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