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Premio Tenco 2011: Prima serata

La prima serata parte con una chicca: l’esecuzione chitarra e voce da parte di Vittorio De Scalzi di un testo inedito di De André su sua musica. Il testo è una poesia che De André dedicò a Pepi Morgia, lo storico regista genovese recentemente scomparso; cioè, regista: in realtà Morgia era il De André delle luci.

Da qui si dipana il cast. Si inizia con Marco Parente, che si presenta in formazione elegante sul palco dell’Ariston, spaziando tra diversi generi e approcci musicali.

Poi è la volta delle Iotatòla, una delle principali sorprese del Tenco 2011. Si tratta di un duo palermitano, due ragazze che hanno un impatto scenico del tutto singolare sul palco, dividendosi la batteria – che suonano rigorosamente in piedi – e proponendo brani che dialogano con la propria immagine raffinata: ironiche, viola e slegate dagli stereotipi. Loro si chiamano Serena Ganci e Simona Norato. Unico appunto: bisogna stare attenti a non calcare troppo sulla poetica della donna disillusa e sarcastica.

Dopo di loro tocca ai Fabularasa, gruppo di Bari dal taglio elegante. Formazione classica con batteria, basso, chitarra e voce, il loro forte è che usano la musica in maniera consapevole, coi virtuosismi di basso e chitarra che ‘parlano’ almeno quanto le parole del cantante Luca Basso.

Così si arriva alle tre Targhe Tenco: Cristiano Angelini, Patrizia Laquidara e Vinicio Capossela.

Per Angelini c’è stato un fuori programma: durante l’esecuzione del primo pezzo, La polvere dei guai, salta l’impianto. La canzone arriva claudicante alla conclusione, poi il vuoto. Attimi di panico e imbarazzo, ma qui Angelini prende in mano la situazione e ci mette una pezza, iniziando a fare praticamente cabaret. Chapeau. Poi prosegue tutto liscio, con altri due pezzi tratti dal disco L’ombra della mosca, ospitando sul palco anche Max Manfredi nell’ultima canzone, omonima del disco stesso.

Di seguito Patrizia Laquidara, Targa Tenco disco in dialetto 2011 per l’album Il canto dell’anguana, in dialetto veneto. La Laquidara è sicuramente una delle voci più interessanti della canzone d’autore italiana, una di quelle che dovrebbero essere sempre invitate al Tenco. Questo disco ha in sé tradizione e passione ed è forse la targa più giusta dell’intera Rassegna 2011.

Così arriviamo al gran finale con Capossela. Appena salito sul palco il cantautore dice chiaramente che non se l’aspettava. Trad. it.: «Ho provato a vedere fino a che punto mi si sta a sentire con un disco tanto ostico». La sua performance propone ovviamente brani del disco e si chiude con un omaggio a Enzo Del Re. Far accettare cose ostiche a un pubblico larghissimo, questo è il principale pregio di Capossela oggi. È sicuramente una dote acquisita con gli anni e sostanzialmente lui è l’unico nello scenario italiano a trovarsi nelle condizioni di poterlo fare, però veicolare forme faticose e messaggi dall’alone culturale ricercato – anche se poi le cose che fa sono tutt’altro che complicate, a ben vedere – per un pubblico così ampio lo rende davvero esclusivo. Questa è stata la cosa più interessante della sua esibizione al Tenco. La popular music è fatta di forma in relazione col meccanismo di veicolazione al pubblico e della ricezione: la disponibilità del pubblico a ‘ricevere’, oggi, rende Capossela inarrivabile rispetto a qualunque cantautore italiano, magari maledettamente più bravo nella scrittura artistica. Marinai, profeti e balene è vediamo fino a dove posso arrivare. Molti hanno parlato di avanguardia per questo disco, di sperimentazione. Ecco: la sperimentazione è del tutto assente nella forma, ma senza precedenti nel vedere fino a dove ci si può spingere con la mancanza di empatia.

Detto questo, la Targa Disco dell’anno non la meritava.  

Ultimo appunto per Peppe Voltarelli, il tappabuchi 2011: semplicemente strepitoso. Anche questo rientra nel discorso necessità-virtù, credo e, anche qui, la virtù surclassa la necessità. Tempi comici perfetti, mai pesante, meravigliosamente afasico. Il miglior tappapuchi che il sottoscritto ricordi.

 

(Paolo Talanca)

Foto a cura di Roberto Molteni per Club Tenco

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